Niccolò Tommaseo

Prefazione (Canti popolari. Canti illirici, Venezia 1842)

 

Un poeta di gente slava, il quale ora insegna la letteratura nostra in Parigi, Adamo Michievic, nome noto in Europa e caro agli amici del dignitoso sentire, chiama la Serbia il paese delle avventure e de' tornei, la assomiglia al suolo di Navarra e di Catalogna. Chi lesse i canti di lei, sa che in questo quasi embrione di popolo si mantennero più schiette le tradizioni poetiche, che non in veruna forse delle slave famiglie che coprono due terzi d' Europa, e si distendono sull Adriatico, sull' Eusino, sul Baltico [1]. La Serbia fu nido a un impero che, durato vensette soli anni, minacciò la depravata Bisanzio. E Bisanzio a domare quella possa novella invocò la spada del Turco, che , sessantacinqu' anni dopo lacerata la serbica insegna, doveva lacerare la greca. Dalla grande ruina, quasi fontana da sotterraneo commovimento, sgorgò a' Serbi miseri la poesia: che tutt' intorno al campo di Cóssovo volano i primi suoi canti. L' epopea delle nazioni tien sempre della tragedia.

Schiavi e Servi, nomi che paiono di maledizione ambedue. Ma li frantese l'ignoranza superba di popoli che si chiamano inciviliti; e la sventura ostinata di più secoli confermò quell' errore. Slavo nella lingua nostra suona o gloria o parola, e forse entrambe le cose; come da un verbo che vale parlare, esce fama. Intitolavano sé parlanti (μερόπων άνζρώπων), e i Germani mutoli, niemzi. Quanto a' Serbi, il lor nome è più antico de' disdegni di Roma: e Plinio più propriamente li chiama Serbli; altri più recenti, Sorabi e Servii, altri, allungando come modernamente si fa, Serviani. Niceta dice Serbi i Tribali, che ad Isocrate suonava barbari: appunto come barbari chiamava Ovidio i popoli fra' quali vivea relegato, donde appunto uscirono a migrare le Serbe colonie: e non prevedeva lo sfortunato adulatore dell'infelicissimo padre di Giulia, non prevedeva che tra que' barbari di lì a molti secoli nascerebbero ammiratori e giudici del suo verso. Gregorio VII chiama il principe di Serbia re degli Slavi [2]. Enea Silvio chiama i Dalmati slavi, i Bossinesi illirici, i Serbi Rasciani e Triballi, i Valacchi Mesi, Geti i Transilvani: non so se con istorica proprietà.

Fatto è che i Serbi, gli antichi Sciti, tenevano in prima il tratto che va dalla palude Meotide al Volga o Ra; quivi venuti pacificamente dall' ultim' Asia. Calarono i Serbi co' Venedi nelle regioni abbandonate da' Vandali, Borgognoni, Svevi, e presero le rive del Baltico, dalla Vistola all'Albi, regnante Teodosio secondo [3]. Nel 539 Unni, Gepidi, Bulgari, Slavi incorsero fino alle Termopile; nel 578 tutte le provincie d' Europa che poi furono turche, quell' invasione inondò; nel 589 il Peloponneso era un dominio degli Slavi che mutarono i nomi de' luoghi. E slavo nome è Morea ch' ha origine medesima di Morlacco, da mare; misteriosa vicenda di parole e di cose, cagione ed effetto di nuove parentele tra' popoli. Nella Tracia Orientale, nella Calcide, nella Tessaglia, nell' Epiro inferiore, si conservò più pura la stirpe greca: il rimanente può dirsi oramai men greca stirpe che slava [4]. Nel settimo secolo Eraclio a ripopolare la Grecia deserta chiama altri Slavi: onde i due sangui posson dirsi oramai fusi in uno.

Ma per venire alla Serbia, nel settimo secolo comincia la serie de' suoi re. I nomi di parecchi de' primi finiscono in miro: Zuonimiro, Paulimiro, e simile; desinenza onorevole e ad essi e alla nazione, perch' ha radice in un vocabolo che significa pace. Altra desinenza è Slavo, che vale, come abbiam detto, gloria, ed è diventato suono comune a tutte le genti della famiglia cristiana, ne' nomi, Ladislao, Stanislao, ed altri simili. In quel secolo rimasta la Serbia deserta per le incursioni degli Abari, Eraclio la diede ai Serbi battezzati da un prete romano [5]. Serbia e Croazia facevano un regno. Ma parte di Croazia per ribellione si distaccò, e nel secolo nono la guerra co' Bulgari sparse la desolazione nella Serbia montana. Nel decimo fu la Serbia tributaria de' Bulgari che distesero fino all'Adriatico i dominii loro, e dal 976 al 1014 regnarono in Macedonia. E anche quanto a giurisdizione religiosa, parte della Serbia era diocesi Bulgarica, parte dipendeva dall' arcivescovo di Salona. Nel decimo secolo decadde Bulgaria, Serbia sorse: e sostenne guerreggiamento continovo contro Costantinopoli. E l' autorità che in sul primo era de' principi, diventò de' zupani, forse perché le sconfitte toccate da' Bulgari, fecero sentire alla nazione la necessità di dividere il governo in più mani, che più prontamente respingessero l'incorrente pericolo. Pare invero che il reggimento de' seniori fosse l'antichissimo del paese; e che, dismesso, rinsaviti dai nuovi dolori, lo ripigliassero [6]. Nel 914 Ceslavo rende la Serbia indipendente da'Bulgari; nel 1032 Dobroslavo la rende indipendente da' Greci, e ristaura la nazione: nel 1040 sconfigge i sessantamila armati di Michele governatore d' Epiro. Per tutto il secolo duodecimo fu la Serbia retta da un grande zupano. Nel principio del tredicesimo i re d' Ungheria pretendevano come un alto dominio su quel paese, e intitolavansi redi Rascia: ma dopo che i Tartari nel 1241 ebbero invase e Ungheria e Serbia e Bossina, le forze serbiche si vennero dilatando, e nel 1290 avevano occupata la Bossina, nel 1292 s' era ad esse il principe di Bulgaria sottomesso. Il secolo decimoquarto, memorando all' Italia e all' Europa tutta così come il quarto, fu secolo alla Serbia di suprema grandezza e di finale ruina. Delle quali cose diremo dipoi.

Ma la Serbia allora era stretta al rimanente d' Europa con più stretti vincoli che non siano in questo secolo di civiltà, Grecia e Italia, Italia e Svizzera, Napoli e Malta. Nel secolo undecimo hanno trattati con la signoria di Venezia, nel duodecimo una Serba è moglie al figlinolo del Doge, nel XIII Dragutino è marito alla figlia del re d' Ungheria, e Stefano a una nepote d' Enrico Dandolo; nel decimoquarto Urosio secondo alla figlia d' Andronico imperatore, e s' intitola re di Rascia Dioclea Croazia Albania e Bulgaria e di tutte le spiagge dal golfo Adriatico al fiume Danubio: e la figlinola di lui era promessa al figlio del Valois; e un'altra sua è moglie a Michele imperatore de' Bulgari. Ed egli manda legati a Clemente V in Francia , e Gemente gli manda legati un di Parma, uno di Brindisi, un di Narbona. Fin nel secolo XV è moglie a un marchese di Monferrato Angelina della famiglia di Lazzaro Conte: e nel principio del XVI una Mocenigo è moglie d' un Giorgio Zernojevic. Avevano i re di Serbia il lor ordine cavalieresco di Santo Stefano, e ne fregiavano i legati de' principi. Avevano le dignità e le cariche della corte bizantina, siccome quelli che fin nelle inezie volevano gareggiare con quella. Di che conservasi vestigio fino al secolo decimo quinto nella Bossina, dove il Tomassevic re di Rascia, Serbia, Bossina, Maremma, Dalmazia e Croazia [7] ha il magister pincernarum ed il magister dapiferorum. Ma non eran tutte da sollazzo quelle dignità, a quanto pare. E il re scrive le sue lettere a' prelati, baroni, vaivodi, grandi, e nobili eletti di tutti i comuni del regno suo; e li invita a trattare delle cose che spettano all' utilità e quiete del regno. In una del 1459 rammentami prelati, baroni, magnati, conti, voivodi, visconti, generali, tribuni, centurioni, nobili, giurati, cittadini di qualsiasi stato e condizione. Nè queste sono istituzioni recenti o proprie alla Bossina: nel 1314 il buon Benedetto XI, scrivendo ad Urosio IV rammenta i baroni del regno: e un altro documento del 1319, il clero, i nobili e il popolo. E nel 1323 una lettera di Giovanni XXII espressamente: rex ac praelati, duces, nobiles, ac populus dicti regni, in parlamento publico congregati.

Onde vedi che queste erano istituzioni antichissime, e che, siccome il Porfirogenito afferma, la potestà suprema era piuttosto destinata a recare il potere de' baroni a unità, che a restringerlo tutto in un solo nomo. La qual costituzione non poteva non essere propria a nazione composta di piccoli municipii, a cui la famiglia e il paese era patria. Di qui segue ancora l' autorità molta del clero, il quale ne' piccoli luoghi veramente governa, e dall' angustia del potere è tenuto in freno a non ne abusare. E sebbene la storia non ci dia di ciò documenti assai chiari, credo si possa affermare che la stirpe regia de' Nemànidi, appunto per aver troppo voluto assorbire in se la potenza baronale, e la sacerdotale comprimere, abbia preparata a se e alla nazione la finale rovina. L'indole rerbica non è usurpatrice, ma pacifica nel valore, e ilare e casalinga. I Nemanidi vollero farle forza: nazione possente della sua piccolezza e rada la vollero condensare in impero. Di qui gli odii interni, e gli esterni terrori. A' Greci fu turpe cosa invocare salvatrice la spada ottomanna: ma l'avidità di Stefano Dusciàno a questa turpitudine li tentò.

Dal duodecimo secolo incominciano i Nemànidi , a sorgere: prima gran bani di Rascia, poi re, da ultimo imperatori. Dugendodici anni si continuò in quella stirpe il dominio per dieci principi, il cui stemma era un' aquila bicipite con due gigli. Fa loro crescimento il decrescere di Bisanzio. Nel 1165 Stefano, l' avo d' otto re e due imperatori, il quale sedeva in Rassa nel bel mezzo di Rascia , invade la Macedonia; uomo, al dir di Niceta, d' inquieto animo e insaziabile. Il figliuolo di lui, primo re coronato, ebbe moglie Eudossia figliuola d' Alessio terzo imperatore; la quale da lui ubriacone e adultero fu cacciata via come adultera in camicia cincischiata. Radoslavo il figliuolo di Stefano ebbe a moglie una Lascari; e altri de' successori, non meno nobili affinità.

Quegli che coronò la grandezza del nome serbico, e forse, ripeto, ne preparò la ruina, gli è Stefano soprannominato Dusciano dalle molte elemosine pie che fece (come dire uomo di spirito, nel senso ascetico, o di coscienza); marito ad Elena figliuola del principe di Bulgaria Strasimiro. Dusciano dal 1334 al 56 ebbe l' impero, e guerre quasi continove e fortonate. Nel 1340 ebbe conquistata la Macedonia, tranne Tessalonica; e la Tessaglia, e gran parte della presente Albania, e l'Acarnania, e fino ai piani d' Adrianopoli. Nel 1347 il Cantacazeno invoca contra il temuto uomo Orcane co' suoi Turchi in Europa, i quali irrompenti e saccheggianti Stefano in più scontri respinse. Nel 1349 e' riprende il paese toltogli dall' Ungheria, con la quale avevano contro lui guerreggiato la Bossina, Traù, Sebenico, Scardona e Lissa. Nel 1350 e' combatte la Bossina; e Venezia lo difende, che aveva creato Stefano de' suoi senatori. Nel 1352, aiutato dagli Ungheri, respinge i Tartari: nel 56 coll' alleanza de' Veneti combatte Ungheria, cui tre volte vinse in sua vita. Aveva guerreggiati Greci, Turchi, Tartari, Ungheri, Bossinesi: erano sue provincie Romania, Tracia, Tessaglia, Macedonia, Bulgaria, Albania, Acarnania ed Etolia, fino all' Eubeo ; aveva di suo sull' Adriatico , l' Ionio , l' Egeo. Intitolavasi imperatore de' Greci, de' Bulgari, de' Valacchi, de' Rascii, degli Alani. Ed andava con ottantamila uomini contro Solimano figliuolo d' Orcane, quando la morte lo colse.

Muor di febbre addì venti di dicembre del 1355 nell' età di quarantacinqu' anni: ed è sepolto agli Arcangeli, monastero e chiesa da lui edificata in Prisrenda. Lo pianse l' esercito: del quale eran parte, come dell' esercito del padre e dell' avo suo, milizie straniere, e turche e tedesche. E le cronache parlano d' un capitano di gente armigera, Palmento teutonico.

Al letto di morte chiamò i grandi del regno: e con molti e terribili giuramenti li strinse alla fede del giovane imperatore Urosio, figliuol suo. Aveva già egli in sua vita partito a vari governatori le varie provincie; le più soggette alla guerra, a' propri fratelli: ma ogni due anni se nе faceva rendere conto, sapendo che qui plena auctoritate funguntur, nec examini sunt obnoxii, vix diu in officio et inter rectos limites consistunt. Nondimeno in soverchia forza erano costoro cresciuti: che la guerra e l'orgoglio occupavano troppo i pensieri di Stefano; e dello sfoggiare le apparenze della potestà ne' suoi luogotenenti aveva di bisogno egli stesso, a tenere in rispetto sudditi tanti e novelli.

Tra' suoi più potenti erano tre fratelli Merliavcevic, d' una povera famiglia di Livno, ma nelle canzoni del popolo fatta di sangue regio: Uliesa, Goico, e Vucássino: Goico, che aveva titolo di logoteta; Uliesa, di protospatario, comandante Romania e Macedonia: Vucassino, grande scudiere, aveva la Mesia orientale, e l'occidentale Bulgaria.

Successe a Stefano, Urosio, che fu diciassette anni imperatore di nome: fin dal 1355 sposo ad Anca di Valacchia ; ultimo de' Nemànidi. Egli imperatore di nome: ma i suoi capitani, sempre armati, e sovente ribelli, lo combatterono sino in campo. Ed egli visse or da questo or da quello, in disonorevole rifugio ed ospizio codardo. Innocenzo VI liberò Venezia dalla fede ad Ùrosio giurata: finché di sventura in sventura fatto prigione da Vucassino, e poi fuggito, sotto la mazza del crudele uomo perì. Ebbe fama di santo: e pio era. Fondò a Scopia una chiesa: un' altra, Elena, madre sua, la quale, ora avversa ora riconciliatagli, visse a Dio gli ultimi tre anni, rinchiusa in un monastero.

Vucassino, fatto, con Uliesa, grande e dal valor suo e dalle prede guerriere, ebbe titolo di despota in prima, poi di re di Serbia e di Romania: ebbe sua sede in Pristina; e dall' arcivescovo di Pechia fu coronato; ma dagli stranieri non fu reputato re ; e papa Gregorio XI lo chiama magnate. Morto Stefano, ciascheduno de' suoi grandi aveva promesso tenere la propria provincia, e non movere guerra: ma Uliesa e Vucassino diedero il mal esempio di molestare i men forti, e con la prepotenza eccitarono gli altrui rancori. Erano lor nemici Altomano, e Lazzaro conte, del quale diremo poi: Lazzaro, assalito da Uliesa e da Vucassino, protetto dagli Ungheri. I successori di Stefano infestavano i Greci; i Turchi intanto nella Serbia incorrevano. Vucassino che con settantamila uomini contrastò ad Amuratte, ebbe da prima vittoria, poi rotta e morte. Morì nel 1372, co' suoi due fratelli Uliesa e Goico; chi dice, affogato nella Márizza; chi, dopo uscito dell' acque, ucciso dal ferro nemico.

Una figliuola dì Vucassino fa moglie a Manuele Cantacuseno: altri figliuoli di lui regnarono neil' Argolide e nella Locride, ligi al Turco Amuratte; che nel 1373 a lui ricorsero. Il più celebre è il maggiore, Marco, detto Cralievic, cioè figliuolo del re: personaggio che in se raccoglie i pregi e i difetti della gente Serbica , simbolo delle alteramente e con fiducia da lei portate sventure. A Marco non piacevano le avare ingiustizie del padre e la vile prepotenza esercitata contro Urosio il figliuolo del gran monarca, Onde il padre lo scaccia; ed egli va e serve ad Amuratte, e fino in Arabia combatte sotto la bandiera ottomanna. E nella battaglia d' Ancira salvò a Solimano figliuolo di Baiazette la vita. La qual cosa - accenna forse ai soccorsi ch' ebbero i Turchi da' Serbi ormai sudditi, e massime da' figliuoli di re Vucassino. Ma pare che Marco a' Turchi si volgesse, offeso da' suoi. Altomanno gli toglie il paese da lui governato, Castoria, e il Piano di Monastir, e la città di Prilipa verso Macedonia, ove tuttavia vedesi a ponente il suo castello su un masso alto sopra la città cinquecento piedi. Ebbe moglie greca, la quale ripudiò malcontento. La storia lo fa morire nella battaglia di Baiazette contro un principe di Valacchia; ma la favola lo fa vivere trecent' anni, poi addormentarsi tranquillo, e aspettare un miglior di che si desti. La poesia è il vaso d' oro in cui, distillata con lacrime, serbasi l' umana speranza.

La battaglia di Cóssovo non era in verità buono augurio alla battaglia di Misar: ma il nome di Lazzaro, conservato ne' canti con religiosa pietà, potè forse non poco sull' animo di Giorgio il Nero, del quale e di Milosio le grandi prove e i meriti verso la patria è troppo facile a dimenticare o ad attenuare la misera generazione presente, che neil' astuzia pone la sapienza, e la gloria neil' utile.

Lazzaro Greblanovic, conte, figliuolo d' un figliuolo naturale di Stefano, o piuttosto d' un Pribazio barone, fu l' ultimo regnante di Serbia: che sotto Stefano governava corno suo luogotenente il paese lungo il Danubio; e, vivente Urosio, crebbe sempre in potenza, e lo incitò contro Vucassino ed Uliesa, e nel 1371 l' abbandonò. Ebbe Miliza a moglie: chi dice, figliuola d' Uliesa, e chi di Giovanni Cantacuzeno; e chi, di Vratco: ma pare che fosse di sangue regio. Nel 76 fa coronato; ma dagli esteri non ebbe mai nome di re.

Poteva Lazzaro armare centomil' uomini e più: ma le discordie intestine, e i sospetti originati da quelle e che avverano, fino i mali imaginati, e la debolezza dell' animo suo, precipitarono la ruina. Nel 1373 aveva egli difeso contro a' Turchi Susmano principe di Bulgaria, che nell' infelice battaglia dell' 89 cadde in man del nemico. E con Bulgaria, Bossina ed Ungheria aveva stretto contro Amuratte una lega; e riconosciuta dall' Ungheria sopra la Serbia non so qual potestà. Ma dopo che nell' 86 ebbe Amuratte presa Nissa, Lazzaro si sottomise con tributo, e mandò schiere serbiche in Asia sotto le insegne ottomanne. Nell' 87 si ribellò: e innanzi la misera caduta due volte vinse Amuratte in battaglia.

Nel 1389 sul campo di Cossovo fa recisa la vita della nazione, in sé stessa divisa. Il dì quindici di giugno divenne festivo a' Serbi di trista solennità. Milosio Obilic, genero del Sire, indarno penetrò nella tenda del Turco; dove, uccisa moltitudine di nemici, ma non Amuratte, sotto il numero soverchiante peri. I canti accusano Vuco Brancovich, marito a Mara figliuola di Lazzaro , che per invidia a Milosio tradisste il suocero e la patria, ritraendosi con sette mila de' suoi dalla ardente battaglia. Altri nega il vile atto. Ma fosse anche vero: se la defezione di poche migliaia basta a spegnere un regno ed un popolo, segno è ch' altri germi covavano di morte in lui. Tristi germi erano l' esempio ch' aveva già dato Lazzaro stesso d' infedele versatilità, poi le turpi discordie de! grandi, poi quel dispregio superbo in che i Serbi tenevano i Turchi. Non temere il nemico, è salute: dispregiarlo è ruina.

Perirono a Cossovo e Lazzaro ed Amuratte; il terribile istitutore della milizia giannizzera, il vincitore di trentanove battaglie. Chi dice che il principe Serbo per mutare cavallo s' allontanasse un momento, e che i suoi credendolo volto in fuga, fuggissero, ed egli invano li richiamasse a battaglia; chi dice che da ultimo accortosi del tradimento, volgesse le spalle; chi dice che caduto col cavallo in un fosso, da nemico ignoto aveste la motte. Gli annali Turchi lo conducono nella tenda d' Amuratte agonizzante, e quivi lo vogliono ucciso. Al dire d' altri, morto Amurette, i Turchi fuggirono; e Baiazette figliuolo di lui, rifece la battaglia ove Lazzaro cadde. Altri, da ultimo, fa che Amuratte passeggiando vincitore nel campo da un soldato mezzo morto avesse la ferita di morte. Il corpo del Turco portarono a Prusa, e le viscere posero lì presso Cossovo sotto una torre che ancora si vede. Il corpo di Lazzaro i Serbi sottrassero. Narra il popolo che lo componessero in lenzuolo ricamato in oro da Miliza, la moglie misera. Narra che dalle mani di lei apposto il capo reciso al corpo, si rappiccasse; e che dopo due anni e otto mesi le spoglie del martire venerato spirassero soave odore, quando di Pristina lo trasportarono a Ravanizza, già sua sede, nel tempio dell' Ascensione da lui riccamente donato; dove vedevasi nel refettorio dipinta la dolorosa battaglia. Di lì poi trasportato nel Sirmio. E vive in Serbia il suo nome; che un ditretto chiamasi tuttavia con nome turchesco vilaeti di Lazaro: signoria di dolore, immortalità di sventura.

Codesto stesso tramutare del morto corpo indica un non so qual sopravvivere d' instabilità e di disgrazia. Dal decimoquinto secolo incominciarono le migrazioni de' Serbi a migliaia: e nel 1690 trentasettemila famiglie ne uscirono a un tratto, e altre poi: ed era forse destino che, nella terra straniera trapiantati, preparassero a se e ad altri col volgere de' secoli novella vita.

Addì venti del medesimo mese di giugno furono valorosamente battuti in Bossina i Turchi: ma il nome serbico più non era. Milieva la figliuola di Lazzaro è data da Miliza madre e dal fratello Stefano moglie al Turco vincitore (le due sorelle Vucosava e Braide eran date quella a un principe di Zenta, questa ali' imperatore de' Bulgari): e Baiazette in ricambio crea Stefano despota del Sirmio di Bossina e d' Ungheria. Muore Miliza nel 1406 monaca sotto nome di suor Eugenia. Vuco Brancovich, il cognato di Baiazette, molestatore del despota, e non sostenuto dal Turco, ha (in qual tempo non so) del dominio di Serbia una parte, e muore nel 1399: e Mara la moglie nel 1425, sua compagna negli odii. Giorgio il figliuolo loro dopo il 1423 ha dominio: l'ultimo della sua gente. Nel 1432 il cielo stesso (narrano le voci del popolo) annunziò co' portenti consumato ogni cosa. Trombe sonare sul fiume, e stelle cadenti dall' alto; e tetta turbinate dal vento, e imagini sacre per la chiesa volanti.

Ma da già più d' un secolo qualcosa s' era mosso nel tempio. Delle calamità della Serbia, così come della Grecia, non piccola parte son frutto della dissociazione religiosa, che sciolse quelle elette parti della cristianità dal restante d' Europa. Fin dal 1221 il monaco Sava fratello a Stefano re Nemanide, dall' un lato separò la serbica chiesa dalla latina, dall' altro incominciò a scioglierla dalla costantinopolitana allentando i vincoli antichi. Stefano il Dusciano nel 1351 in un sinodo di Serbi e di Bulgari convertì il metropolitano in patriarca, indipendente dal greco, e giurisdicente in gran parte di Macedonia: alla qual cosa eran forse pretesto le arroganze d' alcuni vescovi greci mandati alle diocesi serbiche. Nel 1376 Teofane, il patriarca greco, riconobbe l'autorità del serbico dall' Adriatico tosino al mar Nero. Ma lo sminuzzarsi della potestà, quando la grande unità degli affetti non sia conservata, è acceleramento a ruina. Le intolleranze de' preti greci contro i latini, condannati alle miniere e all' esilio, e que' che si facessero predicatori, alla morte, a che giovarono mai ? A fare turche e selvagge gran parte di quelle regioni destinate da Dio alle operose gioie della civile bellezza. Nè il povero popolo dall' unità rifuggiva. Dice chiaramente l' Orbino [8], che dopo la metà del secolo duodecimo un bano di nome Dessa si sarebbe unito a' Latini, ma lo tenne il timore di perdere la signoria per opera de' suoi baroni. Di Stefano Dusciano stesso sappiamo che ora protesse dalle offese i Latini, ora scacciò via tutti i vescovi del rito di Bisanzio; e poi, trascorrendo nell' altro eccesso, si dimostrò irriverente al legato di Roma, e minacciò d' accecare chiunque assistesse agli uffizi sacri di lui. Che fossero mondi d' ogni taccia d' imprudenza e di prepotenza cotesti legati, sarebbe forse non facile dimostrare. Non fu sempre imitata la savia moderazione di Vigilio e di Nicolò primo, che riconobbero ne' Greci e ne' Serbi facolta d' eleggere vescovi, e subito consacrarli, e avere il pallio da Roma poi; nè di Giovanni VIII che nell' 879 approvò il rito illirico serbico, tentato poi togliere da Giovanni X invano; nè d' Alessandro II, che nel 1061 scriveva latinorum graecorum sclavorumque unam esse ecclesiam; e nel seguente anno comprendeva nel discorsa medesimo: monasteria tam latinorum quam graecorum sive sclavorum [9]. I Serbi battezzati fin dal secolo settimo, e nel nono degnati dell' apostolato di Cirillo e Metodio, lungamente vacillarono tra l'unità e la discordia. Nel decimo secolo, al sinodo nazionale di Spalato assistono i Serbi ancora; e nell' un decimo Michele richiede il pallio a Gregorio VII, ed il vessillo; nel duodecimo al sinodo di Dioclea il vescovo serbico dicesi unito a Roma; nel tredicesimo Volcano dice, dai mandati del pontefice totum regnum nostrum illustratum. Forse più politica che religiosa era ed è, come in Serbia cosi in Grecia, la lite.

E popolo religioso gli è il Serbo. Fin dal secolo XIII Urosio II innalza a Gerosolima, sul Sinai, per omnia Graecorum Sclavorunque regna et insulas, xenodochia et templa, tanti templi quanti anni di regno; quarantadue. Tutti quasi i re fecero atti di solenne pietà: dimostranti ch' eglino così credevano conformarsi al sentire della nazione tutta quanta. Le costituzioni politiche di Stefano Dusciano, amante di Cristo, furono stabilite per la grazia dell' Altissimo Iddio il dì dell' Ascensione nel 1349, presenti il patriarca, i metropolitani, i vescovi, Sire Stefano, i conti, i grandi e piccoli governatori. Nel 1815 Milosio Del dì delle Palme commove il popolo alla guerra sacra in un convento, lo rieccita in un altro convento [10]. Nelle guerre di Giorgio il Nero combatterono monaci, capitano un Nenadovic arciprete. La speranza del civile risorgimento era fede. Una vecchia di razza serbica nell' Alta Albania, al vedere il Signor Bouè con altri forestieri venire, l' accolse come l'aspettato liberatore dal giogo turchesco [11]. E i Turchi sorridere tranquillamente chiamandola pazza. I Maomettani io Serbia dodicimila, novecentomila i Cristiani; e i Turchi stessi celebrano la festa di San Pietro, di Sant' Elia, di San Giorgio. Il dì della Trinità concorrevano al convento di Stndennza devoti fin da cencinquanta miglia: che se le chiese in Serbia non abondano, codesto aguzza il desiderio in popolo pio. Amano pregare in comune: spesso rammentano Dio. Sinora fuggirono la bestemmia: ma i nuovi rivolgimenti li vengono corrompendo. I preti e i frati sinora soli maestri; e i Latini in Bossina ed in Erzegovina meno ignoranti de' Greci.

Religioso popolo, e semplice, e coraggioso, e sincero, con dolci dimostrazioni d' affetto. Non derisore, ma grave; e tenace de' propositi fatti e degli usi. Brevi le promesse, ma sacre [12]; il tradimento aborrito. Pochi nelle ultime guerre di Grecia i traditori; in Servia ancora più pochi [13]. Fin verso i nemici osservata la fede. Il forestiere non ingannato mai per amore di lucro [14]. Il Serbo è generoso del proprio [15]; d' accattare non degna [16]. Mangia di molto, ma semplice [17]. Semplice in ogni cosa, ma senza avarizia: ond' era da loro disprezzato del pari e il lusso de' boiardi Moldavi e la miseria de' villici di Valacchia [18]. E i Bizantini fin d' antico ridevano la parsimonia serbica e le principesse che attendevano al fuso [19]. Ljùbiza la moglie del principe Milosio, ed egli stesso, l' uomo accusato di voglie arroganti, ritennero fedele l' antica semplicità della vita. Egli non curare le pompe [20]; e seduto sotto un pergolato, rendere giustizia a tutti che a lui volonterosi accorrevano [21]. Perché 'l Serbo non ama ne le disuguaglianze superbe nè le uguaglianze ambiziose. E l' istituzione della sua società fin dal primo tiene non so che tra la famiglia ed il municipio. Fu già notato che centro di quella non è ne il castello ne la città ned il tempio; è il villaggio; lavoro comune, comuni diletti. Da quella grande fraternità, e da quel lieto raccoglimento venne l' amore sereno e tranquillo, e la modestia dignittosa. Amano l' industria [22], ma non tanto il commercio; le conquiste punto [23]. Non so che dello spirito inglese pratico e attivo, ma nè avido nè avventuriero. Dalle peregrinazioni ritornano vogliosi a' luoghi noti. Il potere della polizia in Serbia. poco; né c' è legge scritta [24]. Alle consuetudini ed all' autorità docilmente ubbidiscono [25], odiano gli avvocati [26]. Non litigiosi nè tumultuanti, ma pur bellicosi. E così militarmente costituiti che a un cenno puoi raccorre in qualunque sia luogo dieci migliaia d' armati [27]. Il morir sulla cenere, non sul campo, è reputato sventura prossima al vitupero [28].

Anco le donne animose. E a Ljubiza la moglie di Milosio deve la Serbia se dalla fuga volò di subito alla vittoria, che fu il principio della sua dignità. Fiera donna costei: che uccise di pistola due donne per le quali era ad essa infedele il maritò [29]. Ma rari gli esempi di tali atrocità, come rari gli esempi di tali licenze. Le donne di Serbia non belle ma piacenti, non graziose ma buone, d' indole mansueta, e il misfatto gli fa maraviglia [30]. I costumi del popolo puri: e non ha la lingua vocabolo per esprimere la disgrazia maritale che i Greci chiamano χερατσύνη] [31]: segno, almeno, che su ciò non si scherza. Quello che più commosse la nazione ad insorgere, fu il pensiero delle vergini rapite dall' immondo Ottomanno [32].

Non galanti alle donne [33]; ma appunto, perciò rispettosi [34]. D' avvelenamenti o d' ammazzamenti tentati su quelle, non si contano esempi [35]. Per infino i banditi della montagna, alle donne talvolta usano riverenza; e compagni ch' abbiano amiche, non vogliono seco [36]. I matrimoni o immaturi [37], o contratti senz' amore o senz' essersi veduti prima [38], io non reputo così gran flagello della vita, come quel misto di schiavitù e di licenza che tiene in qualche paese d' Europa la donna in uno alternare continovo fra desiderio e paura. Due famiglie amiche talvolta congiungono in matrimonio il sangue loro, pur per avere figliolanza di gente diletta [39]. Perche l' amicizia è sacra cosa più delle parentele, e comprende non solo la famiglia ma l' intera tribù. E questo patto stringono dinanzi a Dio nella chiesa o in mezzo a corona di conoscenti; e il prete benedice e le persone e le armi ; e le armi barattano, e si danno il bacio. Gli Epiroti slavi in quell' atto profferiscono queste belle parole: il mio corpo è il corpo tuo, la mia anima è l'anima tua. In Serbia con sola una voce si chiamano pobrátime, poséstrima, come fratello, come sorella. Ed hanno un altro titolo meno stretto di questo, il titolo di compagno: la qual seconda società stringono co' Turchi stessi, e fin nella guerra la osservano. Nel 1815 Milosio prima d' insorgere alle armi, avvertì del pericolo imminente un Turco amico suo; e accompagnatolo in salvo, incominciò la sommossa.

S'ha per amico in questo buon popolo il servitore stesso; e lo chiaman fratello [40]. E più famiglie, così come in Albania, vivono in una medesima casa concordi [41]. La sicura uguaglianza dell' affetto mansueto rende la vita meno infelice che gl', impeti dell' amore.

A quel ramo della stirpe slava che più propriamente distinguesi col nome di Serbica, appartengono e la Bossina e l' Erzégovina e il Montenegro, e la Dalmazia, tranne le colonie italiane, abitanti le coste. La Bossina, da taluni in antico detta Mesia, la quale i Serbi denomina Vlacchi, e i Dalmati Morovlacchi o Morlacchi, quasi Valacchi del mare (valacco è nome in origine non proprio, come Pelasgo e simili), la Bossina, per secoli molti fu parte di Serbia, ma ebbe i suoi bani. Serbica, ripeto, la razza: più grande la persona che snella, largo il capo e grosso, la fronte quadra e sporgente. Coraggioso e prudente, e non feroce; affettuoso e fermo, generoso e risparmiatore, non ambizioso, sincero (e solo il sospetto dell' altrui perfidia può tentarlo a perfidia). Amante la patria, [42], la famiglia; riconoscente, ospitale [43]. Dopo spento il nome Serbico, conservò la Bossina il suo, e l' arme propria: una luna e una stella. Sino alla metà del secolo XV Stefano Tomassevic, già rammentato, re illustre di Bossina, ebbe splendida corte. Ma nel 1463 la fu provincia turca, della quale però la Porta serbando a se l' alto dominio, lasciava a' più possenti del paese il governo. E tuttavia molti de' Bossinesi di religione turca, la lingua de' Turchi non sanno.

Nel Montenero hai la vita selvaggia accanto ad alcuni usi della incivilita; e l' indole slava contaminata da menzogna e da frode. Nella Dalmazia montana riconosca tuttavia le buone qualità che ho lodate. In antico le armi de' Dalmati si stendevano a difendere fin le rive del minacciato Danubio. Fin dal secolo settimo, la Dalmazia fa provincia Serbica; e nel secolo nono Dalmati e Slavi insieme si rivendicarono in libertà dall' impero.

Ma la Dalmazia è miscuglio di genti e di storie diverse, e povera appetto alle provincie la cui comunione le è tolta. Le miniere di metalli preziosi, che in Dalmazia rammentansi, erano poca cosa a quelle di Servia e di Bossina, dove parecchi luoghi dall' argento hanno il nome , e cavavasi altresì ferro , rame , mercurio, zolfo, salnitri [44]. Onde la continova menzione degli abbigliamenti e addobbi preziosi ne' canti del popolo. Nè farà maraviglia quel tanto mentovare la seta, a chi sa che, s' ora la seta viene di fuori [45], un tempo il paese ne dava; ed è un borgo tuttavia che da quella ci nomina [46]. Non dico della cera e del miele abondanti [47], e de' pascoli ameni e fecondi [48], che fanno forse essere il Serbo più mangiatore di carni che il Greco[49]; il quale del resto è nelle imbandigioni sue più squisito. Ma dirò che alla storia civile della nazione appartengono i maiali, pascenti a migliaia tra le querci de'boschi [50], colla vendita de' quali gl' insorgenti comperavano arme e alimentavan la guerra: onde se i Turchi avesser arse le selve, consumavano insieme con quelle la Serbica libertà [51]. La ricchezza rimasa alla lingua di voci dipingenti le varie specie e qualità de' cavalli, dimostra e la riconoscenza che la nazione aveva a questo animale valoroso, e la cura. In Bossina sono tuttavia scuderie di trenta, cinquanta, trecento cavalli [52].

Serbia e Bossina ha daini e caprioli e camosci e lepri e volpi; i cervi più rari [53]: ha lonze, lupi, e serpi in paduli od in poggi; alle quali sovente accennano i canti.

Fertile il suolo di Serbia, ma acquitrinoso: i fiumi abondanti [54],e i principali d' ignota sorgente [55]: frequenti i iruscelli [56]. Il Danubio è il fiume della Serba epopea; sempre tinto di sangue, e portante cadaveri: che usa tuttavia gettarli nell' acque correnti. E a' fiumi è ingombro d' alberi [57] il letto, ombrose le sponde; onde l' aggiunto di nero, che i Turchi a tante riviere nella lor lingua danno [58]. Foreste impenetrabili [59]: pini, querci, lecci, olmi, ed aceri; castagni pochi. Di piante più gentili, meli, peri, nocciuoli, prùgnoli, e viti di vino eletto. Ma l'aspetto del paese selvaggio [60]. Interi villaggi nascosti nella foresta [61]: in Bossina la via in mezzo a'campi [62]: sentieri fangosi ed angusti. Quindi finora la grande difficoltà del ricevere di lontano novelle [63]; e quel mirabile che viene dall' ignoto, e dall' inaspettato, o dal lungamente aspettato. Selvaggia natura, e pure amena; che dove sono ombre ed acque, il dolore e la povertà paion come difese dall' ira del cielo. E i monti nevati s' alternano alle valli tiepide, alle pianure feconde d' ogni benedizione.

E alle bellezze della natura non mancavano i monumenti dell' arte: quanto magnifici od eleganti, non so; che nessun giudizio ne lessi autorevole: ma certo tali da mantenere nel popolo viva per secoli la memoria del passato e la speranza del lontano avvenire. La Serbia ha templi del tredicesimo e del quattordicesimo secolo: e Serbia e Bossina han torri e castella con tutta sorte fornimenti guerreschi, che, pur diroccate, possono far fronte agli assalti [64]. Ricchi gli addobbi delle case ih que'tempi; ricchi gli abiti e l'armi. Camicie di seta bianca ricamate in oro fino alla cintura, dolmani con ricchi ricami, e fermagli d' oro, berretto con pendente da un lato un pezzo di panno come a' magnati d' Ungheria, e cordoncini e piume rare e perle e gemme [65], e piastre al petto d' argento; maglie d' argento; e inargentate o dorate le ale della clava o busdóvano, arme che vedremo nelle mani di Marco Craglievic sonare tremenda.

Le poesie eroiche chiamatisi Tavorie, da Tavor, l'antico dio della guerra. E le eroiche tengono dell' epopea molto più che le greche: talune passano i mille versi [66]. Quelle che s' aggirano intorno alle glorie e alle sventure del secolo decimo quarto, composte forse nel seguente, e variate e rinfrescate di poi, fanno come una serie di canti ciclici, ai quali giova quasi che manchi unità di poema. Molte (e più recenti le più) versano intorno a Marco Craglievic, accarezzato da li' ammirazione quasi famigliare del popolo, non come servitore de' Turchi ma come bastonatore foro. Ed appunto come l' ultima forza resistente all' odiato infedele, molti de' canti celebrano le prove, tra fiere e magnanime, degli aiduchi o banditi. Ma questa è poesia di seconda mano, e quasi eco languida dell' antica armonia: vanto senza dolore, odio senz' affetti. Del resto ogni menomo fatto è a' Serbi materia di canto; e così ai ' Bossinesi: ed amano il canto, tuttoché scompagnato da suono. Ballano e cantano [67]; ballano verno e state, e più pure danze che in Grecia: cantano ballando, filando, mietendo; e i vicini aiutano al mietere, e si rallegrano in celie innocenti. E nel Sirmio fanno bandiere delle pezzuole, e ritornano a casa cantando. Festa la vendemmia, festa la tosatura.

Primo a raccorre i canti serbici nella metà del passato secolo, fu un Dalmata, un frate, il Cacich Miossich, degno perciò di gratitudine rispettosa, ancorché lo facesse senza quegli avvedimenti che il tempo insegnò. Ma l' uomo che si rese della poesia popolare sopra tutti forse gli uomini europei benemerito, è Vuco Stefanovich, il quale nato non lontano dal Montenegro, ebbe in Serbia un uffizio a'tempi di Giorgio il Nero; indi abitò Vienna, abitò Pietroburgo. Ebbe pensione da Milosio; poi lo lasciò, ligio, pare, alla Russia. E diede un dizionario della lingua, una raccolta de' proverbi serbici; e, frutto di venti e più anni d' indagini, una corona di canti popolari pe' quali la sua è collocata tra le più poetiche nazioni d' Europa.

Non mancarono fino a' giorni nostri alla Sorvia i rapsodi. Filippo Visencich di Zvornic in Bossina, cieco, andò co' figliuoli in Serbia ad aiutare alle salvatri ci battaglie di Giorgio il Nero; e sul moto di quella guerra compose un poema: e nell' ardore della zuffa cantava, e tra le palle gridava: “picchiateli come farei io se cieco non fossi.”

Poeta d' arte, il più illustre ch' abbia finora la Serbia, è Simone Milutinovic, nato in Seràjevo nel 1791; che combattè sotto Giorgio, fu per cinqu' anni maestro al vescovo di Montenegro; e tra Milosio e lui portava imbasciate in abito d' accattone. L' arte ne' suoi versi è troppa; e per amore di novità è fatto forza a questa lingua, già possente da sè. La quale delle più nobili tra le indo-persiche, tiene più del sanscrito insieme colla greca, così come l'alemanna tien più dello zendo. Lingua oratoria e posata la dice il Boué [68]: e la posata facondia di quella gente reputa accomodata alle adunanze,

Troppo forse li esalta il Boué, troppo certamente le spregiarono finora i Greci fratelli chiamandoli χοντροκέφαλος. Ma noi rammentando che di Tessalonica vennero alla Serbia con Cirilio e Metodio la fede e l' alfabeto, compatiremo al greco orgoglio, come a malattia troppo già duramente punita dalla ingiusta diffidenza de' popoli. Di que' cinque milioni di Serbi che vivono sparsi nella Turchia, nell' Ungheria, nel Sirmio, e Schiavoni, e Croati e Dalmati, uno segue la credenza turca, uno il rito latino, il greco tre [69]. Desiderando l' unione delle lacera membra, e che ubbidiscano tutte spontanee ad una volontà sola, io desidero insieme la gloria e di Grecia e di Serbia, due elette parti dell' umana famiglia. Molto poterono gli Slavi sullo stato politico e morale d' Europa [70]; molto forse potranno. Sia l' opera loro in ispirito e verità.


 

  1. La famiglia slava componesi delle stirpi seguenti: gl'Illirici, dell'impero austriaco e del turco, vale a dire i Serbi, Bossinesi, Dalmati, Bulgari: i Russi della Russia propria, e i così detti Rusniaci d' Ungheria e di Galizia, e nelle provincia di Volinia e Podolia; i Croati, i Vendi e i Boemi dell' impero austriaco: i Polacchi, sudditi alla Russia, all' Austria, alla Prussia, e occupanti parte di Slesia: I Serbi sparsi in Sassonia ed in Prussia; i Lituani, della cui razza sono altresì gli abitanti della prussiana provincia di Gumbinner; i Letti che tengono il più delle provincie russe di Mittau e di Riga, e parte della Prussia a oriente.
  2. Lett. A. 1078.
  3. Eccardus nova et vet, Francia.
  4. Boué, IV, 146.
  5. Constant. Porph., e. 32, de adm. imperii.
  6. Porfirogen. Ivi c. 29.
  7. P. 408. Pelaçevic, Hist. Serviae.
  8. P. 245.
  9. Pejaçevic. P. 121.
  10. Boué, III, 451.
  11. II, 141.
  12. Boué, II. 422
  13. B. IV. 152.
  14. II, 295.
  15. Ivi, 82.
  16. Ivi, 165.
  17. Boué, II, 143.
  18. IV, 135.
  19. II, 64.
  20. IV, 156. 165.
  21. III, 286.
  22. Lettere Montaigu.
  23. Boué, II, 72
  24. III, 350.
  25. IV 156. 167.
  26. III, 355.
  27. Boué, III, 344
  28. II 135.
  29. IV o III, 259.
  30. II, 67.
  31. II, 457.
  32. II,470. Nota il Signor Blanqui, quanta parte avessero le donne nella rigenerazione della Servia. “Chi sa come i Turchi, sì reverenti alle donne della propria lor fede, maltrattino le cristiane, intenderà perché tanto le donne di Serbia ardenti contr' essi. Onde nelle guerre il valore di qae' delicati petti. Ljubizza combatteva a cavallo; e col vigore proprio accendeva lo spento coraggio de' suoi. Donna adesso di cinquantanni: guerriero il portamento, in semplice vestito lavorato dalle sue proprie mani; capelli grigi negletti; alta la fronte aggrinzata. Ella m' accolse nel suo palano di legno, mi domandò dello stato e delle donne cristiane, suddite al Torco: e alle domande e al compianto intrecciava narrazioni calde di vita, Ben forte è la religione che tali anime ispira.”
  33. Boué, II. 416.
  34. II, 67.
  35. III, 369.
  36. II, 155.
  37. III, 343.
  38. Boué, II, 481.
  39. II, 79. 85.
  40. II, 431.
  41. II, 326.
  42. Boué, II, 62, 63.
  43. IV, 108. 119.
  44. Boué, I. 123, 370, 375.
  45. III, 165.
  46. Boué, III 136, 162.
  47. III, 163, 165; II 235.
  48. II, 133,
  49. II, 254, 257.
  50. I, 423, 502.
  51. IV, 15; III 141
  52. II, 290.
  53. I, 491, 500; III, 163
  54. III, 169.
  55. Boué, I, 23.
  56. II, 6.
  57. III, 141.
  58. I, 86
  59. III, 13, 421 — I, 417, 424.
  60. Montagu, 123.
  61. Boué, IV, 23.
  62. Boué, III, 14.
  63. III, 388.
  64. Boué, II, 344, 381. — III, 305. — IV, 23.
  65. II, 221.
  66. II, 93.
  67. Boué, III, 10, 162, 480 — II, 94, 116.
  68. II, 37. 142. 414. Aucune discussion dans une langue européenne ne nous a rappelé davantage la convenance et l' éloquence de disscours anglais, que ceux tentus dans la langue serbe. Touse le différence est que l'anglais est trop souvent phlegmatique, et que l'âme du Slave turc est réchauffée par le soleil du midi. On y remarque , il est vrai, quelques mois de trop quelquefois; mais ces superfluités prennent si peu de temps, la construction des phrases est si simpte, les Slaves ont tant de bon sens et de précision, leur imagination est si pittoresquement orientale, chacun parie si convenablement à son tour, qu' on ne peut quJ admirer leur langue, comparée à celle, si souvent trop ampoulée ou trop pleine de fleurs de rhétorique, des Français et des Italiens.
  69. II, 11.
  70. I, XIII

Prefazione, Canti popolari. Canti illirici, Raccolti e illustrati da N. Tommaseo, Venezia 1842. - pp. 5-24.

На Растку објављено: 2008-02-18
Датум последње измене: 2008-02-17 17:18:36
 

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