Francesco Guida
Idea di nazione e questione delle nazionalità nel pensiero di Giuseppe Mazzini
Non è troppo strano che uno studioso di Storia dell'Europa orientale si trovi a trattare del problema delle nazionalità nel pensiero di Giuseppe Mazzini. Tale problema era nodale per il Genovese, come per molti altri osservatori del tempo, nonché per gli studiosi in seguito, ma riguardava principalmente il continente europeo e in prevalenza la sua parte centro-orientale. Simile osservazione fece Angelo Tamborra
[1]
già nel 1972 quando nel XXVI congresso di Storia del Risorgimento introdusse il gruppo di studio su Mazzini e l'Europa centro-orientale. Le vicende della zwischen Europa non esauriscono tuttavia la questione delle nazionalità: basta pensare agli studi che riguardano
Prenderò le mosse da un primo quesito: il pensiero e l'azione di Mazzini influirono sull'esito delle vicende risorgimentali degli altri Paesi europei e in particolare dell'Europa centro-orientale? Dalla comparazione degli avvenimenti occorsi nei più diversi Paesi e da quanto ci hanno saputo dire gli studiosi dovremmo concludere che influenza vi fu, ma restò limitata al campo dell'ideologia e delle idealità, solo in subordine attingendo quello della tattica e degli esiti politici. Ciò avvenne perché il messaggio mazziniano fu recepito con aggiustamenti e variazioni dettati dalle esigenze locali, ma anche e soprattutto perché l'indirizzo e la conclusione dei singoli movimenti risorgimentali vennero condizionati da numerosi altri fattori, sia interni sia (forse prevalentemente) esteri. Insomma l'equilibrio tra le Potenze, l'azione delle diplomazie, gli interessi economici pesavano sulla bilancia ancor più dei principi mazziniani, incluso lo stesso principio di nazionalità, fatto proprio da parte di tanti che mazziniani non erano, compresi gli uomini di governo. E' paradossale che la narodnost' sia (con la samoderžavie e la pravoslavie) uno dei punti del programma ideologico preparato a metà degli anni Trenta dal ministro Uvarov per lo zar Nicola I, da tutti ritenuto il "gendarme d'Europa". Certo si potrebbe a lungo discutere su quali diversi significati all’idea di nazionalità dessero Uvarov e Mazzini e persino se la parola narodnost’ possa tradursi nazionalità. Da poco è stata pubblicata in Italia un’interessante interpretazione di Natalija Mazour al riguardo.
[3]
Si potrebbe – ancora più facilmente – comparare come l’azione mazziniana abbia cercato di sostenere senza fortuna la lotta delle nazionalità per la propria indipendenza e come, invece, lo abbia fatto la politica di diversi zar, da Nicola I con la guerra del 1828-29 e della pace di Adrianopoli, ad Alessandro II con la guerra del 1877-
Per rendere più compiuta la risposta al quesito che mi sono posto è giusto ricordare a volo d’uccello alcune elaborazioni del pensiero mazziniano nell’Europa centro-orientale. Già molti anni fa Jože Pirjevec (allora firmava ancora Giuseppe Pierazzi) aveva individuato nei movimenti dei Giovani Sloveni e nei Giovani Boemi, come in alcuni esponenti del Risorgimento serbo e croato (anche di convinzioni tra loro non omogenee, anzi contrastanti) coloro che ereditarono nel mondo slavo almeno parte dell'ideologia mazziniana. Di più, egli affermò che "la sua costante e ferma fiducia nella capacità dei popoli slavi di sollevarsi a dignità nazionale, è il più valido legato che Mazzini abbia loro trasmesso" [4] . Di più facile individuazione e di notevole peso la corrente mazziniana in senso al Risorgimento romeno, come gli studi di Delureanu [5] hanno ripetutamente evidenziato e come la stampa romena lasciava trapelare anche in momenti non di massima libertà (lo nota in un suo saggio Alberto Basciani [6] ). Frammenti di Mazzini troveremo persino in Tolstoj, lo hanno osservato tra altri xxx e Marco Clementi; mentre gli intensi legami con i patrioti polacchi e ungheresi - al di là delle divergenze ora tattiche ora strategiche - non hanno neppure bisogno di essere ricordati [7] .
Dopo aver risposto a questo primo quesito, sia pure in forma approssimativa e riservandomi di aggiungere ancora qualcosa al riguardo un po' più avanti, veniamo alle idee. Come è stato di recente ribadito autorevolmente da Salvo Mastellone [8] , il pensiero politico mazziniano si forma e si formula in maniera organica tra 1831 e 1848; gli anni successivi servirono soprattutto a confermare la coerenza del personaggio, nonostante il mutare degli eventi, inclusa l'unificazione d'Italia che certo era il sogno che più gli stava a cuore. In questo processo di formazione ideologica, di progettazione giocata di continuo tra contingenza tattica e credo irrinunciabile, un grande ed essenziale spazio ebbe l'idea di nazionalità. Meglio sarebbe dire di nazione. Senza pretese di essere esauriente, devo almeno ricordare che per il Genovese il cosmopolitismo di matrice illuministica settecentesca aveva attaccato e forse sconfitto una vecchia idea di nazione, di origine medievale; un'idea tutta legata alla figura del monarca o - nella migliore delle ipotesi - a una oligarchia nobiliare. Tale opera di demolizione era servita per esaltare i diritti fino allora conculcati dell'individuo: aveva insomma avuto una funzione positiva in una determinata epoca storica. Con il XIX secolo però si era aperta una nuova epoca, che avrebbe avuto al suo centro non più l'individuo e la semplice libertà, bensì la nazione e la sua indipendenza (considerata da lui una forma più alta di libertà) in opposizione agli imperi e al partito della "resistenza", quindi all'ordine sancito nel congresso di Vienna, ma in armonia fraterna con le altre nazioni già formate o in formazione. Il passo successivo avrebbe visto tutte le crisalidi divenire farfalle e costituire insieme una grande unione, prima continentale, poi mondiale (ecco perché prima ho fatto cenno all’Unione Europea e all’ONU). Queste aspirazioni avevano un indubbio sapore millenaristico e mistico. Sono stati comparati più volti Marx e Mazzini (per gli anni Quaranta lo ha fatto soprattutto Mastellone) ovviamente per mettere in risalto soprattutto le divergenze delle loro opinioni. Io suggerisco un ulteriore paragone che spero non sembri troppo azzardato: nel pensiero dell’uomo di Treviri il socialismo, cioè la dittatura del proletariato, costituisce in ipotesi una fase storica ben intelligibile, quindi apprezzabile o criticabile, e ad esso segue l’epoca del comunismo, in cui si potrà fare a meno dello Stato; a questa ipotesi marxiana gli studiosi hanno attribuito una certa vaghezza e indecifrabilità, poiché sostanzialmente sfuma verso una sorta di anarchia di uomini dotati tutti di un forte e spontaneo senso della socialità. Parallelamente il mazzinianesimo proponeva per il futuro della storia umana la fase dell'affermazione delle patrie, delle nazioni di cittadini, concetto fruibile e applicabile almeno parzialmente nella realtà, ma faceva poi seguire ad essa la meno concretizzabile realizzazione della piramide che vada dalla terra al cielo – come egli dice - in cui gli uomini vivranno nella più piena affermazione dell’idea di umanità (forse passando attraverso la costituzione di un governo democratico mondiale, il che ci induce di nuovo a pensare a un ONU ben migliore dell’attuale). Come il comunismo di Marx, anche questo punto di arrivo del pensiero mazziniano ci pare più vago, poco realizzabile e, tutto sommato, meno interessante. Invece attrae tutta la nostra attenzione l'organamento di quel pensiero per la specifica fase dell'Ottocento, così come attrasse l'attenzione degli intellettuali dell'epoca, tanto all'Ovest quanto all'Est.
La nazione mazziniana doveva essere universale e democratica, non una natio nobiliare né il popolo di Berchet, borghesemente e orgogliosamente diverso dai molli parigini e dai selvaggi ottentotti
[9]
. La nazione doveva essere composta da uomini che "formano un solo gruppo, riconoscono uno stesso principio, e si avviano, sotto la scorta d'un diritto comune, al conseguimento di un medesimo fine"
[10]
. In presenza di masse contadine in Italia così come in tante altre regioni d'Europa l'universalità sembrava una generosa illusione, ma aveva in sé una carica attrattiva fortissima per chi agisse in nome di un interesse generale e non di classe o personale. A Mazzini non doveva sfuggire questo limite che potremmo dire culturale, nel prefigurare una nazione di cittadini. Sapeva bene che le coscienze delle masse (spesso anche le coscienze dei ceti medi ed intellettuali) non erano preparate e per questo insistette moltissimo per la loro educazione. Nei fatti tale opera si poté esercitare soltanto verso la classe operaia e in presenza di una forte concorrenza delle correnti socialiste, ma teoricamente essa doveva avere come destinatari tutti i futuri cittadini. Qui troviamo una congruenza del tutto spontanea tra l'opera mazziniana (non solo pensiero dunque come per il Genovese era norma costante) e le più remote esperienze di tardive rinascite nazionali. Penso alle biblioteche popolari e alle scuole serali da lui volute, che sembrano fare il paio con i čitaliste o gabinetti di lettura della Bulgaria. Lo scopo è sempre lo stesso: formare la coscienza nazionale delle masse. Parallelamente l'invito lanciato durante l'esilio in Svizzera a credere nell'unità e a lavorare per essa, preparandole la via con il parlarne "au cultivateur, au paysan"
[11]
ricorda fortemente, solo per quest’ultimo aspetto, l'andata al popolo dei populisti russi, anche se questi intendevano istruire le masse sui temi della giustizia sociale e del progresso civile, senza insistere sulla determinazione della coscienza nazionale.
Ed eccoci in presenza di un nodo centrale del mazzinianesimo come delle diverse ideologie nazionali europee. Risorgimento significa anche Nation-building. Certo la rinascita nazionale non è un'invenzione di intellettuali oppure di mercanti attenti a costruirsi un mercato più ampio e controllabile per le proprie merci (questo è solo un interesse che concorre alla crescita del consenso intorno alle correnti nazionali). Si costruisce la nazione partendo da qualcosa che preesiste. Mazzini - e non è il solo - parla di riscoperta della nazione: la comunanza di lingua e di costumi, l'appartenenza alla stessa razza - insomma la nazione etnica - forniscono i mattoni per costruire la nazione in senso più nobile, la nazione "storica". Un concetto di ben più ampio respiro, anche se di più difficile assimilazione: in esso, nella nazione "storica" possono rientrare elementi alloetnici. I vincoli che la storia comune crea, le comuni convinzioni democratiche, le regole che insieme i cittadini scelgono a suffragio universale sono la malta che lega i mattoni etnici. Senza dubbio questa idea è presente nell’homo hungaricus di cui parlò anni fa Kecskemeti che non corrisponde affatto al magyar, ma anche la già ricordata Mazur sembra farla propria parlando di un patriottismo imperiale invece che russo. Persino nel fenomeno secessionista o parasecessionista della Lega Nord in Italia, come Gian Enrico Rusconi [12] ha osservato, scarso peso ha l'ethnos (peraltro di difficilissima identificazione), mentre si insiste molto sullo sfruttamento figlio del malgoverno centrale, romano e sulle capacità frustrate dei popoli del Nord (che se lasciati soli saprebbero governarsi molto meglio) quale elemento utile per costituire interesse comune e sentimento di appartenenza.
Tornando a Mazzini, per il Genovese se la nazione dei cittadini si costruisce, le sue basi sono già ben disegnate dai secoli: una nazione non si inventa dal niente. E’ vero, egli afferma "nous ne croyons pas à l'eternité des races. Nous ne croyons pas à l'eternité des langues. Nous ne croyons pas à l'éternelle et tout puissante influence des climats sur le développement de l'activité humanitaire". Infatti "la langue c'est le verbe d'un peuple; c'est sa pensée, l'idée qu'il est chargé de représenter dans le monde, le signe de sa mission" [13] . Però se la nazione non si identifica con l'ethnos, per Mazzini essa non ne può prescindere.
Se la rinascita deve essere pienamente nazionale, ne viene di conseguenza che un'insurrezione - egli lo ripete mille volte - che porti al successo della rivoluzione in una parte soltanto dell'Italia e, addirittura, dell'Europa, va contro il suo progetto politico, snaturandolo, sviandolo. Il Regno del Nord è per lui solo un piano dinastico dei Savoia, né si può pensare a liberare l'Italia (al congresso di Parigi del 1856 come nel convegno degli imperatori a Varsavia nel 1860 e nelle trattative diplomatiche degli anni Sessanta) a prezzo dei Principati danubiani da offrire come offa al molosso absburgico. Sia che guardi alla realtà nazionale italiana sia a quella europea resta per lui valida l'idea della rivoluzione sincrona e sinfonica - come diceva un uomo considerato forse a torto suo seguace, cioè Marco Antonio Canini
[14]
. Torniamo all’idea forte di rivoluzione nazionale. Essa per sua natura dovrà puntare all'umanitarismo mazziniano e non piuttosto al cosmopolitismo. Questo mira al trionfo dell'umanità attraverso l'individuo, l'umanitarismo attraverso la patria. E' la stessa differenza che passa tra semplice libertà e libertà piena, realizzata entro e attraverso l'associazione. Il cosmopolita rischia di restare passivo e non ottenere il suo scopo, oppure addirittura di accettare il dispotismo, confondendo fine e mezzi (i diritti individuali) e applicando l'egoistico ubi bene, ibi patria. Qui è opportuno leggere direttamente un brano di Mazzini scritto nel
Si osservi che il Genovese era contrario anche al cosmopolitismo dal basso, quello degli operai italiani all'estero che entravano in associazioni o sindacati stranieri e non italiani, sottraendo energie alla lotta patriottica, fase preliminare e imprescindibile per la vittoria dell'Umanità. Insomma, contrariamente a quello che venne scritto nel Manifesto comunista, per il nostro i lavoratori avevano una patria. Curiosamente una tesi che si ritrova in un intervento polemico di un acuto intellettuale di estrema sinistra, Luciano Canfora, il quale
[15]
- parlando (si pensi un po') della plutarchea Vita di Alcibiade - osservava che il vero internazionalismo apatriottico è da sempre quello delle classi agiate e dirigenti. Qui sembra opportuno ricordare anche un'osservazione di Marco Clementi sulla moderata libertà di circolazione che si consentì al pensiero mazziniano nella Russia di inizio Novecento (sottraendolo alla precedente censura) proprio in funzione antisocialista: anche la classe operaia russa poteva essere partecipe di sentimenti nazionali e, anche attraverso un’opportuna risposta alle sue esigenze, si poteva impedire che divenisse un elemento contrario al sistema politico zarista. Paradossalmente politica zarista e mazzinianesimo (rappresentanti rispettivamente il principio di autocrazia e quello di libertà democratica) si trovarono ancora una volta a incrociarsi, ma certo non era colpa di Mazzini, già scomparso da alcuni decenni. Peraltro non è questo l’unico caso in cui il pensiero mazziniano fu interpretato e piegato alle esigenze più lontane dalle convinzioni di Mazzini: in Italia ciò avvenne clamorosamente con il fascismo.
Per introdurre un altro punto importante del pensiero di Mazzini, mi pare particolarmente illuminante una sua considerazione a proposito della situazione spagnola dove per lui non sembrava esistere un problema etno-nazionale, nonostante l'antica tradizione autonomista. "La révolution espagnole est bien une révolution nationale" [16] - egli dice indirizzandosi agli uomini del "Propagador de la libertad" - perché opera la fusione del popolo, rende le genti "omogenee". Dunque, proprio perché anche nel caso spagnolo vi è una patria in fieri, Mazzini può auspicare che di essa entri a far parte anche il Portogallo, nel contesto della Repubblica iberica. Tocchiamo così un altro aspetto dell'ideologia mazziniana che gli storici più volte hanno considerato con severità. La considerazione privilegiata nei confronti della nazione "storica", cioè costituita liberamente attraverso una serie di eventi e scelte politiche, finisce talora per valere per la nazione storica tout court. Così vediamo il Genovese accettare l'idea di una ricostituzione della Polonia quale era prima del 1772, cioè uno Stato sicuramente multietnico, comprendente elementi nazionali che avrebbero dovuto naturalmente secedere prima o poi. Nelle due rivoluzioni polacche in funzione antirussa del 1830 e del 1863 la convinzione di potere staccare dall’impero zarista tutti i territori che erano stati della Rzeczpopolita fino al Settecento (quindi anche quelli etnicamente non polacchi) costituì in fondo un fattore controproducente, sebbene poco noto agli osservatori occidentali dell’epoca, simpatizzanti per i rivoltosi. Mazzini – come detto – ebbe intensi rapporti con i patrioti polacchi in esilio, anzi da questi apprese la forte esigenza di coniugare aspirazioni nazionali e questione sociale, cioè contadina. Ciò si avvertì soprattutto con il programma di Cracovia (fino al 1846 città libera) che però non sfociò in un successo, proprio perché i contadini ruteni aiutarono e diedero lo spunto alle forze austriache per occupare quell’importante città e annetterla ai possedimenti absburgici galiziani.
Più controverso il pensiero di Mazzini riguardo alla Corona magiara di Santo Stefano di cui scrisse molto per tempo (e si tratta di scritto molto citato). Egli avrebbe voluto che una forte e vasta Ungheria continuasse a esistere quale maggior esponente di una Confederazione comprendente altri Stati. Sebbene egli non abbia mai avuto responsabilità di un ministero degli affari Esteri (con la breve eccezione della Repubblica romana nel 1849) è evidente che in tale prese di posizione giocavano un certo peso considerazioni di ordine geopolitica. L’impero absburgico era senza dubbio da abbattere e l’Ungheria doveva conquistare la piena indipendenza, ma – come osservò anche il ceco Palacký – non si poteva fare a meno di un forte État du centre che garantisse l’Europa centrale da un’espansione germanica o russa: dunque l’Ungheria non solo doveva essere forte, ma riunire intorno a sé altri popoli in un vincolo confederale. Di fronte alle resistenze di Kossuth e altri ungheresi a cedere alcuni territori storicamente, ma non etnicamente magiari, si piega a riconoscere nel 1856: "
I progetti confederali successivi al
In margine a queste considerazioni, è di grande importanza sottolineare la convinzione mai venuta meno in Mazzini che la questione orientale fosse strettamente connessa a quella italiana, al punto che eventuali iniziative per risolvere una non dovevano e non potevano essere separate o indipendenti rispetto ad azioni per sciogliere l'altra. Gli eventi italiani del 1859 e soprattutto del 1860 era necessario, a suo parere, che trovassero un naturale seguito oltre Adriatico. Non era solo a pensarlo se Bixio a Cosenza arringò le camicie rosse come soldati europei e Garibaldi si farà coinvolgere in molteplici progetti lungo tutti gli anni Sessanta di sbarchi in Dalmazia o in Epiro, per colpire al cuore l'Austria o
Il nesso tra questione italiana e questione orientale per il Genovese non era solo dettato da esigenze tattiche nella lotta contro le potenze conservatrici. Vi era dietro una convinzione dottrinale. "Un peuple qui s'isole, est un peuple suicide" [24] . Fare politica estera è un obbligo morale di ogni nazione; non avere iniziativa internazionale significa essere soggiogato, averne in misura eccessiva non si armonizza con la missione della nazione. No, insomma, alla nazione-Arpagone ma anche a quella capitan Fracassa (i termini sono di mia invenzione, ma Mazzini usò il termine “nazione-Napoleone”). Questi concetti furono suggeriti a Mazzini soprattutto dalla sua permanenza in Isvizzera. Egli che credeva che si potesse fare della Confederazione elvetica una vera, più ampia nazione (articolata lungo l'intero arco delle Alpi), condannava decisamente la sua tradizionale politica di neutralità, controprova di immaturità nazionale e, possiamo dire oggi a posteriori alla luce delle scoperte sull'oro trafugato dai nazisti, modo per difendere il proprio, anche più gretto interesse.
Molto alto è anche il rifiuto della paura del panslavismo, così diffusa nell'Europa dell'Ottocento. Gli slavi non sono tutti legati ai "moscoviti". Anche a voler tralasciare il clamoroso caso della grande ribelle,
Nella sua posizione rispetto al problema delle nazionalità, Mazzini - come si è già visto di sfuggita - non rimase immobile, pur in una coerenza di fondo. Così fu riguardo all'illirismo di Ludevit Gaj, dapprima non valutato come un fenomeno di grande significato, quando invece dovette accorgersi che esso, lavorando sul versante culturale, rafforzava il sentimento nazionale già vivo tra i croati, e allo stesso tempo preparava il terreno per l'incontro con l'altra importante nazione slavomeridionale, quella serba (che godeva di una semiindipendenza), sulla strada dello jugoslavismo
[30]
. Si osservi che parliamo di una idea che, prima vincente poi sconfitta, ha avuto un ruolo importante nella storia europea del XX secolo, di fatto costituendo l'unica concreta applicazione di quei progetti federali o confederali dello stesso Mazzini e di altri uomini dell'Ottocento. Il lavoro culturale degli illiristi era in perfetta sintonia con un cardine del pensiero mazziniano: non basta l'indipendenza per avere la nazione. "Si l'amour de l'indépendance - scriveva Mazzini – pouvait être lui seul le principe de l'existence nationale, la moindre tribu du désert constituerait une nationalité".
[31]
Resta da dire più distesamente come presso i singoli popoli le idee mazziniane lasciarono il segno: non dappertutto la loro presa fu egualmente salda, anche se impressiona la loro diffusione. Di più, come capitò persino in Italia, quelle idee furono talora addomesticate oppure "selezionate". Tra i croati esse furono tenute presenti da due uomini di opinioni del tutto diverse come Imbro Tkalac
[32]
e Eugen Kvaternik, nonché più tardi da Frano Supilo. I già ricordati Giovani Cechi e Giovani Sloveni espunsero il credo essenziale dell'Austria delenda, influenzando anche altri giovani intellettuali slavo-meridionali. Al volger del secolo XIX con il rafforzarsi delle tesi favorevoli alla rottura con Vienna e con la costituzione di associazioni volte a porre fine al dominio austro-ungarico anche quel pilastro del progetto mazziniano venne recuperato. Lo testimonia l'esperienza della Giovine Bosnia che allineò gli uomini che compirono l'attentato di Sarajevo, organizzazione fortemente influenzata da letture mazziniane
[33]
. Gli studiosi hanno illustrato molto chiaramente come l'influenza mazziniana anche in Ispagna, nazione già formata territorialmente prima dell'epoca dei Risorgimenti, andò mutando attraverso i decenni con il prevalere di tendenze più o meno radicali nel repubblicanesimo spagnolo
[34]
. Naturalmente l'elenco potrebbe continuare. Già si è accennato al caso romeno in cui uomini (come i fratelli Brătianu o Rosetti)
[35]
che rivestirono cariche ai massimi livelli politici furono schiettamente mazziniani o vicini a Mazzini nei suoi progetti di comitati o partiti transnazionali, che raccogliessero le forze democratiche dell'intero continente. Da Brătianu il Genovese si fece tradurre gli scritti che lanciavano l’idea della Giovine Romania e lo volle nel Comitato democratico europeo. I rapporti con Kossuth
[36]
e con Mickiewicz sono tra le pagine più interessanti della vicenda mazziniana, come i suoi rapporti con altri esuli magiari e polacchi hanno fortemente caratterizzato per decenni le sue iniziative politiche. In particolare alcuni polacchi furono tra i suoi più fedeli seguaci, anzi suoi agenti in varie parti d'Europa.
[37]
In alcuni casi questi interlocutori stranieri giocarono persino il ruolo di mediatori tra Mazzini e altri italiani; cito solo due esempi: la riconciliazione (peraltro effimera) con Garibaldi, favorita da Herzen
[38]
nel 1864 e la mediazione di Klapka tra il Genovese e il re d'Italia.
[39]
E' idea piuttosto diffusa che nel pensiero mazziniano vi fossero i germi del nazionalismo anche deteriore: lo stesso Romeo
[40]
autorevolmente era incline a crederlo, asserendo che il concetto di nazione di Mazzini non fosse solo di stampo francese o italiano, cioè che la nazione fosse essenzialmente una scelta, piuttosto che di matrice tedesca, cioè che la nazione fosse marcata da alcuni caratteri oggettivi indiscutibili (razza, lingua, territorio). Ho già detto la mia opinione sulla questione all'inizio della relazione; aggiungo che si fa torto a Mazzini attribuendo a lui lo svilupparsi in senso negativo di potenzialità che nel suo pensiero avrebbero dovuto incanalarsi in tutt'altro senso. L'Europa centro-orientale sembra essere la più patente dimostrazione di come la creazione-riscoperta delle nazioni e il loro costituirsi in Stato nazionale (cioè il nucleo stesso del mazzinianesimo) siano processi estremamente pericolosi che implicano necessariamente lo scontro - e non il mazziniano abbraccio - tra le nazioni dopo che esse si sono manifestate. Tra i suoi seguaci alcuni furono fautori di una Grande Croazia o di una Grande Serbia, o di uno Stato-nazione che si desse confini non più giustificabili nell'era delle nazionalità, dopo che lo erano stati in epoca medievale o moderna. Tuttavia proprio a un simile indesiderato evolversi del processo nazionale, Mazzini voleva ovviare con i progetti confederali, ma non solo. Se la nazione è una scelta e un sentire comune, lo strumento del suffragio liberamente espresso può effettivamente sciogliere in buona misura il grave, ancor attuale problema dei contrasti nazionali. Voglio citare un esempio avvenuto cinquanta anni dopo la morte di Mazzini: nel
Qualcuno avrà già notato che sinora non ho toccato un altro campo in cui le iniziative di Mazzini facilmente hanno attirato le critiche degli storici. Mi riferisco alla teoria della guerra di popolo, alla fiducia nella forza del numero dei patrioti contro quella degli eserciti regolari. Credo che sia un tema su cui poco si possa aggiungere: effettivamente le azioni di bande armate dall'Italia alla Bulgaria non diedero mai grandi esiti con l'eccezione della spedizione dei Mille che però fa storia a sé per molti motivi. Proprio il suo successo restituì smalto alle tesi mazziniane riguardo alla guerriglia, forse confondendo un po' le acque. Il fenomeno infatti non si ripeté così come non ve ne era stato uno uguale nei decenni precedenti in nessun angolo del continente. Il dibattito sulla validità delle spedizioni di volontari proseguì ancora a lungo sino alle dure parole che il socialista Mussolini riservò a Ricciotti Garibaldi all'epoca delle guerre balcaniche. [42] Resta assodato che in assenza del concorso anche indiretto di un esercito amico la guerra di popolo aveva poche chances di successo. Nel XX secolo si è assistito tuttavia al fenomeno delle resistenze (anche di grandi dimensioni) che conseguirono spesso importanti successi, sempre per nel contesto di un conflitto più generale, cioè la seconda guerra mondiale. Tanto è vero che le resistenze molto meno note del dopoguerra (in Ucraina e in Polonia contro il regime comunista) non ebbero esiti altrettanto positivi. Peraltro, al di là dell'affermazione puramente teorica di fede nella guerra di popolo, non bisogna dimenticare che, soprattutto negli anni Sessanta, Mazzini presupponeva che alcuni eserciti regolari (italiano, serbo, forse ungherese e polacco, o persino quelli inglese e francese) si muovessero all'unisono o almeno in conseguenza delle insurrezioni e delle spedizioni progettate dai Balcani alla Galizia. Il Genovese in quel torno di tempo - come è noto - non esitò a trattare con lo stesso re d'Italia.
Spero di aver affrontato almeno i principali temi attinenti la forte relazione esistente tra la teoria mazziniana della nazione e le iniziative di Mazzini, da un lato, e le vicende delle nazionalità europee, principalmente esteuropee, dall'altro. Era, come si è visto, una relazione forte perché estremamente naturale, quasi scontata. Oso dire che se Mazzini fu un ideologo le cui idee furono comprensibili e condivisibili in qualsiasi Paese, in particolare il suo pensiero era adatto alla condizione di quei popoli che non avevano potuto ancora, nel secolo passato, realizzare un proprio Stato nazionale. Se egli non fosse esistito, quei popoli, che si trovavano a ovest ma soprattutto a est dell'Elba, avrebbero dovuto cercare un altro illuminatore, un altro apostolo.
[1] Angelo Tamborra, Introduzione al gruppo di studio su Mazzini e l’Europa orientale, in Mazzini e il mazzinianesimo. Atti del XLVI congresso di Storia del Risorgimento, Roma, 1974, pp. 287-300
[2] Il mazzinianesimo nel mondo, I-II, a cura di G.Limiti, Pisa 1995-1996
[3] Natalija Mazur, I paradossi dell’essere imperaile: qualche episodio di storia della costruzione nazionale nell’impero russo, in Nazioni, nazionalità , Stati nazionali nell’Ottocento europeo, a cura di Umberto Levra, Roma, Carocci 2004, pp. 303-322.
[4] Giuseppe Pierazzi, Mazzini e gli slavi dell’Austria e della Turchia, ivi, p. 407. Questo saggio resta essenziale per la conoscenza delle relazioni ideali e materiali tra Mazzini e le diverse nazioni dell’Europa centro-orientale.
[5]
Ci limitiamo a citare Ştefan Delureanu, Mazzini e
[6] Alberto Basciani, Mazzini nella stampa romena dell'Ottocento in Il Mazzinianesimo nel mondo,I, cit., pp. 259-327
[7]
Cfr. Marco Clementi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi, in “Rassegna Storica del Risorgimento”, LXXXVII, 2000, III, pp.393-410. Dello stesso autore si veda Mazzini e
[8] Salvo Mastellone, Il progetto politico di Mazzini (Italia-Europa), Firenze, Olschki 1994
[9] Giovanni Berchet, Sul ‘Cacciatore feroce’ e sulla ‘Eleonora’ di Goffredo Augusto Bürger. Lettera semiseria di Giovanni Grisostomo al suo figliuolo (1816): “Basti a te per ora di sapere che tutte le presenti nazioni d’Europa (l’italiana anch’essa né più né meno) sono formate da tre classi d’individui: l’una di Ottentotti, l’una di Parigini; e l’una, per ultimo, che comprende tutti gli altri individui leggenti ed ascoltanti […] A questi tutti io do nome di popolo”.
[10] Giuseppe Mazzini, Nazionalità. Qualche idea su una costituzione nazionale (1835), in Edizione nazionale degli scritti, VI, pp. 123-158
[11] Idem, Nazionalità. Unitari e federalisti (1835), in Edizione nazionale degli scritti, VI, pp. 3-41
[12] Gian Enrico Rusconi, Se cessiamo di essere una nazione. Tra etnodemocrazie regionali e cittadinanza europea, Bologna, Il Mulino, 1993
[13] Giuseppe Mazzini, Humanité et patrie, in Edizione nazionale degli scritti, VII, pp. 201-218
[14] [Marco Antonio Canini] Vingt ans d’exil, Paris 1868, p.
[15] Luciano Canfora, in “Il Corriere della sera”, 1996,
[16] Giuseppe Mazzini, De la nationalité au Propagador, in Edizione nazionale degli scritti, VII, pp. 331-351
[17]
Giuseppe Mazzini, lettera a N.Fabrizi, 21 aprile
[18] Angelo Tamborra, ; Pasquale Fornaro, Risorgimento italiano e questione ungherese (1849-1867), Soveria Mannelli, rubbettino 1995
[19] Francesco Guida, Problemi del risveglio delle nazionalità balcaniche durante l'epoca napoleonica, in Il risveglio delle nazionalità nel periodo napoleonico, Pisa, Giardini editori 1982, pp. 119-146
[20] Marco Dogo, Lingua e nazionalità in Macedonia. Vicende e pensieri di profeti disarmati. 1902-1903, Milano Jaca book, 1985
[21]
Rigas Fereos. La rivoluzione,
[22] Liudmila Genova – Krumka Šarova, Il movimento nazionale rivoluzionario bulgaro e le idee di Mazzini, in Il mazzinianesimo nel mondo, II, cit., pp.
[23]
Costas Kerofilas,
[24] Giuseppe Mazzini, Nazionalità. Qualche idea su una costituzione nazionale (1835), in Edizione nazionale degli scritti, VI, p. 127
[25] Idem, Un mot sur la question polonaise, in Scritti editi e inediti, VII, p. 232
[26] Mykola Varvarcev, Mazzini e l’Ucraina nell’Ottocento, in Il mazzinianesimo nel mondo, II, cit., pp.
[27]
Francesco Guida, Antonio Possevino e
[28]
Idem, Nascita di uno Stato balcanico.
[29] Giuseppe Mazzini, Nationalité et propagande, in Edizione nazionale degli scritti, XII, pp. 252-257
[30] Giuseppe Pierazzi, loc.cit.,
[31] Giuseppe Mazzini, Nazionalità. Qualche idea su una costituzione nazionale (1835), in Edizione nazionale degli scritti, VI, p.150
[32] Angelo Tamborra,
[33] Giuseppe Pierazzi, loc.cit., p. 412
[34] Jordi Casassas-Albert Ghanime-Josep Pich-Teresa Abellò, La influencia de Mazzini en el republicanismo español, in Il mazzinianesimo nel mondo, I, cit., pp. 77-142; Isabel Pascual Sastre, Mazzini y los republicanos españoles, in Il mazzinianesimo nel mondo, II, cit., pp.
[35] Ştefan Delureanu, loc.cit.
[36] Koltay Kastner, altri
[37]
Giuseppe Monsagrati, Giovanna Tomassucci, Mazzini e
[38] Fu Aleksandr Herzen a descrivere l’incontro tra i due più noti esponenti del Risorgimento italiano in casa sua a Londra, nelle pagine oggi raccolte nella Polnoe sobranie sočinenie, Moskva, Nauka, vol. (è l’episodio intitolato Camicia rossa); ma anche la breve antologia Aleksandr Herzen, Mazzini e Garibaldi, Roma, e/o, 1995,
[39] Giuseppe Pierazzi, loc.cit., p. 382
[40] Lo nota Gennaro Sasso, Rosario Romeo e l’idea di ‘nazione’. Appunti e considerazioni, in Il rinnovamento della storiografia politica. Studi in memoria di Rosario Romeo, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, in particolare p. 126
[41] Marta Petricioli, La questione dell’Ungheria occidentale nei documenti diplomatici italiani, in Italia e Ungheria(1920-1960). Storia, politica, società, forti, a cura di F.Guida e R.Tolomeo, Cosenza, Periferia, 1991, pp. 1-30.
[42] Francesco Guida, Ricciotti Garibaldi e il movimento nazionale albanese, in “Archivio storico italiano", CCCXXXIX, 1981, 1, pp. 97-138; Idem, L'ultima spedizione garibaldina in Grecia (1912), in Indipendenza e unità nazionale in Italia e in Grecia (Atti del convegno di studi tenuto in Atene nell'ottobre 1985), Firenze, Olschki 1987, pp. 191-220
Francesco Guida è professore ordinario di Storia dell'Europa centroorientale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università Roma Tre, nonché docente di Storia della formazione degli Stati nazionali nel xix secolo. Ha svolto e pubblicato numerose ricerche riguardanti la storia di Bulgaria, Grecia, Romania, Polonia, Russia, Ungheria e delle loro relazioni con l'Italia.
Датум последње измене: 2008-06-28 13:40:42