Dejan Ajdačić
Il falso nelle mistificazioni folkloristiche
Nel corso del romanticismo i popoli slavi fecero proprie le idee sull'importanza dell'arte popolare e quindi si dedicarono alla raccolta di poesie e racconti popolari. Anche se in quel periodo i principi della trascrizione tolleravano l'introduzione di piccole modifiche, il testo orale veniva comunque considerato l'espressione autentica del genio popolare e nazionale. Per questo motivo già allora venivano considerate inaccettabili le mistificazioni, le falsificazioni, l'esistenza di opere popolari false oppure contraffatte create da individui con lo scopo di ottenere non solo una maggiore diffusione di queste opere, ma soprattutto esaltare la gloria di essere, sia singolarmente che come popolo, i depositari delle più antiche tradizioni culturali. È pertanto comprensibile che la mitologia, i rituali presunti antichi e la storia antica occupassero un posto significativo nelle mistificazioni del folclore durante il XIX secolo. In questo, i mistificatori slavi - il boemo Vaclav Hanka, il bulgaro Jovan Gologanov, il croato Luka Ilić, il serbo Miloš Milojević, il russo Saharov, il bielorusso Drevljanski - hanno operato come lo scozzese Macpherson che mistificò la poesia dei bardi celtici oppure come il francese Prosper Mérimée che inventò le ballate degli illiri della Dalmazia. In questo lavoro sarà messo in luce il rapporto tra l'autentico e il non autentico, tra il vero e il falso in alcune mistificazioni slave del folclore.
Siccome alla base delle contraffazioni delle opere letterarie vi è l'imitazione dell'autenticità del modello e l'occultamento della non autenticità del testo inventato, le mistificazioni della letteratura popolare devono rispettare le caratteristiche della tradizione orale collettiva. L'autore della mistificazione folcloristica riprende, trasforma e imita certi elementi delle poesie e dei racconti popolari originali, però mistifica e crea degli elementi ad essa estranei, con i quali tradisce lo spirito della cultura popolare. Il diverso, il falso, il non autentico si nascondono come tali nelle mistificazioni delle opere popolari e rispecchiano il confine sottile esistente tra ciò che è conoscenza e quelle che sono le illusioni di un'epoca sui rapporti delle diverse culture nazionali e confessionali a contatto.
Nel modellare delle rappresentazioni folcloristiche non autentiche, esistono diversi obbiettivi, ma indipendentemente dalle intenzioni dell'autore delle mistificazioni, egli usa due strategie principali. Nel suo lavoro convergono intenti di natura ludica ma anche ideologica. Attraverso il gioco nelle mistificazioni viene, infatti, creata una inesistente visione del mondo che contiene in secondo piano un punto di vista colorato ideologicamente. Le mistificazioni con il principio ideologico dominante (politico, storico o etnoconfessionale) contengono, necessariamente, anche quello ludico. La messa in rilievo delle diversità o delle uguaglianze delle culture tramite una strategia ludica, evita le trappole dell'imposizione ideologica della propria specificità sull'altro, ma tali mistificazioni, tuttavia, accentuando il valore eccezionale delle creazioni inventate, affermano la propria supremazia sulle culture delle altre collettività. Lo studioso americano di folclore, A. Dundes, individua giustamente nel complesso d'inferiorità, uno dei motivi della nascita delle costruzioni folcloristiche[1].
La loro natura dei prodotti popolari non originali emerge dalle omissioni, dagli errori ed è spesso causata dall'insufficiente conoscenza del folclore. Nel testo della poesia popolare falsa o modificata permangono le tracce della fusione tra l'originale e il non originale. Le poesie popolari, in quanto componimenti letterari orali, strutturati in più elementi stratificati che formano un insieme unico, vengono mistificate attraverso l'unione degli elementi originali del testo con gli elementi estranei alla cultura popolare. Le mistificazioni rivelano le illusioni di un'epoca sull'esistenza di qualcosa di inesistente nella cultura popolare (esseri, nomi, formule, parole, animali, ecc). La contraffazione di alcuni elementi può quindi essere facilmente occultata, ma già la loro stessa apparizione induce a pensare ad una mistificazione. La sfortuna per il mistificatore consiste nel fatto che la mole della sua conoscenza non gli consente sempre di operare tale cernita con sicurezza.
La tendenza dei difensori degli scritti falsi a dimostrare l'identità oppure la somiglianzà con il folclore originale è assurda, poiché la loro convinzione si basa proprio su una parentela che è solo presupposta. Anche se una mistificazione della poesia popolare viene dimostrata essere il frutto della fantasia e del bagaglio conoscitivo dell'autore, ciò non significa però che tutti i suoi elementi siano mistificati. Ciò che è più importante, nel processo di scoperta dei modi che sono stati usati per occultare la mistificazione è avere coscienza che gli elementi inventati hanno comunque una parentela con gli elementi della poesia popolare originale. Il mistificatore, in quelle parti del testo che non sono state create secondo una necessità di natura ideologica, e che non sono a priori originali, può intuire le forme e i contenuti autentici della poesia popolare e i modi della sua esecuzione, e può introdurre inoltre anche degli elementi rivelatori. Il problema di nascondere il non autentico è dunque sia una questione di tecnica della mistificazione che una questione di "successo" dell'elemento mistificato e dell'opera nel suo insieme.
La cosa più facile da mistificare è la religione degli altri popoli, giacché è più bassa la possibilità di verificare gli elementi inventati dell'altra cultura. L'interesse per le culture esotiche degli slavi dei Balcani, al confine con la civiltà europeo-cristiana, ha contribuito alla nascita della raccolta di poesie pubblicate in lingua francese. La scelta delle ballate, dette illiriche, con il titolo La Guzla è l'opera giovanile del romantico Prosper Mérimée nel 1827. Che si trattasse di una mistificazione, lo rivelò l'autore stesso nel 1842. La Guzla è una sorta di gioco d'autore, di viaggio immaginario negli esotici paesi dei Balcani, nata sulle basidelle idee di Rousseau sui selvaggi non corrotti e sull'elevazione herderiano-romantica della poesia popolare. La fama del Viaggio in Dalmazia di Alberto Fortis indusse Mérimée a introdurre nella propria mistificazione gli elementi della descrizione del viaggio di Chaumette de Fossés, dell'opera di dom-Kalme, ed anche di altri scritti: tutto questo è stato scoperto da Vojislav Jovanović[2] nella sua tesi di dottorato sulla Guzla di Mérimée, insieme ai prestiti della letteratura cinese, classica greca e romana, da Dante a Nodier ecc. Mérimée mistificò le poesie popolari di un ambiente straniero cercando, in un'ottica romantica, "il colore locale " e così ingannò il pubblico letterario.
Mérimée, basandosi sulle fonti scritte, aprì la porta alle future possibilità di sviluppo narrativo dei motivi legati al vampirismo, con la descrizione esauriente e documentata della gente semimorta che succhia il sangue ai vivi. Nelle annotazioni le descrizioni oggettive dei vampiri sono arricchite e rafforzate con la dimostrazione della credenza nei vampiri attraverso la storia, presentata in modo toccante, di una ragazza infelice, della cui malattia e morte tragica ne era anche stato il testimone. Mérimée svelò il proprio gioco, ma nel suo scritto le inesattezze sugli illiri piuttosto che danneggiare la percezione dell'opera, ne aumentavano il piacere della lettura, poiché i lettori delle altre culture non riconoscono il gioco tra reale e menzogna. La mistificazione di Mérimée si diversifica dalle mistificazioni degli autori slavi sia per le motivazioni che l'hanno spinto a farlo, che per lo stile impiegato.
Nelle ricerche comparate sulle mistificazioni slave effettuate dagli studi sulla religione dall'800 ad oggi, si può stabilire che cosa sia stato preso, cambiato e omesso, ma anche inventato rispetto al materiale etnografico a disposizione. Nelle mistificazioni, i fenomeni mitologici e rituali dimenticati vengono sostituiti da rappresentazioni inventate di tempi arcaici ed anche dalle conoscenze di mitologia degli studiosi dell'epoca - i tedeschi Goerres, Grimm, il boemo Šafarik, J. I. Hanusch, il russo Afanasjev, O. Miler, il bulgaro G. Rakovski ed al. Gli studi mitologici all'epoca del romanticismo partivano dalle storie sugli dei ed eroi antichi, e dalle più recenti ricerche sugli scritti indiani vedici per arrivare ai miti degli altri popoli. Così, a volte anche senza i corrispondenti nel materiale slavo, si trovavano delle conferme nei paralleli con gli esseri della mitologia antica e vedica (per es. Peron = Giove, Hladolet = Saturno, Radgost — Mercurio = Višnu, Lakšmi = Lada). Le mistificazioni della religione nascono dall'invenzione degli dei slavi con nomi e caratteristiche tratte dal pantheon indiano o, più raramente, da quello greco.
Verso la metà del XIX secolo, con la diffusione delle idee filoslave appaiono le mistificazioni mitologiche panslave. Esse completano il pantheon aggiungendo degli esseri dagli studi summenzionati oppure inventandone di nuovi che rappresentano le forze spiritualizzate della natura oppure la personificazione delle virtù morali. Con l'introduzione degli elementi slavi, gli autori delle mistificazioni raggiungono nello stesso tempo più risultati: inserendo la cultura nazionale nella comunità slava sopranazionale, rendendo così più vicina alle altre culture slave, e affermano nel contempo la propria appartenenza alla famiglia slava. Sottolineare la memoria dell'antichità slava significa infatti confermare anche l'antichità del popolo stesso. Nei casi in cui il dio o il diavolo inventato possieda una sua unicità nei testi del folclore slavo fino ad allora conosciuti, si attesta il valore distintivo del folclore nazionale e si attira l'attenzione sulla necessità del suo studio.
Il croato Luka Ilić, sacerdote cattolico, era molto attivo nel raccogliere tale materiale sulla tradizione orale, con una notevole propensione ad aggiustare e ad aggiungere e nei suoi manoscritti si ritrova così un grande corpus di poesie. Nel libro Narodni slavenski običaji [Le usanze popolari slave] Ilić inventò la corte di Lada. Il personaggio Lada fu introdotto nel folclore già da Katančić nel trattato inedito (1817) nel quale si trovano anche il dio nero Čert, e badnjak (il ceppo di Natale), connesso con il Latobijus pannonico[3].
La raccolta di Miloje Milojević, Pesme i običaji ukupnog naroda srpskog [I canti e le usanze di tutto il popolo serbo] è improntata sulle idee filoslave dell'antica religione degli slavi. Il suo materiale rappresenta un esempio tipico della mistificazione in base ai principi della scuola di mitologia dell'epoca, poiché egli, seguendo il libro del russo Kostomarov, introduce una serie di esseri mitologici: Triglav, Ježdraskin, Kupalj bog, Pravodar, Belbožić, Radogost, Svarožić, Ljeljo, Vodan. Ljubinko Radenković, lo studioso contemporaneo della cultura popolare degli slavi balcanici, basandosi sugli studi della religione slava di Lovmjanjski, Galjkovski e di altri autori, mostra come attraverso gli studiosi russi di mitologia (Čulkov, Kajsarov, Glinka e altri), la figura di Ljeljo, presunto figlio di Lada, Venere slava, sia entrata nel pantheon degli dei slavi[4]. Nelle poesie, Milojević introduce anche i ritornelli con il dio Jarilo, personaggio che si ritrova nel folclore russo, ma non in quello serbo, e quindi è ovvio il ripetuto intento di confermare i legami slavi anche là dove non ci sono. Secondo Milojević, Jarilo era il dio della guerra degli antichi serbi, a lui sono infatti collegati gli oggetti bellici - la sella da combattimento, la lancia d'acciaio per il combattimento. Milojević non soltanto accetta Lada e Ljeljo come dei dell'amore degli antichi slavi, ma ne allarga la parentela anche al Dio dell'amore che si chiama Ljelj, e quindi al figlio e alla figlia - Poljelj i Poljelja. Anche Gologanov, trascinato dai risultati della scuola di mitologia, trascrive i canti che si eseguono nel Ladovden - il giorno della dea dell'amore, Lada. Questo, secondo i versi dei mistificatori, era il giorno della festa primaverile dei giovani e delle ragazze, che danzavano con canti ricchi di simbologia nuziale. Anche nella mistificazione bielorussa di Drevljanski appaiono Lada e Ljeljo come dei dell'amore.
A proposito dei demoni esistono altrettanti elementi che sono delle mistificazioni: Drevljanski (Špilevski ) inventa le forze impure con i seguenti nomi: rasamaha, Kaduk, Čur bog, Marnja, Paljandra, e si ritiene non soltanto che Ovidio avesse scritto le sue Metamorfosi sotto l'influsso delle credenze bielorusse sulle persone che si trasformavano nei lupi, ma si pensa anche che quest'opera fosse stata scritta in prima istanza in un dialetto polacco dei dintorni di Pinsk (attualmente in Bielorussia).
L'antichità indeuropea appare nella raccolta di Milojević attraverso la rappresentazione degli dei - Siva, Živa, Hinduštan, Tartar, come nel guerreggiare dell'esercito di Triglav in una poesia delle lontane regioni del Grande Hinduš.
La mistificazione slava che in modo più completo è partita alla ricerca delle radici pre'-slave è Veda Slovena [ La Veda degli slavi ] di Stefan Verković - una raccolta di canti dei bulgari musulmani che vivono nei remoti villaggi montani. Questa mistificazione è stata oggetto delle dotte dispute degli scienziati europei sulla sua autenticità verso la fine del XIX secolo. L'autore della mistificazione è il maestro Jovan Gologanov che per anni inviava a Verković le presunte poesie popolari. "Scoprendo" le antichità della storia e della religione nazionale dei bulgari, il maestro ingannò Verković, che, in seguito, tratto in inganno egli stesso, ingannò anche gli altri lettori della Veda degli slavi[5]. Il caso di Gologanov è stato poi risolto dalla scienza, e la pubblicazione del suo carteggio epistolare con Verković nel periodo 1867-1893 portò alla luce sia gli aspetti psicologici del rapporto del truffatore che perennemente chiede i soldi ed evita le risposte alle domande delicate, sia la personalità di un Verković oppresso dalle pretese della comunità scientifica di provare l'autenticità delle trascrizioni pubblicate[6]. Tutte le spedizioni in loco che cercarono di mostrare almeno una qualche traccia di originalità della Veda degli slavi non ebbero successo, confermando ulteriormente la sua non autenticità e il suo essere una menzogna.
Il primo libro della Veda degli slavi apparve a Belgrado nel 1874, mentre il secondo, già circondato dal sospetto nei circoli scientifici, fu stampato a S. Pietroburgo nel 1881 con il sostegno dei mecenati delle scienze russi. Il secondo libro Veda Slovenah'. Obrjadni pesniot' jazičesko vremja. Upazeni so ustno predanie pri Makedonsko-Rodopskite B'lgaro-Pomaci contiene le trascrizioni delle poesie che, a quanto si diceva, venivano cantate nell'ambito di alcune feste del ciclo dell'anno.
Gologanov, nella sua elaborazione personale della religione pagana mette insieme gli elementi degli studi sulla mitologia comparata con le rappresentazioni della sua fantasia. Egli scelse con cura le fonti di quelle culture da usare, preferendo quelle di riconosciuta antichità e grandezza, e "trovò" nelle poesie a Rodopi i più antichi livelli indiano-vedici e greco-traci mai scoperti, e in misura minore anche quelli di memoria orale slava. Il livello magico rituale della Veda degli slavi, rappresentato dalle magie che prevedono una quantità notevole di sacrifici di esseri viventi o di oggetti che li metaforizzano, rispecchia le convinzioni del paradigma dominante all'epoca delle ricerche comparate sulle religioni. Il mistificatore conserva la funzione propiziatoria del rituale agli dei e ai demoni, ed anche l'impostazione di fondo nel rivolgersi agli esseri superiori, ma il contenuto di questi discorsi dipende ideologicamente dalle idee funzionali alla religione indiano-vedica, la religione zen dei prabulgari. È possibile riscontrare un alto grado di veggenza nella Veda degli slavi: qui il mistificatore ha cambiato certi caratteri e sillabe, creando cosi l'illusione che il nome originale di un'antica divinità si fosse alterato durante i secoli e secoli della trasmissione orale delle poesie (per es. il nome del dio indiano Višnu). Oltre al dio Višnu, nella Veda degli slavi si incontrano, insieme alle numerose menzioni degli dei immaginari anche le altre presunte preservate divinità indiane: Kali Bavanica, Igne, Jognica, Siva bog (dio del Capodanno in onore del quale sgozzavano kurban [animale ] per la salute e ogni bene).
Nelle mistificazioni della letteratura popolare si rispecchia il destino letterario di una tradizione orale nel momento del contatto con un'altra cultura, i cui elementi non autentici essa accetta e trasforma. L'insieme delle conoscenze, delle illusioni e delle necessità di un'epoca, si perpetua attraverso il prisma ludico e ideologico delle mistificazioni, altera la memoria collettiva, nascondendo nel contempo il proprio condizionamento epocale. Il destino letterario delle mistificazioni è segnato dal momento decisivo della scoperta della loro non autenticità, allorquando perdendo il valore "conoscitivo", vengono allo scoperto le motivazioni alla base della loro nascita. Una volta presa coscienza del significato pseudoconoscitivo dell'opera, questa viene allora riconosciuta come gioco di fantasia e di menzogne consapevoli.
Le mistificazioni riconosciute come tali oppure svelate perdono dunque il loro valore conoscitivo e informativo, però continuano ad avere un proprio valore estetico. Se da un lato la coscienza della loro non autenticità rappresenta un limite per l'opera, d'altra parte essa rappresenta una specie di sfida in più per il lettore proprio per l'intreccio di vero e falso.
Nel XIX secolo alcune mistificazioni del folklore degli slavi dei Balcani ampliarono in modo rilevante l'interesse per la loro cultura popolare.
Senza entrare nel merito della questione sugli impulsi individuali che hanno spinto alla falsificazione, perché essi sono, in ogni caso, complessi e specifici, si può comunque osservare come la bramosia di fama, di denaro o il gusto del divertimento siano collegati con le tendenze più o meno esplicite alla creazione della mistificazione da parte della società oppure di una sua parte. Motivazioni di ordine psicologico e sociale modellano nei tratti fondamentali la ricerca ideologica delle caratteristiche esotiche oppure dei tratti culturali comuni, mentre il principio ludico della creazione viene concretizzato nella creazione e nell'occultamento dei contatti interetnici in singoli motivi, credenze e poesie. Le basi mitologiche che fondano l'identità di un popolo o di una tribù, costruite attraverso l'unificazione e la divisione delle comunità di sangue oppure delle comunità di spirito, confermano il valore delle poesie popolari originali come opere che, per così dire, appartengono alla tradizione non mistificata.
Il contenuto stesso delle poesie mistificate, la loro rappresentazione della collettività spirituale o tribale oppure la loro divisione, per il mistificatore che conosce perfettamente la non originalità della propria opera, non è sufficiente per difenderlo di fronte ai possibili sospetti e verifiche, e quindi le stesse poesie sono accompagnate da commenti oggettivi e pseudo-oggettivi, soggettivi e pseudo-soggettivi.
In quanto aspetti di diversi punti di vista su una stessa realtà, essi si completano a vicenda nell'occultamento della differenza tra il non autentico e l'autentico. Sommando la realizzazione dei propri obbiettivi ( sia che si tratti di esperienze personali o collettive proiettate ) alla conoscenza oggettiva, il mistificatore da alla propria creazione, o meglio tenta di dare, il più alto grado possibile di persuasione. La rappresentazione dell'identità del popolo o di una sua parte attraverso i testi che non sono autentici oppure imitano l'autenticità, proviene dal desiderio di dimostrare diverse, sconosciute e più antiche usanze, credenze e ideali morali ed estetici. La conoscenza analitica delle caratteristiche di un gruppo etnico è quindi il punto di partenza per operare una congettura che può essere doppiamente condizionata e motivata: da un lato nell'altro si cerca il diverso dal proprio, dall'altro si cerca nel diverso e nel particolare quello che è comune ma un po' nascosto. Le idee fin qui citate, intese come cornici delle interpretazioni contrastanti della storia dei rapporti interculturali, in linea di massima scaturiscono dal credere che tutte le culture siano diverse, oppure che tutte abbiano una propria origine comune. Negli intrecci, accuratamente creati, tra verità e menzogna, le mistificazioni incantano, ma esse stesse presentano la traccia dell'incanto di un sogno.
Da un lato si potrebbe trattare di desiderio intenso della memoria perduta, del sogno utopico della cultura più antica e più profonda dalla quale si sono sviluppate le grandi conquiste della civiltà successiva, e quindi la bramosia di elevare il proprio popolo al trono di quel primo e più grande Primo Popolo. Dall'altro, questo incantesimo può anche essere il frutto della voglia di andare a sfidare il nuovo e l'inconoscibile, mentre si fugge da se stessi.
Note
- A. Dundes, Naàonalistic Inferiority Complexes and thè Fabrication of Folklore, in Journal
of Folklore Research, 22, 1985. - V. M. Jovanovitć, "La Guzla" de Prosper Mérimée, Grenoble, 1910; O lažnoj narodnoj
poeziji, in Književna istorija, Beograd, 29, 1997, 102, str. 193-240. - M. Bošković-Stuli, Usmena književnost. Povijest hrvatske književnosti, Zagreb, 1971.
- L. Radenković, Pripevi "Lado" ì "Ljeljo" u narodnim pesmama istočne i južne Srbije, in
Etnokulturološki zbornik, Svrljig, 127-132. - G. Todorovski, Jovan Gologanov, skica za biografija, in Razgledi, 1958, 10; Za i protiv
"Veda Slovena", in Godišen zbornik na univerzitetot vo Skopje, 19, 1967, str. 393-444. - M. Arnaudov, Verkovič i "Veda Slovena". Prinos k'm istorijata na b'lgarskija
folklor i na b'lgarsko v'zraždane v Makedonija, in Sbornik za narodni umotvorenija i
narodopis, Sofija, 52, 1968.
Bérénice. Rivista quadrimestrale di studi comparati e ricerche sulle avanguardie, a. XI, n. 29, luglio 2003, pp. 29-35.
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