Niccolò Tommaseo

La madre di Marco Craglievic (Canti popolari. Canti illirici, Venezia 1842)

Di quest' epica insieme e familiare narrazione, certi moderni farebbero due volumi. Corre il poeta e si ferma, secondochè la verità gli comanda: descrizione, dialogo; misfatto, virtù; amore, morte, ogni cosa in ischietto lume. Abbiamo una trista donna; ma accàntole, per consolarci, una buona. L' animo, nel leggere, non dubita dell' umana dignità nè dispera delle altezze del bene. Il male è anch' esso dipinto con certo candore senza nè veli nè scuse nè esclamazioni di sdegno. Il poeta non teme ch' altri lo creda un furfante. I luoghi con accuratezza franca dipinti; e le persone e i costumi. Più procede la narrazzione, e più agile va. Diresti che l'autore abbia letto Orazio, e il suo ad eventum festinat. Il mirabile aggiunge al quadro splendore, ma non, offusca di bagliori la semplice verità. Il tradito eroe fa un mal sogno. Il modo com' e' lo dice, e la risposta dell' omicida, è drammatica invero. Il vagare nel campo de' nove cavalli vuoti del dolce peso de' nove fratelli, commove. L' eroe non si turba del proprio male, ma de' fratelli perduti. La sorella che appesa alla trave si strappa intera la chioma per soccorrere al dolce fratello; l' arrampicarsi, di lui per il teso panno; la spada che taglia la vita sua, e lo getta sulle armi rizzate, la lancia del re che lo coglie nel vivo del coure; le parole del moribondo che al nemico uccisore raccomandano la generosa sorella, l' indossare che fa costui l' arme e gli abiti dell' ucciso, e lo squartare la rea traditrice, son bellezze vincenti la lode. E l' ucciso eroe pensiamo ch' e zio, la generosa sorella pensiamo ch' è madre di Marco Craglievic, l'Achille e l' Èrcole Serbo.

Una lettera scrive Vucássino Il mingherlino (1)
Nella candida Scodra sulla Boiana,
E la manda in Erzegovina (2)
Nella candida città di Pirlitore (3),
Pirlitore di contro a Dormítore,
A Vidósava (4) moglie di Móncilo (5).
Secreto (6) scrive, e secreto le manda.
Nella lettera a lei cosi dice:
Vidósava, di Móncilo moglie (7)
Che vuo' tu fare (8) in codesto ghiaccio e neve
Quando guardi dalla città sotto te,
Nulla hai di bello da vedere,
Che il bianco monte Dormítore
Ornato di ghiaccio e neve
A mezza la state come a mezzo il verno.
Quando riguardi giù sotto della città ,
Torba corre la Tara ondosa;
Ella mena tronchi e sassi:
Su lei non è barca nè ponti,
E attornole pineta e marmi.
Or tu avvelena Móncilo il capitano,
Od avvelena o dammelo nelle mani (9).
Vieni a me nella spiaggia piana,
Nella candida Scodra sulla Boiana:
Ti prenderò per fidata dolce sposa (10);
E sarai signora, regina:
Potrai (11) filare seta con aureo fuso (12),
Seta filare, io seta sedere,
E portar raso e velluto,
E poi oro del pnro (13)
Ór sai qual è (14) Seodra sulla Boiana ?
Quando riguardi al poggio sotto della citta
Tutto a rigogliosi (15) fichi ed ulivi;
E poi vigne feconde di grappoli.
Quando riguardi già disotto alla città,
Ecco rigoglioso il grano francolino,
E intòrnogli verdi prati:
Per mezzo ci corre la verde Boiana (16)
Per lei nuota tutta sorta (17) pesce,
Quando vuoi fresco mangiarlo. —
Viene la lettera alla moglie di Moncilo:
Guarda la lettera, la moglie di Moncilo;
Quella guarda, un' altra fitta (18) ne scriva:
Signore, Vocássino re,
Non è facile darti Moncilo;
Nè dartel nè avvelenarlo.
A Moncilo la sorella Gevrósima
Prepara il (19) signoril mangiare :
Prima di lui, il mangiare assaggia (20).
A Moncilo nove cari fratelli,
E dodici primi cugini (21)
Essi a lui il vin vermiglio mescono:
Prima di lui sempre un bicchiere beono.
Moncilo ha il cavallo Giabúcilo,
Giabúcilo, cavallo alato :
Ovunque vuole, trasvolar può.
A Moncilo una spada occhiuta (22),
Non teme altri che Dio (23).
Ma odimi, o re Vucassino;
Tu leva (24) un molto forte esercito;
Conducilo di Gezero sul piano;
Poi t' apposta (25) nella verde montagna.
A Moncilo è un singolar (26) costume:
Ogni mattina nella santa domenica (27)
Di buon' ora va a caccia nel Gezero (28);
Seco conduce i nove dolci fratelli,
E i dodici primi cugini,
E quaranta cittadini (29) cognati.
Quando sarà la vigilia della domenica (30),
Io abbrucerò (31) le ali a Giabucilo;
L' acuta spada gli tufferò
Gli tufferò in salso sangue,
Che non si lasci cavare dal fodero,
Così tu Moncilo perderai (32)
Quand' al re tal lettera viene,
Ed e' vede quel che a lui la lettera dice,
Codesta gli fu grata assai.
Allor leva un molto forte esercito:
Va coll' esercito in Erzégovina,
Lo conduce sul piano di Gezero?
Poi s' apposta nella verde montagna.
Quando fu la vigilia di domenica,
Moncilo se ne va a letto (33)
E giace sulle morbide piume.
Passa un poco, e la moglia gli viene;
Ma non vuole sulle morbide piume;
Ma sparge lagrime sul capo di lui,
E le domanda Moncilo il capitano (34):
Vidosava, mia fida moglie,
Quale è a te gran dolore,
Che spargi lagrime sul mio capo? —
Or dice la giovanetta Vidosava:
Signore Moncilo capitano”
A me non è dolore veruno:
Ma intesi una mirabile maraviglia.
Intesi, ma visto non ho,
Che tu hai un cavallo Giabucilo,
Giabucilo cavallo alato.
Io non vidi al tuo cavallo le ali;
E non posso, io giovanetta, credere. . .
Ma, temo, perirai. —
Savio era Moncilo il capitano:
Savio era, ma s' ingannò.
Alla moglie sua così disse:
Vidosava, fida mia moglie,
Di questo, facile ti cheterò (35).
Tu facile vederai a Cilo (36) l' ale.
Quando cantano i primi galli,
Tu va nelle nuove stalle:
Allora Cilo calerà le ale giù (37);
Allora gli puoi le ale vedere. (38) —
Poi si sdraia a prendere sonno:
Moncilo dorme, la sua moglie non dorme:
Ma ascolta la giovane in letto
Quando cantino i primi galli.
E quando i primi galli (39) cantarono,
Salta la giovanetta da' morbidi strati;
Accese la lanterna ed il lume,
Poi prende sego e catrame:
Va diritto alle nuove stalle.
Or vero è quel che Moncilo dice,
Giabucilo l' ale calò (40);
L' ale calò, all' ugna (41).
Allora ella l' ali unse (42),
L' unse con sego e catrame ;
Poi col lume l' ali appicciò (43),
E abbruciò l' ali a Giabucilo.
Quel che non potè con fuoco ardere,
Quello sotto la cigna strinse sodo.
Allora la giovanetta va all' armeria :
Prese la spada di Moncilo
E la tuffò in salso sangue.
Poi ritornò (44) sui morbidi strati.
Quando da mane albeggiò,
Fu lesto su (45), Moncilo il capitano,
E dice, alla moglie Vidosava:
Vidosava, mia fida moglie;
Io stanotte un mirabile sogno sognai.
Spiegarsi un velo di nebbia (46)
Dalla maledetta terra di Saba (47);
Poi s' avolge attorno al Dormitore.
Io davo dentro a questo velo di nebbia
Co' miei nove cari fratelli,
E co' dodici primi cugini,
E i quaranta cittadini cognati.
Nella nebbia, o amata (48), ci siamo disgiunti;
Disgiunti, nè poi ricongiunti.
Iddio sa che ; ma bene non sarà —
Dice a lui la moglie Vidosava:
Non m' aver paura, dolce signore,
Buono eroe buon sogno sognò.
Sogno è menzogna, Dio è verità. —
S' apparecchia Moncilo il capitano:
Poi scende (49) dalla candida torre.
L' aspettano i nove cari fratelli (50),
E i dodici primi cugini,
E quaranta cittadini cognati:
E la moglie fuor gli conduce il bianco cavallo,
I buon' cavalli pigliarono;
Uscirono a caccia nel Gezero.
Quando furono vicino del Gezero,
Gli circonda quella forte schiera.
Quando Moncilo vide la schiera,
E' tira la spada dal fianco :
Ma la disgraziata (51) non si lascia cavare,
Come se per il fodero ringrossata (52).
Allor dice Moncilo il capitano;
Udite, fratelli miei cari:
Mi tradisce la cagna (53) di Vidósava.
Or (54) datemi la spada, voi, più migliore (55).—
Lesto l' ebbero i fratelli ubbidito,
Diedergli la spada più migliore:
Così Moncil ai fratelli paridi
Udite, fratelli miei cari:
Voi date nella schiera da' canti,
Io darò nella schiera per mezzo.—
Dio mio! maraviglia grande!
Se a taluno guardar fosse dato (56)
Come trincia (57) Moncilo il capitano,
Come sbratta la via per il monte!
Più calpesta il cavallo Giabucilo
Di quel che Moncilo colla acuta spada tagli.
Ma trista sorte gì' incontrò (58):
Quando, riesce (59) di faccia a Pirlitore,
Rincontranlo nove cavalli morelli,
E suvvi, de' fratelli nessuno.
Quando ciò vede Moncilo il capitano,
All' eroe il cuore scoppiò
Dal dolore pe' carnali fratelli:
Gli allentarono le bianche mani (60);
E non può più tagliare (61):
Ma caccia il caval Giabucilo,
Lo caccia collo stivale e lo sprone,
Che voli alla città di Pirlitore.
Ma il cavallo (62) volargli non può.
Lui maledice Moncilo il capitano:
Giabucilo ! ti mangiassero i lupi !
Per celia di qui volavamo
Fuor di pericolo, cosí per bizza (63).
Oggi a me volare non vuoi!—"
Ma il cavallo à lui con nitrito (64) risponde :
Padrone, Moncilo capitano,
Non mi maledire nè pingermi.
Oggi volarti non posso.
Ammazzi Iddio Vidósava tua !
Ella m' abbruciò l' ale:
Quel che non potè col fuoco ardere,
Quello sotto la cigna serrò forte.
Or fuggi dove tu vuoi. —
Quand' udì questo, Moncilo il capitino,
Versa lagrime dalla ardita faccia.
Poi giù salta dal bianco cavallo (64):
Fa tre salti (65), è alla città.
Ma della città le porte chiuse,
Chiuse; ed a catenacci.
Quando Moncilo si vede alla stretta (66),
E' chiama la sorella Gerosima;
Gerosima mia dolce sorella (67),
Calami una pezza di tela,
Potessi io scamparti in città. —
La sorella al fratello fra il pianto risponde:
Ah fratello mio, Moncilo capitano,
Come calarti una pezza di tela,
Quand' ha a me la cognata Vidosava,
La mia cognata, l' infida tua,
Legati i capelli alle travi ? —
Ma la sorella è di cuore pio;
Duole a lei del fratello carnale suo;
Ella strilla (68) come invelenita serpe.
Si scrolla col capo e con tutto il suo nerbo (69);
Dalla testa i capelli schiantò (70),
Lasciò i capelli alla trave:
Poi piglia una pezza di tela,
La butta della città dalle mura.
Moncilo prende quella pezza di tela,
Poi s' arrampica alla città sulle mura.
Presso era in città a saltar entro;
Ma vola la moglie infida;
Acuta spada porta nelle mani;
Gli recide la tela più su della mano.
Moncilo cade della città dalle mura:
L' aspettavano i regii servi
Sulle spade e le lancie guerresche,
Sulle mazze e i busdóvani (71).
E accorre re Vucássino,
Lo colpisce con quella guerriera lancia,
Feriscelo nel mezzo del cuore vivo.
Allor dice Moncilo il capitano:
Scongiuroti, (72) re Vucassino,
Tu non prendere la mia Vidosava,
Vidosava, l' infida mia,
Perche e il capo tuo perderà.
Ogi me a te tradì,
E domani te ad altri.
Ma tu prendi (73) la mia dolce torcila,
La sorelia mia dolce, Gerosima:
Ella a te sarà sempre fedele,
Ti genererà un eroe, come me.—
Ciò dice Moncilo il capitano,
Ciò dice, e combatte (74) con l' anima;
Ciò proferisce: lieve l' anima spira (75).
Quando fu morto Moncilo il capitano,
E (76) della città s' aperser le porte.
Poi esce la cagna di Vidosava,
E attende Vucássino re:
Lo conduce nella candida torre,
Lo colloca in seggiola d' oro ,
Lo serve di vino e acquavite (77),
E ogni signorile delizia,
Poi va nel gabinetto la giovane,
Gli reca l' abito di Moncilo,
Di Moncilo 1' abito e l' arme.
Or vedessi maraviglia grande !
Quel che a Moncilo dava al ginocchio,
A Vucássino per terra bi strascica:
Quel berrettone (78) che a Moncilo stava per l' appunto,
A Vucassino sulle spalle cade.
Quello stivale che a Moncilo stava per l' appunto
Lì Vucassino entrambe le gambe mette (79).
L' anello che Moncilo aveva d' oro,
Lì Vucassino tre dita ci passa.
La spada ch' a Moncilo stava per l' appunto,
A Vucassino an braccio a terra si stráscica.
L' arme ch' a Moncilo stava per l' appunto,
II re sotto lei ne levarsi non può.
Allora dice re Vucassino:
Misero me ! buono Iddio !
Gran p . . . la giovane Vidosava!
Quando tradisce tale eroe
Quale oggi al mondo non è,
Come e me domani non tradirà? —
Poi gridò a' suoi fidi servi;
Presero la cagna Vidosava ,
Legaronla a' cavalli per le code,
La cacciarono sotto Pirlitore:
E lei viva i cavalli stracciarono.
Il re saccheggia le case di Moncilo:
Poi prende la sorella di Moncilo,
Per nome la bella (80) Gerosima:
La mena a Scodra sulla Bojana,
E se la inghirlanda (81) per moglie.
Con lei bella generazione generò;
Generò Marco e Andrea.
E Marco tira (82) allo zio,
Allo zio, Moncilo il capitano.

  1. Xura, uomo piccolo e magretttno, è il soprannome del re. Dante sul serio di re parecchi.
    . . . colui dal maschio naso. —
    E quel Nasetto —. . .
    . . .Venceslao, suo figlio
    Membruto. . .
  2. Erzeg, capitano.
  3. Veggonsena tuttavia la ruine.
  4. Vidosava, forse da viditi e sav; vedere tutto.
  5. Móncilo, forse da momak, giovane a soldato,
  6. Taino. Da tamno o tavno, nero. Di qui vengono e tainik segretario, e tamniza carcere: come nell' italiano segretario a segrete.
  7. La moglie agl' Illirici è ljuba, amata; o maglio, come i vecchi Italiani dicevano, amanza.
  8. Sta ces? Che vuoi? senz' altro.
  9. Izdai. Ut. dede, trade.
  10. Ljubovza, dim.
  11. L'illirico per futuro ha il verbo volere coll' infinitivo: poi, come il greco moderno, ςέλω e ςά. Ma certo la forma illirica è più antica della greca moderna, e dal confondersi delle due razze venne in Grecia quel modo. Ma a Greci bisogna ripetere ςέλω o il ςά ad ogni verbo; gl' illirici con an solo possono regolare tutti gl' infinilivi che seguono: onde il dire più snello, più varia l' armonia. I' debbo supplire con un potrai,
  12. Vreteno forse da vernut, affine di verto.
  13. 1 giosc ono xexeno zlato — Oro passato per fiamma . — Ono è tradotto dal nostro di quel, o dal semplice del.
  14. A kakav! Virg. Qualis erat!
  15. Come il cresco latino che fa succresco, incresco, excresco, ed altri; cosi ratti è ricco di derivati. Qui dice porasle, come percresciuti i mandorli; poi uzrasle, come incresciuto il grano. Nell' uno vedi gli alberi per la campagna tutta quanta diffusi, nell' altro il grano nella campagna ondeggiare come fa il mare.
  16. Quel che i Latini : glauco fiume.
  17. Svacojaca. Quasi d'ogni forza. Lat. Omnigenus. Bello che il genera o la specie riguardisi come potenza.
  18. Sitnu. Epiteto della lettera frequentissimo : vale o minuta di scritto, o fitta di senso.
  19. To gospodsko jelo. To è inutile, che l' illirico non ha articoli. Ma risponde all' nostro il che viene dall' ille latino. Anco i Latini talvolta l' adoprano a modo d'articolo.
    . . . Poenortum qualis in arvis
    Sauditi
    ille gravi venantum vulnere pectus,
    Tum demum movet arma leo.
    Ma forse to ha non so che qui di disprezzo.
  20. Ogleduje. Qui vale conoscere le qualità per prova : come il nostro osservare.
  21. Bratuçeda. Da çedo od brata, prole del fratello.
  22. Che vede ov'è il colpo mortale, e certo lo dà. Il simile dicono gli occhi delle ali in Ezechiello, e gli occhi d'Argo; e il proverbio volgare di coltello non buono: che taglia quel che vede.
  23. Nicoga do Boga. Nessuno fino a Dio : nel senso d' amicus usque ad aras.
  24. Podigni.
  25. Zasiedni. Salmi. Sedei in insidiis.
  26. Cudan: mirabile. Qui vale notabile: ione da çuti, udire, come da mirari facciamo ammirare.
  27. Nedelju; da ne, dielo, non operare.
  28. O ; lungo il lago.
  29. Leverà. Lar. levir. — Qui vale affini in genere: mariti e di sorelle e di cugine, fratelli alle mogli e de' fratelli e de' cugini. Ne' popoli buoni la parentela piò lontana è fraterno vincolo stretto,
  30. Uogi, Negli occhi della domenica, vicin vicino. La notte che le precede presentasi alla domenica, fetta dagli Sfori sovente persona.
  31. Spàlit da paliti: come exuro da uro,
  32. Izgubiti perdere neutro: pogubiti attitot
  33. Loxnizu, letto; da Uxati: come cubile da tubo. Leccati, e Ucuu affini.
  34. Voivoda: da voditi, e voi: condurre alla guerra.
  35. Utiscati. Forse da tiho, piano, queto.
  36. Scorcio di Giabucilo, come Maso di Tommaso.
  37. Popustiti da pustiti, lasciare: così da lasciare, allentare, fecimo noi lasciare affine di abbandonare.
  38. Sagledati: perspicere.
  39. Pievzi da pievati o pivati, cantare. Affine all' ital. piva.
  40. Favoleggiano che in un lago fosse un cavallo alato che di notte usciva a montare le cavalle di Moncilo, pascenti ne' prati all' intorno: ma subito dopo dava loro de' piedi nel ventre, che non figliassero. Moncilo che lo riseppe, prende timpani e tamburi, si nasconde: e allorchè sta il cavallo per ismontare, fa dare in quegli stromenti; ond' esso spaventato, senz' aver quando percuotere la femmina, fugge nel lago. Così nacque Giabacilo.
  41. Fino. Do copita. Così noi lodare a cielo, faccende a gola. Non perdiamo di grazia queste elissi potenti.
  42. Ramazala: inunxit,
  43. Zapalila, diede fuoco; sapalila col fuoco consumò. Però porta, oltre la lanterna, il lume.
  44. Se vernu. Come tornarsi in antico valeva e volgersi e rivenire, così vernutise.
  45. Poranio. Il francese ha matinal, i1 Veneto bonorivo. Ma il verbo a noi manca.
  46. Pramen proprio fiocco.
  47. Erzegovina.
  48. Ljuba. Quanto affetto in questa parola, posta qui !
  49. Pa on sigie. L' on, egli, talvolta è soverchio, dirabbesi francesismo. I1 pa, poi, nel principio dei verso è frequente come le particelle in Omero. E talvolta forse intruso.
  50. Di Didone andante alla caccia:
    . . . . cunctantem ad limina, primi
    Poenuorum expectant.
    Tandem progreditur.
    . . .
  51. Pusta come deserta, lassa ! L' επημος da' Greci moderni.
  52. Prirasla—succrevisset.
  53. Cuja. Cosi il gr. σχύλλα.
  54. No, forse scorcio di nego.
  55. Ponajbolju. Al comparativo aggiunge due particelle intensive. —A renderle almeno in parte, accolgo un idiotismo che non è senza esempi.
  56. Da je kome pogledati bilo Si cui faisset, senz' altro. Elissi elegante.
  57. Siçe. Lat. secare.
  58. Srecia susretnula. Srecia da srititi. Come l' italiano incontrare per avvenire.
  59. Izigie. Aveva rotta la schiera per mezzo, e riusciva fuor oltre.
  60. Malaksasce. Μαλακόνω, ammollire.
  61. Caedere. Ant. ancidere.
  62. Cogniz; Cavallaccio: dim. come di compassione.
  63. Biesti: val rabbia: ma qui smania di fare il chiasso: come gì' Italiani rabbia dicono brama viva. Così bizza (che anco nel suono somiglia) vale e ira e capriccio: onde il senso antico di bizzarro che valeva iracondo, e il moderno, che vale tutt' altro. Così capriccio e raccapriccio.
  64. Gniscom affine a hinnio: e nitrire è come frequaentativo d' hinnire.
  65. Odskoçi, desultat; scoci, saltati doscoçi, adsultat (Che però non bene risponde). Diciamo proverbialmente: in tre salti.
  66. Nevogli, che vale agli Illirici, dolore, necessità; malattia, angustia estrema; stato in cui la volontà è sopraffatta dal male.
  67. Sejo, sorellina.
  68. Ziknu: bella voce ch' ha del veneto zigar, ma più forte,
  69. Ostalom snagom: colla rimanente forza di latte le membra. — Potente verso.
  70. Isçupala. Schiantare strappando.
  71. Busdovano, globo di ferro grosso, con aste ottuse sporgenti e manico corto, che gettavasi sul nemico.
  72. Amanet, deposito, in turco. Vale: T' affido, quasi deposito sacro, questa preghiera estrema.
  73. Uzmi Assoluto, come il prendere nostro.
  74. S' dusicom se bori. Coli' anima uscente. Combatte con la morta.
  75. Senza agonia e senz' ira.
  76. Riempitivo; come ecco.
  77. Ugosti. gost, ospite, oste.
  78. Kalpak. Il berrettone tondo senz' ale.
  79. Mecie.
  80. Dilber: turco. Misera nazione che con parola turca fu condotta ad esprimere la bellezza. Fortunata nazione che della bellezza, in tale stato, non perdè '1 sentimento! Ma a molti dialetti illirici quest' è voce ignota.
  81. Viença. Come il nubere de Latini diceva in vincolo sacro. I Greci ατεφανόνω.
  82. Se turi. Tirare ch' è affine con turit. Vale: ritrae dello zio.

Niccolò Tommaseo: La madre di Marco Craglievic, In: Canti popolari. Canti illirici, Venezia 1842. - pp. 39-51.

На Растку објављено: 2008-04-04
Датум последње измене: 2008-04-06 14:09:05
 

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