Ljiljana Banjanin

Il primo console del Regno Sardo a Belgrado nel 1849

Marcello Cerruti

 

Nella sede rinnovata dell’ Archivio di Stato di Torino è conservata la corrispondenza dei consoli del Regno di Sardegna a Belgrado nel corso dell’Ottocento.[1] Il fascicolo contiene quattro buste; nella prima vi sono i dispacci di Luigi Cerruti del 1849-1850; nella seconda trentatre missive, alcune cifrate e qualche foglio non numerato, di Marcello Cerruti ai Presidenti del Consiglio e Ministri degli Esteri succedutisi al governo in quegli stessi anni (Vincenzo Gioberti, il generale de Launay e Massimo d’Azeglio); nella terza si trovano le lettere del conte de Fonblanque e nella quarta, quelle di Francesco Fortunato Astengo, del 1859.[2]

E’ nostra intenzione presentare la figura di Marcello Cerruti, console a Belgrado, attraverso una parte della sua corrispondenza, quella che meglio rappresenta Cerruti, uomo di Stato e Cerruti uomo privato. Questo materiale, relativo ai rapporti tra il Regno di Sardegna e il Principato di Serbia nell’Ottocento, offre inoltre non pochi spunti per ulteriori ricerche. Infine, la corrispondenza di Cerruti e il suo nome sono a lungo rimasti ignoti alla storiografia italiana, pur avendo parte importante nella storia risorgimentale. I primi che si sono occupati di lui furono Ruggero Moscati, al quale si deve la sistemazione della sua corrispondenza presso l’Archivio storico del Ministero degli Affari Esteri a Roma, Guido Quazza, quindi Stefano Markus a fine anni Quaranta, e Angelo Tamborra[3] negli anni Cinquanta. Di recente Pasquale Fornaro ha dedicato un approfondito lavoro all’argomento, in particolare alle intese politiche italo-magiare.[4] Di Cerruti si è occupata da parte serba Ljiljana Aleksić Pejković trattando il tema dei rapporti fra Italia e Serbia nel XIX secolo .[5]

Le ragioni che portarono il Governo sardo alla decisione di aprire un consolato a Belgrado furono molteplici: anzitutto una linea di condotta molto attiva nei confronti dell’Europa balcanico-danubiana, da considerarsi come un indirizzo di guida; poi la convinzione dei sostenitori di tale politica che i moti insurrezionali in quei paesi, tendenti a liberarsi dalla dominazione austriaca, potevano venire sfruttati per indebolire l’Impero asburgico sino alla sua totale dissoluzione. Inoltre, il processo di unificazione dell’Italia e la questione, allora irrisolta, della sua indipendenza, parevano analoghi a quanto stava avvenendo nella penisola balcanica: Greci, Bulgari, Romeni e soprattutto Serbi, che a partire dal 1844 e dalla pubblicazione del Načertanije, come sottolinea Tamborra, apparivano quale forza unificatrice di tutti gli Slavi meridionali, oppressi da potenze straniere[6]. Di conseguenza anche la capitale serba, Belgrado, veniva considerata un punto strategico nella realizzazione di quella linea di condotta nell’Europa balcanico-danubiana e definita come “il posto più importante della politica italiana”.[7] Inoltre, un consolato a Belgrado avrebbe potuto fornire al Piemonte un punto d’appoggio per l’instaurazione di rapporti coi sudditi dell’Impero, slavi e ungheresi, utili e preziosi alleati, perché anch’essi in strenua lotta contro la monarchia. Con queste indicazioni fu mandato nel dicembre del 1848 dal capo del Governo sardo, Vincenzo Gioberti, un primo emissario a Belgrado, nella persona del generale Alessandro Monti[8], che di lì a poco avrebbe dovuto trasferirsi in Ungheria, per tenere i rapporti tra Cerruti e gli Ungheresi in piena rivolta:

“[…] Appena l’Inviato in Ungheria verrà informato chi sia l’altro Inviato sardo nei paesi slavi del Basso Danubio, e dove prenda la sua principale residenza, egli farà ogni sforzo di mantenersi in costante comunicazione con lui, e di persuadere i due popoli dei vantaggi che avrebbero nel bene costruire le loro separate rispettive nazionalità, onde i Magiari non vengano compressi dai Tedeschi e dagli Slavi, e quindi gli Slavi dai Tedeschi e Magiari, od almeno non possa la Russia assorbire questi paesi slavo-greci, e diffondervi i suoi micidiali sistemi di servitù e povertà”.[9]

Da queste istruzioni si può rilevare come fosse delicato e importante il compito affidato al console sardo a Belgrado: egli doveva seguire “la situazione generale, mantenere i rapporti con i Serbi e inoltre […] far sì che il principe serbo Aleksandar e il ministro Garašanin sfruttino tutta la loro influenza sui Serbi in Ungheria perché questi incominciano a collaborare con il governo rivoluzionario ungherese contro l’Austria”.[10] La scelta non fu perciò casuale, avendo Marcello Cerruti già accumulato una notevole esperienza nel campo diplomatico.

Nato a Genova nel 1808 (morirà a Roma nel 1896), già durante gli anni di formazione conobbe Mazzini e nel 1825 venne nominato segretario del Ministro sardo a Costantinopoli. Potè così conoscere bene e da vicino i paesi balcanici e la complessa situazione politica del Sud-est europeo. Percorrendo tutti i gradi della carriera consolare, Cerruti ricoprì successivamente importanti funzioni a Tripoli, Tunisi, a Milano e Cipro, sino a vedersi investito di compiti particolari al Cairo e ad Alessandria d’Egitto.  Quando, verso la fine del 1848, il Governo sardo decise l’istituzione di un consolato in Serbia, a Belgrado, Cerruti ricevette (il 4 gennaio 1849) la nomina di console di I-a classe, mentre suo fratello Luigi Cerruti (1819-1883) otteneva il posto di vice-console di III-a classe.[11] Subito dopo, il 10 gennaio partirono entrambi per Constantinopoli, dove il governo turco avrebbe rilasciare loro, come rappresentanti ufficiali del Regno sardo, l’indispensabile berat.[12] Qui giunti, si resero conto che la situazione non era facile, giacché il governo turco voleva prendere tempo, temendo una reazione negativa da parte sia della Russia che dell’Austria. Probabilmente impazienti e desiderosi di arrivare al più presto a destinazione, i due Cerruti continuarono il viaggio senza aver ottenuto il documento necessario, e travestiti da commercianti inglesi giunsero a Belgrado il 18 marzo.

In uno dei primi dispacci indirizzati al suo Governo, il 23 marzo 1849, Marcello Cerruti informa del viaggio avventuroso da Salonicco, iniziato il 7 marzo e durato sette giorni prima dell’arrivo in Serbia, a causa del “cattivo stato di strade” e dell’impossibilità di trovare servizi di posta, ai quali erano abituati i viaggiatori europei di quel tempo. Tuttavia, l’atmosfera a Belgrado era favorevole alla realizzazione della missione del Governo sardo affidata al suo rappresentante, “visto che si manifestò già chiaramente quanto illusorie fossero le speranze dei Serbi e dei Croati di raggiungere con l’Austria un compromesso soddisfacente”[13]

Seguono altri dispacci improntati ad ottimismo; il giovane console, fiducioso di essere all’altezza del compito, si mette subito in contatto con le autorità locali, sforzandosi di capire l’atteggiamento dei Serbi nei riguardi della “causa italiana”. A Torino scrive di essere stato accolto molto amichevolmente, a conferma delle simpatie che suscitava il suo paese; dichiarazione che in seguito modifica nella seguente:

“Ho già avuto le mie prime relazioni col Signor Petronowich Ministro degli Affari esteri del Principe, il quale mi ha fatto dire di essere disposto a ricevermi prima ancora che io abbia il mio Berat”[14]. Si muove attentamente e da buon diplomatico cerca di capire l’atteggiamento dei Serbi nei riguardi della “causa italiana”: “Io sono stato qui accolto con simpatia da tutte le autorità dei Serbi”.[15] Questa dichiarazione fu successivamente modificata  nella seguente, ancora più sincera, intima e persino scherzosa: 

“[…] io arrivai a Belgrado e […] vi trovai presso i Ministri e presso il Principe     stesso la più cordiale accoglienza…Mi son male espresso, volevo dire la più brillante, perché le cose che vengono dal cuore durano sempre e non sono soggette alle alternate mutazioni dei tempi”.[16]

Simili dichiarazioni – allegre, scherzose, dai toni quasi spensierati, tuttavia dalle riflessioni profonde, quando parla dei sentimenti che rimangono per sempre e non mutano secondo le circostanze, - sono una rarità nella corrsipondenza di Cerruti, il cui tema principale rimane il destino della sua patria, del Regno sardo e la missione della quale è stato incaricato. La sua attività e le ambizioni in tale direzione comprendevano anche l’interesse per la stampa locale, anche se probabilmente non conosceva la lingua serba e doveva affidarsi alle traduzioni del dragomanno. Veniamo a sapere che consultava regolarmente il giornale “Napredak” pubblicato a Sremski Karlovci, i cui articoli, tradotti, mandava per la pubblicazione nei fogli torinesi. Non si limitava tuttavia a giornali pubblicati solo a Belgrado e facilmente reperibili, come “Srbske novine” per esempio, ma seguiva con interesse tutto ciò che veniva scritto sul Piemonte e sull’Italia in generale, dal zagrebese “Slavenski jug”, “Novine dalmatinske” al “Sűd Slawische Zeitung”, e persino dai giornali di Zara e di Ragusa (Dubrovnik).

All’attività costante di Cerruti non corrisponde un’eco adeguata a Torino, dove dopo un primo interessamento seguito all’organizzazione della missione, subentra un atteggiamento di attesa, da parte del Governo sardo, che procura al nostro console un senso di insicurezza, al quale si aggiunsero altre difficoltà di natura oggettiva, legate alla costante impossibilità di comunicare con i suoi superiori a Torino. Spesso infatti, Cerruti informa delle sue lettere cifrate spedite via Ginevra, Parigi o Fiume, che teme non siano arrivate a destinazione, o si lamenta di non ricevere alcuna posta: 

“[…] Sono sempre privo, dopo la mia partenza da Torino, di dispacci del Ministero, ed Ella comprenderà facilmente qual debba essere la mia ansietà quando saprà che non abbiamo qui altri mezzi d’informazione che i bollettini austriaci che ci provengono da Leybach e da Vienna, e che le ultime notizie ricevute per tale mezzo sono quelle delle giornate del 21 e del 24 Marzo”.[17]

Simili dichiarazioni troviamo anche più tardi, nella lettera del 20 aprile: 

“[…] Basti questa indicazione per farle comprendere Signor Ministro, in quale stato d’inquietudine io debba vivere fino a che non mi giunga qualche dispaccio dal Ministro”.[18] 

La sconfitta che l’Austria infligge al Piemonte a Novara il 23 marzo ebbe poi come conseguenza un atteggiamento radicalmente mutato del Governo sardo nei confronti della situazione nei Balcani: a Cerruti venne consigliato di tenere condotta molto riservata, proprio nel momento in cui sembrava che le popolazioni slave si fossero convinte di una prossima dissoluzione dell’Impero asburgico e quindi che anche  l’intesa con gli Ungheresi potesse realizzarsi. La nuova situazione in un certo senso induce Cerruti al “risveglio” ed egli comincia ad osservare tutto intorno a sé con occhi diversi, comprendendo che le sue convinzioni erano frutto di illusioni. Se  accetta con rammarico la nuova realtà, apertamente si lamenta dell’affrettata chiusura del consolato, al quale  molto teneva:

“[…]Qualunque sia […] la determinazione […] su questo Consolato, supposto anche il caso di soppressione, sarebbe opportuno dapprima ch’io facessi registrare il mio Exequatur, prendendo atto così dell’esistenza ufficiale d’un Consolato Sardo a Belgrado. Si ebbero tante difficoltà ad ottenere il Berat in Costantinopoli, che sopprimendo ora il posto senza una previa ricognizione, ci sarà impossibile il riottenerne un altro, […]”.[19]

Così l’ampio dispaccio di Cerruti del 13 luglio 1849 non è soltanto un rapporto al Governo di Torino, ma si presenta come una specie di consuntivo sulla missione affidatagli e anche una confessione melanconica che Cerruti stila sulla sua permanenza a Belgrado. Nella prima parte viene data una dettagliata descrizione della situazione in patria, prima della sua partenza  per Belgrado: 

“Io avevo lasciato l’Italia in un momento in cui il Piemonte si riorganizzava, in cui il credito pubblico ricominciava a prosperare, in cui un’armata ricomposta ed annunciata lasciava sperare un esito favorevole alla nostra entrata in campagna,[…]”.

Noi avevamo allora una bella prospettiva […]”[20].

Anche la missione del Console sardo sembrava avere buone possibilità di successo, stroncate in seguito dai successivi avvenimenti e Cerruti si rende conto del clima d’ipocrisia e falsità che lo circonda, da parte di alcuni consoli e di certi rappresentanti del Governo serbo. Per questo è molto amara, ma anche sincera la sua constatazione: “Mi accorsi allora più che mai della verità che nelle epoche prospere si hanno molti amici, e che nelle avverse se ne contano pochi”[21].

Cerruti si chiude allora in se stesso, deciso ad “osservare”, “ascoltare” e “riferire” sui fatti intorno a lui, ben conscio che la capitale serba esiga da uno straniero un’enorme dose di attenzione e precauzione: “Ma questo è un luogo compromettentissimo, e tutta la prudenza umana non mette al riparo dal pericolo di compromettersi”[22]. 

Nella parte centrale del dispaccio Cerruti dedica un’accurata analisi alle figure dei consoli stranieri, presenti allora a Belgrado, dando di ognuno di essi un giudizio conciso, ma penetrante. Così del rappresentante francese, il còrso De Limperani fa le lodi, come persona d’animo buono e pronto ad aiutare anche a costo di rimanere isolato egli stesso. Del console inglese De Fonblanque Cerruti scrive essere uomo di opinioni liberali, maggiore di grado. Con simili osservazioni, semplici ma molto acute, vengono esaminati anche gli altri consoli: il russo, l’austriaco e il greco. Brevi giudizi Cerruti dà anche sui rappresentanti del governo locale, in primo luogo, sul principe Aleksandar Karadjordjević dalla condotta riservata e distaccata – “homme honnete et exellent patriote, mais sans ambitions”, come lo definiva un esperto. E se vi scorge segni di debolezza, non può non notare altri lati positivi del suo carattere: la bontà d’animo, la semplicità, l’amore per la patria per la quale vorrebbe un futuro migliore:

“[…] – nominato Principe reggente lì 2 Settembre 1842, fu portato al trono dal partito antirusso, e vi si mantiene coll’osservare una condotta di tale riserva che si dubiterebbe talvolta se egli realmente sia il Principe. Egli è buono,[…]; ama il proprio paese, vuole il di lui bene, e siccome lo vorrebbe davvero, non incontra l’approvazione di tutti,[…]. Nella conversazione ch’io ebbi con Lui mi parlò di commercio, di strade carreggiabili, di agricoltura, insomma di ciò che costituisce la prosperità d’un paese.

Io lo trovai amabilissimo, è semplice nelle sue maniere […]”[23].

Seguono simili giudizi, concisi e incisivi, anche sui ministri del Governo serbo: su Garašanin, “uomo veramente onesto”, “indipendente di carattere”; su Marinović, “animato da sentimenti patriottici”, “puro”, “sarà col tempo il migliore Ministro degli esteri”; mentre Magazinović è descritto come un “giovane di molto cuore”, “patriota serbo, ma esclusivo” che “coll’età e coll’esperienza diverrà una distinta persona”. In questi giudizi si rivela la capacità di osservazione di Cerruti, come nel seguente passo dallo stesso dispaccio, che entra però nella sfera delle sue esperienze private e dei suoi contatti personali, stabiliti a Belgrado: 

“L’attualità della mia posizione risulta in parte dal già detto: Sono in ottima relazione coi miei colleghi di Francia e d’Inghilterra. So che il Principe mi vede di buon occhio; alcuni dei suoi Ministri hanno della bontà per me: alcuni altri lasciano credere di averne; ma nella classe media, quella che forma l’opinione non mi lusingo avere gran simpatia […]. Io procuro di fare il possibile per divenir popolare: Tratto molti di loro con un’ospitalità non affettata e cordiale”[24].

Anche se riservato nel comportamento e nel esprimere le sue emozioni, Cerruti tentava di avvicinarsi a tutti, e persino alle persone semplici e di comprendere i motivi delle loro reazioni a certe situazioni: così alcuni dati all’apparenza insignificanti, rivelano il lato umano del suo carattere: quando riferisce di voler dare un premio ai migliori allievi di una scuola elementare belgradese; o quando rinuncia a malincuore a far officiare una messa cattolica di suffragio per il generale Ettore Perrone, caduto sul campo di Novara, nella piccola cappella allestita nell’appartamento da lui abitato, per non provocare il dissenso del popolo e delle autorità locali ortodosse; o ancora quando decide di evitare contatti frequenti con il governatore turco Hassan Pascià, al quale lo lega una lunga amicizia, iniziata al tempo del suo servizio a Cipro e che giudica “ uomo franco”, “non […] accessibile alla corruzione” e che “ci è molto favorevole”[25].

Tra le ultime lettere scritte da Cerruti al Governo di Torino, quella del 6 ottobre 1849 è quasi interamente dedicata alle impressioni e ai giudizi sul Principe A. Karadjordjević presso il quale è andato in visita ufficiale per congedarsi. Anche se si tratta di un’occasione nella quale viene osservato il cerimoniale, si intuisce tra le righe che l’incontro ebbe un carattere amichevole, nell’intesa della necessità di stabilire rapporti commerciali e di amicizia fra i due stati: 

“[…] mi parlò di molte cose relative alle future nostre relazioni internazionali delle quali le circostanze non hanno fatto differire l’esecuzione, mi manifestò il piacere che provava (già espressomi d’altronde in altre visite anteriori) di entrare in rapporti di amicizia colla Sardegna”[26].

Il tono diventa ancora più confidenziale quando il Principe “[…] disse che aveva saputo tener conto dei motivi per quali io aveva finora differito la mia visita”, per sfogare egli stesso le sue preoccupazioni riguardanti la situazione interna in Serbia: 

“Mi parlò di molte cose relative alla amministrazione del suo paese dolendosi degli imbarazzi che vanno suscitando alcuni irrequieti individui che vorrebbero cambiare sistema di governo”[27].

Altri particolari confermano l’atmosfera amichevole di tale colloquio: proprio in quell’occasione il Principe invitò Cerruti alle prossime nozze di sua figlia ed espresse un vivo interesse per il re Carlo Alberto, la cui vita offriva vari punti di analogia con quella di suo padre.

L’impressione è che Cerruti a Belgrado, circondato da un’atmosfera amichevole, si trovasse bene, anche se all’inizio del suo soggiorno, nel mese di aprile, aveva subito un incendio nell’edificio, proprietà di Miloš Obrenović, nel quale abitava inssieme al console francese. Di questo incidente Cerruti fa una dettagliata descrizione, precisando che si trattò di un evento doloso, scoppiato verso mezzanotte ad opera di ladri belgradesi che cercarono di far man bassa approfittando della generale confusione:

“Svegliato dal rumore degli spari di fucile soliti al farsi in tali circostanze riuscii ancora a salvarmi e a sottrarre dall’incendio le carte di servizio ed il denaro che aveva, ma tutto il rimanente sarebbe rimasto preda dell’incendio se una banda di ladri non si fosse tosto gettata in mezzo al fuoco e non avesse profittato della occasione per saccheggiare la mia abitazione”[28].

Su quest’argomento Cerruti tornerà in seguito, esponendo con dignità la sua situazione economica, le spese sostenute e mai rimborsate, prima della partenza da Torino, la rinuncia ad altre mete molto più “attraenti” di Belgrado, una città sconosciuta, con abitudini e modi di vita nuovi. Con precisione tipica della mentalità piemontese, egli tratta questi argomenti, quasi con un senso di pudore e scusandosi per aver affrontato un tema così banale: 

“Io non intendo muovere lamente in questi tempi calamitosi per tutti, e vorrei ch’ Ella fosse persuasa della ripugnanza, con cui io tratto gli argomenti d’interesse individuale, […]. Non è a me di interpretare i regolamenti, ma parmi che secondo il loro spirito, io dovrei entrare in paga di Console dal giorno che giunsi a Costantinopoli (cioè dal 1° Febbrajo) ove dovetti […] intavolare le prime operazioni di servizio, […].[29]
Qui si tratta dello stipendio, un’altra volta si tratterà delle spese del dragomanno e delle guardie, calcolate con grande precisione, oppure degli oggetti perduti nell’incendio, il cui valore approssimativo indicava in base al loro stato d’uso (nella lettera del 10 agosto). Simili resoconti sulle spese leggiamo anche nella lettera del 15 ottobre. Ma se chiedeva al d’Azeglio solo “l’approvazione” di tali note, e non il rimborso, lo faceva per non esporre il suo governo a spese straordinarie, essendo guidato da un sentimento di solidarietà verso quei 

“compatrioti rifugiati in territorio ottomano, inviando presso di loro il fratello Luigi e assicurando così non solo un sostegno materiale, ma anche il segno di una presenza simbolica, quella del Regno di Sardegna, che non poteva mancare […]”:[30]

“Nelle circostanze urgenti un impiegato all’estero deve saper prendere qualche cosa sopra di se, quando non ha tempo a consultare i suoi superiori. Dal momento che il R.go Governo credette opportuno fissare un Consolato in questi luoghi, s’intendevano tacitamente date al titolare ampie facoltà eventuali. A me poi personalmente ne erano conferite a voce delle molto ampie dal di Lei predecessore: Né io volli mai servirmene anche nei momenti più incalzanti.

Ma in questo caso in cui una colonia di 900 e più persone, alcune delle quali suddite di Sua Maestà, e tutte italiane, che avevano combattuto in terra straniera per un principio omogeneo al nostro, cercava un rifugio in Turchia, mi sarei creduto colpevole di non interpretare i sensi umanissimi de’ miei predecessori.

Mandai il mio Vice-Console a portare ai profughi dei sussidij e dei conforti, e gli ordinai di non abbandonarli […]”.[31]

Vengono alla luce alcune nuove caratteristiche del console italiano: in numerosi suoi dispacci egli sembra essere molto riservato, il suo entusiasmo e la dedizione sono un bell’esempio di patriottismo puro. Giovane ma già pieno di esperienze, Cerruti si inserisce nel non facile ambiente belgradese evitando di suscitare sospetti od ostilità da parte sia del console austriaco che dallo stesso governo serbo. Fino alla sconfitta di Novara, Cerruti ostenta convinzione nella possibilità della dissoluzione dell’Austria con l’aiuto dei popoli balcanici. Dopo la sconfitta dell’esercito piemontese, egli diventa più realista e pur continuando a credere che non tutto fosse perduto, concentra i suoi sforzi per mantenere rapporti amichevoli con gli altri consoli e in particolare col Governo serbo, nel quale intuiva un futuro alleato. I dispacci e le notizie che Cerruti invia a Torino dopo gli avvenimenti di Novara perdono la quasi ossessiva intenzione del firmatario di essere molto attivo, all’altezza della missione, sempre con alto senso del dovere. Il loro tono diventa più vicino all’uomo comune, anche se egli non cessa di sentirsi il rappresentante del Re di Sardegna. Di ciò è conferma nei contatti che egli mantiene a ogni livello: con il Principe, con i suoi ministri, con gli uomini di cultura[32] e persino con la gente semplice, come quelle guardie che poterono restituirgli gli oggetti trafugati (un orologio e due fucili), ch’egli credeva  “per sempre perduti”. L’apparente freddo distacco svanisce del tutto quando inevitabile diventa il richiamo del console a Torino e allora Cerruti apertamente esprime tutto il suo disappunto e lo scontento per la decisione di sopprimere il consolato, da lui ritenuto importante. Nell’Archivio non ci sono documenti relativi alla partenza di Cerruti da Belgrado e al suo rientro nella capitale subalpina.  Sappiamo che era partito il 7 novembre 1849, via Pest, Vienna e Trieste, perché ce ne dà notizie il fratello Luigi Cerreti, informandone il Ministero ed esprimendo

“[…] i sentimenti della più viva gratitudine […] nell’affidarmi la gerenza di questo consolato, durante la lontananza di mio fratello.

Egli mi presentò prima di lasciar Belgrado a S.A. il Principe, ai Ministri, ed al Corpo Consolare […], lasciandomi con tutti nei migliori termini possibili dacché non potea non essere sotto i di Lui auspicii.

Io spero poterla convincere, Sig.r Presidente, non esser certo per mancarmi la buona ritenzione, almeno, e lo zelo finché avrò l’onore di rimanere alla direzione di un posto che non perdette ancora quell’interesse che presentò nei momenti più caldi delle ultime vicende politiche, e che da un momento all’altro può acquistarne un grado più che mai rilevante”.[33]

Questa lettera è datata 10 novembre 1849 ed è stata firmata da Luigi Cerruti, ma il suo autore avrebbe potuto essere anche Marcello: si sente la sua impronta nel tono, garbato e pieno di rispetto nei confronti del ministro, superiore di grado al quale si rivolge, ma nello stesso tempo anche convinto che Belgrado sia “il posto più importante della politica italiana” nei Balcani e che il Regno di Sardegna deve mantenervi la sua rappresentanza per il prestigio e per le prospettive che offre nell’analisi di avvenimenti politici di tutta quella zona. Dunque, la strada tracciata da Marcello Cerruti portava anche suo fratello e vice-console nella stessa direzione, sì da suscitare continue lamentele di Vienna contro questo consolato e la sua attività[34] sino ad ottenere il suo richiamo. Egli abbandona Belgrado il 19 marzo 1850, un anno esatto dopo l’arrivo, imbarcandosi su un vaporetto per Costantinopoli.[35]

La permanenza relativamente breve di Marcello Cerruti in qualità di console e di suo fratello vice-console a Belgrado non ha dato i risultati sperati. Si potrebbe persino constatare che la loro missione fu un insuccesso, date le circostanze storiche in cui essa si svolse e lo scontro d’interesse tra le parti coinvolte.[36] Tuttavia, questo consolato fu il primo legame ufficiale tra i due paesi, il Regno di Sardegna e il Principato di Serbia, ed ebbe in Marcello Cerruti un degno fautore della “simpatia [per] tutto ciò che era italiano”[37] preparando in tal modo il terreno per altri rapporti e legami che dopo di lui saranno allacciati.

 

  1. Cfr. Archivio di Stato di Torino. Materie politiche per rapporto all'estero. Consolati nazionali – Belgrado, mazzo 1.
  2. Cfr. Lj. Banjanin, Francesco Fortunato Astengo, console del Regno Sardo a Belgrado, “Studi Piemontesi”, XXVIII, 1999, n.1, pp.181-198.
  3. Vedi Le Scritture della Segreteria di Stato degli Affari Esteri del Regno di Sardegna, a cura di Ruggero Moscati, Indici, Vol.I, Roma, 1947; Guido Quazza, La politica orientale e balcanica del Regno Sardo nel 1848- 49, in “Rassegna Storica del Rissorgimento Italiano”, Roma, 1948, a .XXXV, fasc.II-IV, pp.151-167; Stefano Markus, La missione del console Marcello Cerruti nel 1849, in “Rassegna Storica del Risorgimento Italiano”, Roma, 1950, a .XXXVII, pp.287-304; Angelo Tamborra, Cavour e i Balcani, Ilte, Torino, 1958; Id., L'Europa danubiano-balcanica e l'Italia nel Risorgimento, in AA.VV., Italia del Risorgimento e mondo danubiano-balcanico, Del Bianco Editore, Udine, 1958, pp.7-24.
  4. 4 Vedi Pasquale Fornaro, Risorgimento italiano e questione ungherese (1849-1867). Marcello Cerruti e le intese politiche italo-magiare, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1995.
  5. Ljiljana Aleksić Pejković, Politika Italije prema Srbiji do 1870.godine (La politica dell'Italia nei confronti della Serbia fino all'anno 1870, Narodna knjiga-Istorijski institut, Beograd, 1979 (in part.pp.27-62). Cfr. anche Nikša Stipčević sui rapporti italo- serbi nel XIX secolo, pubblicati nella rivista belgradese “Prilozi za KJIF”, XXXVII,1971,1-2,pp.27-38; XXXVIII, 1972, 3-4,pp.163-201.
  6. Cfr. Tamborra, Cavour e i Balcani, op. cit., p.16 e Id., Un carbonaro piemontese, medico e uomo di Stato, nella Serbia dell'Ottocento: Bartolomeo Silvestri Cuniberti, in “Studi Piemontesi”, 2001, vol.XXX, fasc.2, , p.356. Cfr. anche Giuseppe Pierazzi, Studi sui rapporti italo-jugoslavi (1848-49), in “Archivio storico italiano”, a.80, 1972, dispensa II, in part. pp. 182-183.
  7. Cfr. Fornaro, Risorgimento italiano e questione ungherese…, op.cit., p.43. La citazione di Fornaro si riferisce ad Alessandro Monti che in quegli anni soggiornò a Belgrado.
  8. Alessandro Monti ( 1818-1854 )ufficiale nel esercito austriaco era stato tra gli organizzatori della rivolta di Brescia nel 1848, e aveva buona conoscenza dell'Europa centro-orientale. Su Monti cfr. in Fornaro, Risorgimento italiano e questione ungherese…,op.cit., pp.40-47, per l'analisi dei rapporti di Monti con Cerruti ,inoltre cfr. la voce di M.[ichele] Rosi in Dizionario del Risorgimento Nazionale, III, Vallardi Ed., Milano, 1933, pp.633-634.
  9. Cit. Archivio di Stato di Torino (in seguito AST), Carte politiche diverse 1849, m .28, n.172. Istruzione per il Signor Inviato in Ungheria (minuta), 27.12.1848.Lo stesso testo è riportato anche in .Fornaro, Risorgimento italiano e questione ungherese…,op.cit., pp.39-40 e in Quazza, La politica orientale e balcanica del Regno sardo…, op.cit., pp.158-160 .
  10. Aleksić-Pejković, Politika Italije prema Srbiji…,op.cit. p.38. Cfr. anche Antonio Anzilotti, Italiani e Jugoslavi nel Risorgimento, Roma, 1920, p. 26: “A Belgrado un rappresentante sardo doveva preparare le relazioni tra il governo serbo e l'emigrazione magiara”.
  11. Sulla vita di M. Ceruti v. la voce a firma di Alberto Malatesta nella Enciclopedia biografica e bibliografica “Italiana”. Serie XLIII, Ministri, deputati, senatori dal 1848 , E.B.B.I., Ist. .Editoriale Italiano, Milano, 1940, p.243 e la voce a firma di V.Clemente e G. Pirjevec in Dizionario biografico degli italiani, vol.24, Istituto della Encicliopedia Italiana Treccani, Roma, 1980, pp.39-45. Su Luigi Francesco Cerruti vedi la bibliografia in Fornaro, op.cit. , p. 55, nota 74.
  12. Termine di origine araba barat indica uno scritto speciale con il quale veniva garantito l'exequatur ai rappresentanti diplomatici europei in Turchia ottomana.
  13. Aleksić-Pejković, Politika Italije prema Srbiji…, op. cit., p.40.
  14. AST, n. 7, M .Cerruti a Vincenzo Gioberti, Belgrado 23 Marzo 1849.
  15. AST, n.14, M.Cerruti al Ministro degli Affari Esteri [Conte De Sonnaz], Belgrado 6 Aprile 1849.
  16. AST, n.48, M.Cerruti al Presidente del Consiglio-Ministro degli Affari Esteri [Massimo d'Azeglio], Belgrado 13 Luglio 1849.
  17. AST, n. 14, M .Cerruti al Ministro degli Affari Esteri, Belgrado 6 Aprile 1849.
  18. AST, n.19, M.Cerruti al Ministro degli Affari Esteri, Belgrado 20 Aprile 1849.
  19. AST, n.27, M.Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado 18 Maggio 1849.
  20. AST, n. 48, M .Cerruti al Presidente del Consiglio, Ministro degli Affari esteri, belgrado 13 Luglio 1849.
  21. Ibidem.
  22. Ibidem.
  23. Ibidem.
  24. Ibidem.
  25. Ibidem.
  26. AST,n.79, M.Cerruti a d'Azeglio, Belgrado 6 Ottobre 1849.
  27. Ibidem.
  28. AST, n. 21 , M.Cerruti a De Sonnaz, Belgrado 3 Maggio 1849.
  29. AST, n.26, M. Cerruti al Presidente del Consiglio, Belgrado 17 Maggio 1849.
  30. Fornaro, Risorgimento italiano e questione ungherese …, op . cit ., pp. .82-83 . Anche Fornaro cita questa lettera come una testimonianza “molto bella, oltre che interessante” dell'atmosfera che si era creata tra il console Cerruti e i combattenti che, a prescindere dai loro giudizi politici, erano sicuramente guidati dai puri sentimenti patriottici e per questo meritavano un aiuto del Regno Sardo.
  31. AST, n.82 (dupl.), M.Cerruti a D'Azeglio, Belgrado 15 Ottobre 1849.
  32. Si può supporre che Cerruti abbia fatto conoscenza dello scrittore serbo Jakov Ignjatović (1822-1889), uno dei migliori rappresentanti del realismo letterario. Cfr. Jakov Ignjatović, Rapsodije iz prošlog srpskog života . Memoari , ( Le rapsodìe della vita serba passata . Le memorie ), Novi Sad 1953, dove viene menzionato Cerruti (pp. 248, 430).
  33. AST, n.86, Luigi Cerruti a d'Azeglio, Belgrado 10 Novembre 1849.
  34. Cfr. Markus, La missione del console Marcello Cerruti nel 1849 , op . cit ., p. 302 .
  35. Dato trovato in AST, n. 109, L.Cerruti a d'Azeglio, Belgrado 19 Marzo 1850.
  36. Cfr. Aleksić Pejković, Politika Italije prema Srbiji …, op . cit ., p.46.
  37. AST, n.98, L.Cerruti a d'Azeglio, Belgrado 11 Gennajo 1850.

In: Studi Piemontesi, XXXII/1, 2003, 145-171.

На Растку објављено: 2008-02-09
Датум последње измене: 2008-02-08 21:48:28
 

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