Stefano Aloe
Angelo De Gubernatis e il mondo slavo (Indice, Introduzione)
Angelo De Gubernatis e il mondo slavo . Gli esordi della slavistica italiana nei libri, nelle riviste e nell'epistolario di un pioniere (1865-1913) . Studi slavi e baltici. Dipartimento di linguistica. Università degli Studi di Pisa, N. 1 - 2000 Nuova Serie, Collana di studi e strumenti didattici diretta da Giuseppe Dell'Agata, Pietro U. Dini, Stefano Garzonio, Pisa: Tipografia Editrice Pisana, 2000.
Indice
- INDICE p.3
- Abbreviazioni p.5
- INTRODUZIONE p.7
PARTE I LA RUSSIA
- CAP.I Primi rapporti con i russi p.21
- CAP.II La «Rivista europea» p.49
- II,1 Tatiana Svetoff p.49
- II,2 Il «Vestnik Evropy» p.71
- II,3 Aleksej Tolstoj p.94
- II,4 Louis Leger p.102
- CAP.III Nuove iniziative (1876-1888) p.121
- III,1 La «Nuova Antologia» e il Dizionario p.121
- III,2 La «Revue internationale» e il Dictionnaire p.139
PARTE II IL MONDO SLAVO
- CAP.IV Polonia e Boemia p.159
- IV,1 Polonia p.159
- IV,2 Boemia p.137
- CAP.V Slavi meridionali p.201
- V,1 Serbia p.201
- V,2 Croazia e Dalmazia p.235
- V,3 Bulgaria p.254
- CONCLUSIONI p.261
- APPENDICE p.267
- BIBLIOGRAFIA p.291
- INDICE DEI NOMI p.311
ABBREVIAZIONI
- BNF, cart.DG: Biblioteca Nazionale di Firenze, carteggio De Gubernatis
- DG: Angelo De Gubernatis
- Dict .: A. De Gubernatis, Dictionnaire international des écrivains du jour , Florence, 1888-1891
- Diz .: A. De Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei , Firenze, 1879.
- Fibra : A. De Gubernatis, Fibra: Pagine di ricordi , Roma, 1900.
- «N.A.»: «Nuova antologia»
- OR Lenina: Отдел рукописей Российской Государственной Библиотеки им. В.И.Ленина, Москва
- PD: Пушкинский Дом (Институт Русской Литературы Российской АН), Санкт Петербург
- «Rev.int.»: «Revue internationale»
- RGALI: Российский Государственный Архив Литературы и Искусства, Москва
- «Riv.cont.»: «Rivista contemporanea»
- «Riv.eu»: «Rivista europea»
- SDGB: Sof'ja De Gubernatis Bezobrazova
- «V.E.»: «Вестник Европы»
Introduzione
La conoscenza del mondo slavo nell'Italia ottocentesca
Il mosaico disomogeneo e frammentato degli slavica italiani ottocenteschi è stato oggetto di interesse, di studi e di curiosità sin dagli esordi della slavistica italiana. 1 Ma la raccolta dei mille pezzi sparsi, più o meno importanti, più o meno episodici, continua tuttora, anche se possiamo ormai dire di possedere una visione d'insieme abbastanza completa e ampia, suscettibile di aggiustamenti e di migliorie, ma fondamentalmente chiara nelle sue direttive. 2 Essendo la materia in questione così dispersiva, sono state necessarie grandi opere di raccolta e di sintesi come quella, basilare, di Arturo Cronia, 3 così come sono occorsi approfondimenti di singoli fenomeni, unica maniera per poter dare visibilità a libri, personaggi e situazioni ricoperte dall'inevitabile patina d'oblio spesso fin dall'indomani del loro verificarsi. Di approfondimenti c'è ancora necessità e la miniera, si potrebbe dire, non accenna a esaurirsi. Attendono ancora di essere messi debitamente a fuoco non solo tanti aspetti secondari, e pur sempre degni di analisi, della produzione "slava" nell'Italia ottocentesca (a volte preziosissimi per illuminare le zone buie che tuttora costellano la nostra conoscenza del periodo); ma aspettano anche alcuni capitoli di una certa rilevanza intrinseca, che coinvolgono nomi importanti del mondo slavo. Le interrelazioni private italo-slave, si sa, sono intensissime e variegate. A mano a mano, i contorni si precisano, si chiariscono i fatti, vengono allo scoperto personaggi di cui si ignorava ogni cosa che non fosse il nome, o in certi casi addirittura le iniziali usate a mo' di firma in qualche rivista. D'altra parte, la lacuna più noiosa, quella che ostacola in maggior misura l'approccio all'argomento, va individuata nella carenza di strumenti bibliografici, e ciò di cui si avverte forse maggiore necessità allo stadio attuale degli studi è proprio di una catalogazione sistematica del materiale ottocentesco a disposizione: traduzioni, saggi, articoli di giornali e riviste, ecc. Si tratta di un lavoro gigantesco e decisamente ostico, impensabile senza un'unione di forze a cui progressivamente si venga associando il contributo di coloro che si dedicano a questo genere di studi. Basti pensare che da questo punto di vista non ci sono stati progressi significativi dopo il lavoro ciclopico, ma metodologicamente superato e insoddisfacente di Arturo Cronia, che del resto si era prefissato un obiettivo distante dalla mera catalogazione del materiale bibliografico da lui stesso raccolto nel corso di un'intera vita. Il densissimo saggio di Bruce Renton sulla letteratura russa in Italia, pubblicato tra il 1960 e il 1961 sulla «Rassegna sovietica», aggiungeva fonti e notizie nuove, ma in forma assai caotica e con un altissimo numero di imprecisioni, alla lunga veramente deleterie! 4 Non di rado, perciò, ci troviamo davanti a date, titoli e nomi dubbi, a bibliografie incomplete e a rimandi approssimativi che richiedono faticose verifiche.
Il presente saggio vuole essere un contributo, con tutti i suoi limiti e lacune, in direzione di una più completa e approfondita conoscenza degli slavica italiani del secolo decimonono. Per questo motivo è corredato da un'appendice bibliografica che si è voluta il più possibile ampia e rigorosa, e che comprende, oltre ad un catalogo delle pubblicazioni di Angelo De Gubernatis afferenti al mondo slavo, anche quello degli scritti "slavi" di varia provenienza apparsi sulle riviste da lui redatte e, infine, un catalogo degli slavica conservati nell'epistolario De Gubernatis, presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. Questo lavoro è il frutto di diversi anni di ricerca a volte difficoltosa, e forzosamente imperfetta, data la mole enorme di materiale consultato. La mia speranza è che esso risulti comunque utile agli studiosi che si dedicheranno all'argomento e che possa confluire, mondato dalle lacune, in una futura catalogazione sistematica dell'intero corpus degli slavica italiani, una fatica che la computerizzazione, a mio parere, renderà praticamente realizzabile attraverso un concorso di contributi.
Il periodo che si prende in esame, quello che corre dagli anni '60 dell'Ottocento fino alla prima decade del Novecento, va considerato come cruciale per l'incubazione e la successiva nascita della slavistica italiana. In un crescendo inizialmente impercettibile, la cultura italiana sviluppò proprio in questo periodo legami sempre più stretti ed approfonditi con le altre nazioni europee, senza più preclusioni nei confronti delle cosiddette nazioni "emergenti" o "giovani", nel novero delle quali venivano considerate le nazioni slave in toto . Caddero, con una certa fatica, i pregiudizi sugli "ultimi arrivati", conseguenze di una cultura isolatasi troppo dalle correnti trainanti, e che della sua pretesa di nobile erede della classicità latina per lungo tempo si era servita per farsi schermo del ritardo con cui recepiva quanto di nuovo avveniva in Europa. 5
Qual'era dunque la situazione degli studi e delle pubblicazioni slave nell'Italia post-risorgimentale? Diremo sinteticamente che ancora per qualche tempo primeggiò per prestigio la Polonia, che era stata la cara sorella negli ideali risorgimentali, coronati da successo nella sola Italia. Molti polacchi, tra cui pensatori, artisti e scrittori, soggiornarono a lungo in Italia, preferendola persino a centri più dinamici come Parigi e Ginevra. Sono notissimi i legami di Mickiewicz con Mazzini e con i patrioti italiani. Del resto, le relazioni fra Italia e Polonia sono così antiche e intense, che davvero non occorre aggiungere altro. 6
Non meno stretti ed antichi sono i legami storici che legano all'Italia la Dalmazia e, di riflesso, la Slavia balcanica. Nonostante la sua posizione periferica rispetto ai grandi centri della cultura italiana, la Dalmazia costituì per tutto l'Ottocento un ponte importantissimo con l'intero mondo slavo. 7 Il simbolo vivente di questo legame fu naturalmente Niccolò Tommaseo, che in Italia fu tra i primi osservatori dei fermenti culturali e politici del mondo slavo, e in particolare per un certo periodo accarezzò il progetto illirico, l'ideale confederazione di tutti gli slavi meridionali in una patria nuova che, ai suoi occhi, avrebbe sintetizzato in sé la genuinità popolare slava e l'umanesimo della cultura italiana. 8 Ma più che della tradizionale "parentela" con la Dalmazia, nell'Ottocento l'Italia s'interessò dell'epica dei serbi e dei croati, sull'onda della popolarità europea che essa aveva conquistato con Grimm e Karadžić , e che ad ogni buon conto aveva avuto inizio con il Viaggio in Dalmazia di Alberto Fortis ( Viaggio in Dalmazia , 1774). 9 Fatta eccezione della Russia, l'attenzione per le altre culture slave fu piuttosto inconsistente, se non altro per l'ovvio motivo che cechi, slovacchi, sloveni, bulgari, macedoni, ecc. vivevano in stato di subalternità all'interno di imperi multinazionali che concedevano loro scarse o nulle possibilità di esprimere le proprie istanze nazionali. Non bisogna però dimenticare l'attenzione che i grandi rivoluzionari italiani, Mazzini e Garibaldi, dedicarono all'intero corpo slavo, visto in una prospettiva genericamente panslavistica: nel 1869 Garibaldi si augurava "che i Boemi, con o senza aiuto della Russia e col miraggio dell'unità nazionale, si liberino dal servaggio austriaco e, con Praga capitale, formino una grande confederazione ‘ slavo-boema ´ ", e considerava "fatale" che "i popoli latini ottengano l'emancipazione dei popoli slavi". 10
L'Ottocento vide farsi avanti in crescendo disordinato la russistica, ostacolata in un primo tempo dall'impopolarità politica della Russia, speculare alla simpatia per la Polonia sottomessa, e dalle difficoltà di relazione, reali e immaginarie, con il gigantesco paese nord-orientale. Dalle pubblicazioni più superficiali l'immagine della Russia si offriva ancora come assai vaga e confusa, quella di un mondo remoto e in qualche modo primitivo, o addirittura barbaro e di certo poco "appetibile". Tale situazione spiega il ritardo con cui in Italia si imposero i grandi nomi della letteratura russa e ci si rese conto del suo inaudito fiorire. Tuttavia, non mancarono osservatori più attenti, come Tommaseo, Mazzini, Tenca. In fondo, già nel 1784 l'abate Carlo Denina aveva pubblicato un Discorso sulle vicende della letteratura in cui non solo prendeva in considerazione la giovane letteratura russa, ma ne profetizzava persino la futura importanza e grandezza, lanciando la frase profetica e ormai celebre: "Noi leggerem forse ancora libri Russi". 11 E nell'Ottocento si cominciò effettivamente a leggere libri russi. Mazzini, rivoluzionario e filopolacco, prese atto che esistevano anche in Russia forze progressiste, sia nel campo politico che in quello letterario, sul quale era abbastanza informato. 12 La fama ambigua del nichilismo rese evidente la spaccatura interna della società russa nella seconda metà del secolo.
Un certo ostacolo ad una conoscenza precisa della Russia era rap-presentato dalla natura indiretta di buona parte delle notizie pubblicate su di essa: la fonte principale era la stampa periodica francese. A parziale compensazione, la presenza di aristocratici russi in Italia offriva a volte lo spunto per pubblicazioni, traduzioni o semplicemente contatti intellettuali con le élites italiane. Ma la stessa capacità dei ceti colti italiani di accogliere una letteratura così nuova e distante fu all'inizio piuttosto dubbia. Scrive Arturo Cronia:
L'Europa era ancora troppo piena di se' e troppo presa dagli ideali di universalità greco-latina-germanica per lasciarsi invogliare da letterature che non vantavano superbi retaggi e nel certame della civiltà europea per quasi un millennio non avevano occupato certo un posto di rilievo. In un certo senso persino l'ondata xenofoba del romanticismo riusciva poco efficace. 13
Un ruolo informativo di un certo livello fra gli anni '20 e '30 lo offrì l'«Antologia» di Vieusseux, che ospitò fra l'altro scritti di Montani, Ciampi e Tommaseo riguardanti la storia e la letteratura russa. 14 La posizione di Tommaseo, che nella sua duplice natura di slavo-italiano aveva una prospettiva di osservazione privilegiata, è indicativa della difficoltà di cogliere appieno il valore della letteratura russa. Nella breve e sintomatica Lettera al Sig. Giaxich , Tommaseo lamentava la dipendenza culturale della Russia dalla Francia:
Che se il soverchio amore della lingua e della letteratura francese, dai Russi possedute in modo mirabile, non li conduce a quello spirito d'imitazione che è causa insieme e indizio ed effetto del deterioramento sociale; se l'esempio di Alessandro Pouckine, il poeta della nazione, il prediletto del giovine imperatore, sarà con più coraggio seguito; se invece di pigliare i costumi ed il gusto dello straniero, gli spiriti più possenti si daranno a ripolire, a perfezionare i costumi ed il gusto proprio al loro governo, al lor clima, alle loro abitudini, ai lor bisogni, lo splendore di giorno in giorno crescente che a noi si diffonde da quelle gelide regioni, non sarà bagliore vano, ma raggio vitale e fecondo. 15
Se da un lato Tommaseo riconosceva "lo splendore di giorno in giorno crescente" della letteratura russa e ne intuiva la portata, d'altra parte dimostrava di conoscere tutto ciò in maniera indiretta e generica (indicativa la trascrizione francesizzante del nome di Puškin); ripeteva inoltre il pregiudizio, assai diffuso, sulla natura imitativa della cultura russa. In altri scritti, arrivò a includere lo stesso Puškin fra gli imitatori, contrapponendo alla cultura russa, francesizzata e priva di originalità, la cultura illirica, che invece, ai suoi occhi, stava sorgendo da un sustrato popolare autoctono. 16 Una tale incomprensione e sottovalutazione della cultura russa da parte del miglior osservatore della Slavia nell'Italia di allora dimostra una volta di più la mancanza delle condizioni per creare un interesse costante e approfondito fra i lettori italiani. 17
Il primo studio approfondito italiano sulla letteratura russa risale al 1852 ed è opera di Carlo Tenca. 18 La novità principale di questo lavoro consiste nella mancanza di pregiudizi, nell'atteggiamento aperto e soprattutto nella qualità delle fonti; Tenca non conosceva il russo, per cui dovette necessariamente rifarsi a fonti indirette, ma, a differenza di quasi tutti i contemporanei, si orientò su quelle tedesche, di gran lunga le più approfondite. Fra queste, un'opera basata su alcuni saggi di Belinskij, la Geschichte der russischen Literatur di Johann Peter Jordan, fu il modello più importante di Tenca. 19 Per la qualità del lavoro e per la sede in cui apparve, l'autorevole «Crepuscolo» di Milano, il saggio Della letteratura russa veniva a colmare un grosso vuoto ed era il preludio all'avvio di un più costante e diffuso interesse per la letteratura russa in Italia, anche se per questo avvio si dovettero attendere ancora almeno vent'anni. Cominciava da qui quella familiarizzazione che diventò progressivamente sempre più sensibile, fino al clamore degli anni '80-'90, quando la letteratura russa divenne popolarissima.
Negli anni '50 e '60 le traduzioni si moltiplicano e sebbene continuino a mantenere un carattere episodico e siano generalmente opera di dilettanti, basate oltretutto su versioni francesi, comunque occupano sempre più spesso le pagine delle riviste. La traduzione più importante di questo periodo è quella approntata nel 1856 da Luigi Delâtre, direttamente dal russo, di alcune delle opere più significative di Puškin (fra le quali Bach čisarajskij fontan ed Evgenij Onegin ), che gode di una relativa popolarità e va considerata, al di là dei limiti, come uno dei primi tentativi riusciti di tradurre la poesia russa in italiano. 20
Nel 1861 il filologo Stepan Ševyrëv tiene alcune lezioni di letteratura russa a Firenze e l'anno successivo pubblica la sua Storia della letteratura russa in collaborazione con Giuseppe Rubini, lettore d'italiano all'università di Mosca, il cui contributo si limita però alla traduzione. 21 Privo di valore intrinseco, questo libro passa alla storia come primo del suo genere ad essere pubblicato in Italia.
Non difettano dunque le iniziative per far conoscere la Russia agli italiani. Ma l'impulso più forte, più costante, per l'epoca il più fecondo, è quello di Angelo De Gubernatis (1840-1913), che si assume consapevolmente il ruolo di divulgatore in Italia della cultura russa, e più in generale slava (e parallelamente di quella italiana in Russia e in tutta Europa), e lo persegue con caparbietà attraverso le più svariate iniziative: riviste, libri, conferenze, dizionari enciclopedici, organizzazione di convegni, ecc.
Scopo del presente studio è investigare la complessa, eclettica figura di De Gubernatis, visto nel suo ruolo di "slavista" e in particolare di "russista", definizioni, queste, che non vanno adottate nel senso rigoroso applicabile oggi, ma soltanto con riferimento all'epoca e alle condizioni in cui questo personaggio si muove.
Si pongono alcuni quesiti interessanti: come mai è stato quasi del tutto dimenticato il ruolo di quest'uomo nella nascita della slavistica italiana? In che modo De Gubernatis si è ritagliato questo compito di pioniere, quali legami lo avvinsero alla Russia e più in generale agli slavi? E, d'altra parte, fino a che punto è stata profonda la sua comprensione della letteratura e della cultura russa? E a quali fonti poté attingere?
Per cercare di dare una risposta a tali quesiti, sono ricorso essenzialmente a due tipi di materiali: da un lato, i libri di De Gubernatis, le riviste di cui fu collaboratore e quelle di cui fu anche direttore, come materiali editi; d'altro lato la sua copiosa corrispondenza con russi, polacchi ed altri slavi più o meno noti, in gran parte inedita e conservata in archivi e biblioteche italiane (Biblioteca Nazionale di Firenze) e slave (Mosca, Pietroburgo, Praga). Nonostante il suo ruolo di spicco nel panorama dell'Italia post-risorgimentale, tuttora manca alla slavistica italiana una monografia su De Gubernatis. D'altra parte, l'attenzione degli studiosi nei suoi confronti ha faticato non poco a maturare. La prima generazione di slavisti italiani, che fra i propri naturali interessi aveva ben presto sviluppato quello nei confronti della "preistoria" della disciplina, è stata sintomaticamente estranea a questa figura, il cui prestigio, all'inizio di secolo, era del resto assai vacillante: nell'ultimo decennio di vita, De Gubernatis si trovava isolato all'interno dell'ambiente accademico italiano, per essersi ritagliato un ingombrante ruolo di "intellettuale ufficiale" del regno e di "primo della classe" che trascendeva ampiamente i suoi limiti di studioso. Di conseguenza, il riflesso di tale mancanza di prestigio, che è ben presto sfociata nell'oblio che si è protratto fin quasi ai nostri giorni, è avvertibile nei citati studi storico-bibliografici di Enrico Damiani e Arturo Cronia. Quest'ultimo ancora nel 1958 si limitava ad elencare numerosi articoli e traduzioni apparse sui giornali di De Gubernatis, senza però riconoscergli alcun ruolo rilevante e ignorandone l'aspetto biografico, i suoi fondamentali rapporti con i russi. Solo un paio di anni dopo, nel saggio di Bruce Renton viene dedicata già maggiore attenzione allo studioso torinese, indicandolo come uno dei principali diffusori della letteratura russa in Italia e riportando numerosi esempi della sua attività; ma le notizie offerte da Renton sono troppo sparse e frammentarie, difetto generale del suo comunque pregevole e utile lavoro, e di conseguenza manca del tutto un'interpretazione riassuntiva del "personaggio" De Gubernatis, dei pregi come dei limiti della sua opera "russistica". Inoltre, sono frequenti gli errori e le imprecisioni. Renton mostra di apprezzare soprattutto le scelte di De Gubernatis e della moglie Sof'ja Bezobrazova come traduttori dal russo, un'attività certamente non priva di interesse, ma secondaria nel complesso dell'opera divulgativa di De Gubernatis.
Uno studio molto più approfondito è quello di Zlata Michajlovna Potapova, che dedica a De Gubernatis circa un terzo del suo prezioso libro sui rapporti culturali italo-russi. 22 La Potapova si serve di abbondanti materiali archivistici, che risultano molto interessanti non solo per ricostruire l'origine delle fonti di informazione di cui De Gubernatis disponeva in Russia, ma anche per ricavare nuove indicazioni ed elementi riguardo a diversi rappresentanti della cultura russa di quegli anni, in particolare della Pietroburgo liberale che aveva come organo rappresentativo il «Vestnik Evropy» di Michail Stasjulevič ; fra gli altri, Ivan Turgenev, di cui la Potapova trovò e pubblicò alla fine degli anni '60 alcune lettere inedite, conservate nel fondo De Gubernatis della Biblioteca Nazionale di Firenze. 23 I limiti del lavoro della Potapova stanno forse in una analisi insufficiente della figura di De Gubernatis, valutata assai positivamente, ma senza individuarne al tempo stesso i molti lati deboli, cosa del resto naturale in uno studio che si propone, e con successo, di ricostruire mezzo secolo di contatti culturali fra Russia e Italia; insomma, la studiosa russa, impegnata a ricostruire e sintetizzare i momenti salienti di questa intensa relazione biunivoca fra i due paesi, concentra i propri sforzi sul lato documentario e sul materiale archivistico, mentre poi si limita ad una lettura abbastanza superficiale dei testi e rinuncia quasi sempre a indagare sulle personalità in cui si imbatte. Da questo punto di vista, il lavoro migliore è senz'altro un breve saggio di Marzio Marzaduri 24 che, seguendo lo stesso cammino della Potapova, ovvero documentandosi principal-mente attraverso l'epistolario di De Gubernatis, arricchisce il panorama di ulteriori notizie tratte da carteggi inediti e, soprattutto, dopo aver riletto criticamente tutto il materiale preso in esame, ricostruisce il personaggio De Gubernatis pressoché nella sua interezza: luci e ombre, contraddizioni, pregi e limiti sono soppesati con acutissimo spirito critico. Il solo Marzaduri sembra avere colto un pericolo che minaccia chiunque si occupi di De Gubernatis: il pericolo di credergli troppo, di dare troppa fiducia alle sue frequenti e autocompiaciute confessioni. E difatti, Angelo De Gubernatis per primo fornisce copiose notizie su di se', soprattutto nella sua piacevole autobiografia, Fibra. Pagine di ricordi (Roma, 1900); ma uno dei maggiori limiti personali e professionali di quest'uomo risulta essere una smisurata vanità, motivo per cui ogni notizia da lui fornita va soppesata e presa con cautela. La diffidenza e la prevenzione si rivelano strumenti indispensabili per avere una visione il più possibile corretta dei fatti e delle situazioni. Con ciò si spiega l'inclemenza di Marzaduri nel giudizio su De Gubernatis:
Una figura fuori tempo in una cultura specializzata, almeno tendenzial-mente, come quella positivista. E infatti l'acclamato conferenziere, l'ambascia-tore della cultura italiana nel mondo, l'adulatore adulato della corte, che gli conferì il titolo ambitissimo di conte, venne considerato da buona parte degli studiosi italiani contemporanei con distacco e sufficienza, quando non peggio. 25
Una volta sgombrato il campo dall' "agiografismo" disseminato dallo stesso De Gubernatis nei propri scritti, e anche nella corrispondenza privata, Marzaduri delimita con molta precisione i reali pregi della sua attività di studioso:
Il suo genio, se così si può dire, non si espresse nell'indagine scientifica, per la quale difettò di metodo e di pazienza, o nella creazione artistica, come egli credeva, ma nel fiuto che egli ebbe per quanto di nuovo circolava nell'aria d'Europa, e nella capacità di divulgarlo attraverso articoli e compilazioni. V'era in lui se non la consapevolezza, il sospetto almeno del ritardo e dell'angustia provinciale della cultura italiana, e, accanto, la romantica aspirazione a una sorta di "universale Zollverein degli spiriti", che congiun-gesse, a pari diritti, le tradizioni classica e orientale, le letterature colta e popolare. 26
Nonostante la severità di questo giudizio, Marzaduri riconosce a De Gubernatis il ruolo di inauguratore della russistica italiana e disegna in modo sintetico e preciso le tappe di questa sua attività.
De Gubernatis è un personaggio sul quale certamente è facile ironizzare, leggendo qua e là tra i suoi scritti pubblici e privati. 27 Forse però va difeso, almeno nell'ottica della sua innegabile utilità di divulgatore e di organizzatore infaticabile di scambi culturali non solo con la Russia, ma anche con tanti altri paesi: Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, Serbia, Boemia, Bulgaria, Ungheria, Romania, Argentina, Cile, India... Non ci si può certo aspettare che insieme a tale mole di iniziative si accompagni altrettanta qualità e approfondimento: nella sua natura di pioniere, De Gubernatis è costantemente attratto dalle novità e il suo stesso interesse per la Russia viene scemando proprio quando il grosso dell'opera è compiuto e la divulgazione della cultura russa è diventata pane quotidiano di tutte le riviste, quotidiani ed editori italiani. In questa prospettiva bisogna pur riconoscergli i suoi meriti, e diventa tutto sommato relativa l'importanza intrinseca dei suoi scritti, spesso, è vero, sciatti e superficiali. Vanno inoltre sottolineate alcune positive novità nel modo in cui De Gubernatis si accostò, con passione ed entusiasmo, a questo terreno ancora vergine: l'utilizzo rigoroso di fonti dirette; la personale conoscenza della lingua russa (anche se non è chiaro fino a che punto arrivassero le sue competenze in questo campo); la ricerca di collaboratori slavi per le sue riviste, che a volte fornivano spazio a scritti in grado di raggiungere una certa risonanza perfino in Russia e negli ambienti dell'emigrazione russa e polacca; l'atteggiamento filorusso (ma antiautocratico), che lo distingueva inizialmente da tutti gli altri opinionisti italiani; il gusto e la competenza nella scelta delle traduzioni dal russo, con la consapevolezza di quegli ostacoli alla traduzione dovuti alla staticità e all'artificiosità dell'italiano letterario dell'epoca rispetto al russo letterario, fresco e prossimo alla lingua orale; la coscienza dell'alto livello raggiunto dalla letteratura russa, nonostante qualche errore, anche grossolano, di valutazione. Tutto ciò pesa sulla bilancia in favore di Angelo De Gubernatis e induce ad essere un po' più indulgenti di Marzaduri. Induce, in fin dei conti, ad affrontare il faticoso lavoro di ricostruzione dell'attività cosiddetta "slavistica" di De Gubernatis nei vari suoi aspetti, pubblici e personali, con lo scopo di rendere disponibile a tutti gli studiosi la grande messe di materiali interessanti che gravita intorno a questo personaggio.
Oltre alla sezione russa, di gran lunga preponderante nella vita e nell'attività di Angelo De Gubernatis, questo libro intende dare spazio anche a quei materiali, comunque copiosissimi e spesso rilevanti, che documentano i contatti dello studioso torinese con le classi intellettuali dell'intera Slavia. Ciò mi sembra di particolare necessità, dal momento che tali interessi rimangono a tutt'oggi ignorati: mentre sulla sua attività russistica esistono già gli studi citati di Marzaduri e Potapova, oltre a molti altri lavori riguardanti singoli episodi di tale attività, per quanto mi consta non esiste quasi accenno a De Gubernatis nella letteratura scientifica legata alle letterature polacca, ceca, croata, bulgara, ceca. 28 Uno degli scopi di questo saggio sarà dunque quello di colmare, nei limiti del possibile, questa grave lacuna. A mio modo di vedere, lo stesso sguardo sulla produzione russistica di De Gubernatis ne risulta arricchito di molto, poiché nella dinamica dei contatti culturali di cui egli è protagonista o tramite, le relazioni non si limitano alla biunivocità Italia-Russia, Italia-Polonia, Italia-Serbia ecc., ma frequentemente si intrecciano in forme composite; così, avremo delle relazioni Polonia-Ucraina-Russia, Russia-Serbia-Italia, Mondo slavo-Mondo latino (o più genericamente mediterraneo), Europa Occidentale-Europa Ortodosso-orientale...
Uno degli aspetti più stimolanti, ma anche dei più difficoltosi, nella stesura di questo saggio è stata la consultazione e l'utilizzo dello "straripante" epistolario di De Gubernatis, in particolare dell'archivio custodito, come detto, alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Purtroppo, il catalogo esistente di tale archivio è parziale ed estremamente approssimativo: non sono infrequenti errori di collocazione di singole lettere e documenti; la descrizione delle singole cartelle contenenti i carteggi in ordine alfabetico è difettosa quando non inesistente, motivo per cui attraverso una semplice consultazione del catalogo è generalmente impossibile stabilire con certezza quale sia la quantità di lettere contenute in una cartella e quali siano gli estremi della loro datazione; per quanto poi riguarda i nomi slavi, essi risultano nella maggior parte dei casi storpiati (non soltanto per via delle ovvie traslitterazioni casuali, utilizzate dagli stessi corrispondenti, ma anche a causa di letture erronee delle firme), 29 cosicché la ricerca alfabetica è a volte infruttuosa e occorre "setacciare" l'intero catalogo per risalire a determinati nomi; ci sono poi nomi che ricorrono più volte in forme diverse, carteggi anche composti di poche lettere scorporati in due, tre o addirittura più cartelle (per esempio, Baudouin e Courtenay; Racki e Zacki!): in tutti questi casi, l'unico modo per ricostruire per intero un carteggio passa per la paziente consultazione dell'intero catalogo, senza poi contare il fatto che migliaia di lettere e documenti giacciono in cartelle miscellanee sotto denominazioni quali "Illeggibili", "Anonime" e analoghe. In questo mare magnum , i carteggi di varia entità ed interesse per la slavistica sono assai numerosi. Nel presente saggio verranno presi in esame solo quelli che, per la statura dei personaggi o per la qualità delle informazioni contenute, risultano più rilevanti: in tal modo, sarà possibile ricostruire partendo dai dettagli la complessa rete di interessi, conoscenze, attività, progetti e propositi di De Gubernatis all'interno dell'area tematica slava. Come già detto, in appendice al saggio viene fornito un catalogo ragionato, che si è voluto il più possibile esaustivo e "districativo", del materiale slavo dell'archivio De Gubernatis di Firenze. Le dimensioni e lo stato stesso di conservazione di tale archivio rendono pressoché utopica la possibilità di approssimare questo catalogo ad un aspetto di completezza assoluta; tuttavia, esso renderà molto più agevole l'accesso ai fondi conservati, permetterà a tutti di conoscere i nomi più o meno importanti che vi si trovano, ivi compresi quelli raccolti nelle cartelle di "Illeggibili" e nelle altre cartelle miscellanee, e ritengo che potrà quindi essere un utile strumento di lavoro per tutti gli studiosi che si imbatteranno nell'archivio De Gubernatis.
In conclusione, mi auguro che gli ormai non pochi anni di lavoro su questo tema abbiano portato al risultato di ridurre al minimo le inesattezze, gli errori e le lacune, compagni sgraditi ma a volte inevitabili in tutti i casi in cui bisogna fare i conti con materiale documentario, informazioni epistolari, indizi di varia natura e provenienza, non sempre verificabili in tutta certezza; per tutte le mancanze di questo genere che verranno riscontrate, confido nella benevolenza e nell'apporto integrativo di chi riprenderà il tema. La stessa scelta del materiale contiene in sé una certa componente di arbitrarietà, ma altri studi potranno senz'altro completare in forme diverse l'analisi qui proposta e riportare all'attenzione di ciascuno materiali inediti da me tralasciati o che mi rimangono sconosciuti.
Датум последње измене: 2008-06-27 20:23:22