Stefano Aloe

Angelo De Gubernatis e il mondo slavo (Cap. 3.1. La «Nuova Antologia» e il Dizionario)

Angelo De Gubernatis e il mondo slavo . Gli esordi della slavistica italiana nei libri, nelle riviste e nell'epistolario di un pioniere (1865-1913) . Studi slavi e baltici. Dipartimento di linguistica. Università degli Studi di Pisa, N. 1 - 2000 Nuova Serie, Collana di studi e strumenti didattici diretta da Giuseppe Dell'Agata, Pietro U. Dini, Stefano Garzonio, Pisa: Tipografia Editrice Pisana, 2000.

CAPITOLO III

NUOVE INIZIATIVE (1876-1888)

III,1 La «Nuova Antologia» e il Dizionario

Nel 1876 De Gubernatis è impegnato su vari fronti, la sua attività è più che mai frenetica. Oltre alla direzione della «Rivista europea» e agli impegni accademici, si dedica infatti a due nuovi ambiziosi progetti: la partecipazione al III congresso internazionale degli orientalisti, a Pietroburgo, in qualità di rappresentante dell'Italia, con lo scopo di convincere i delegati degli altri paesi a scegliere Firenze per il successivo congresso (questo presuppone intense trattative politico-diplomatiche con le varie delegazioni e con il governo italiano); il secondo progetto consiste nel redigere un dizionario enciclopedico degli scrittori contemporanei, per il quale De Gubernatis si immerge in una titanica attività epistolare, richiedendo, direttamente o attraverso collaboratori di vari paesi, notizie bio-bibliografiche agli scrittori, scienziati, studiosi e giornalisti più importanti dell'epoca. Per quest'opera gigantesca De Gubernatis poteva avvalersi delle sue innumerevoli conoscenze sparse per il mondo, convinto della propria autorità di "scrittore internazionale", come amava definirsi. In effetti, egli appare ben inserito nel mondo intellettuale europeo e per la sua casa passano molti personaggi illustri, come Ferenc Liszt, Richard Wagner, Max Müller, Aleksej Tolstoj, Albrecht Weber, Ernest Renan...

    La mia qualità di scrittore internazionale avea, intanto, contribuito a fare del nostro salotto in Firenze un ritrovo d'illustri forestieri. La sera del giovedì, in casa nostra si riceveva, e, secondo le occasioni, si conversava o si faceva un po' di concerto o d'accademia.[1]

Va ricordato poi che nel 1878 De Gubernatis conobbe a Parigi, nello studio dello scultore Mark Antokol'skij, Ivan Turgenev, che già in precedenza aveva fatto conoscenza epistolare con lui e prima ancora con sua moglie, dimostrando per entrambi grande stima.[2] I De Gubernatis erano sempre molto attenti alla produzione di quello che consideravano il massimo romanziere russo. Per la traduzione di Acque di primavera, Sof'ja Pavlovna si era rivolta direttamente allo scrittore, che le aveva dato volentieri la propria autorizzazione, con parole di lode e ammirazione per la fine cultura della signora De Gubernatis e per la nota erudizione del marito.

A Pietroburgo De Gubernatis ebbe modo di fare diverse altre conoscenze. Per esempio, rimase sconcertato dalle opinioni dello slavofilo Nikolaj Danilevskij, di cui alcuni anni prima egli aveva pur pubblicato un estratto dal saggio Rossija i Evropa: di fronte ai "messaggi" di fratellanza latino-slava lanciati nella conversazione dal conciliante De Gubernatis, Danilevskij aveva ribattuto che la Russia non faceva parte dell'Europa e non ne condivideva il cammino storico.

Ma la missione pietroburghese andò senz'altro a buon fine: De Gubernatis giunse nella capitale russa nell'estate del 1876 e con l'aiuto di conoscenti come Vladimir Bezobrazov e l'accademico Vladimir Vel'jaminov Zernov, si ambientò benissimo, sia dentro che fuori dell'ambito congressuale. I suoi sforzi perché Firenze fosse nominata sede del IV congresso, da tenersi nel 1878, ebbero esito positivo e De Gubernatis poté tornare in Italia da trionfatore. Ma al rientro lo aspettava una brutta sorpresa:

    Appena giunto, intesi, pur troppo, che, in mia assenza, era stata malamente venduta, senza avvertirmi, a Carlo Pancrazi, direttore della Gazzetta d'Italia, la Rivista Europea che io dirigeva da sei anni. Il Pancrazi credette allora aver comprato, con la merce, anche il merciaio; ma io, non potendomi stimare cosa venale, quasi giunta alla derrata, mi ritrassi.[3]

Con l'uscita di scena di De Gubernatis, la «Rivista europea» diminuì notevolmente, ma non cancellò del tutto gli spazi dedicati alla Russia: tra le altre cose, con la nuova gestione apparvero la prima traduzione italiana da Gogol',[4] il primo articolo su Ostrovskij,[5] articoli su Turgenev, sulla stampa russa, ecc..[6] L'impostazione della rivista divenne molto più critica verso la politica estera russa, ma in generale l'attività russistica di De Gubernatis ebbe un seguito; a sua volta, l'attivo professore trovò immediatamente un posto nella prestigiosa «Nuova Antologia», per la quale dal dicembre 1876 cominciò a curare una rubrica chiamata "Rassegna delle letterature straniere", che proseguì fino al 1887. Nella "Rassegna", De Gubernatis si serviva delle sue molteplici e dirette conoscenze internazionali per documentare i lettori sui libri e sui fatti culturali salienti che si presentavano all'estero; il ruolo principale lo svolgevano le letterature francese, tedesca, inglese e russa, ma non mancavano notizie su letterature meno note, come ceca, ucraina e polacca. La lunga durata di questa rubrica ne attesta la validità. Inoltre, la «Nuova Antologia», che in quegli anni cominciava a rivolgere l'attenzione ai paesi balcanici, sconvolti da guerre e insurrezioni, e che di riflesso si interessava sporadicamente anche della Russia, ospitò diversi articoli di De Gubernatis su temi russi.[7]

Così, De Gubernatis apre una nuova pista per la divulgazione della letteratura russa sui periodici italiani, che poco alla volta cominciano a darle spazio sempre maggiore, non più come qualcosa di esotico, ma con il giusto riconoscimento del suo valore.[8] Proprio su impulso di De Gubernatis si comincia a pretendere competenza nel trattare argomenti russi: ancora nel 1875, sulla «Rivista europea» apparve una lettera di Boris Pavlovič in polemica con un articolo di un certo Savini pubblicato dal «Corriere italiano».[9] Questo Savini, critico improvvisato, aveva tracciato un quadro generico e confuso della letteratura russa, rifacendosi palesemente a fonti francesi di dubbia autorità e commettendo una grande quantità d'errori e imprecisioni grossolane, che Pavlovič rimarcava impietosamente: fra gli errori più ridicoli, "l'attore Dmitrewski è messo fra gli scrittori drammatici ed anche paragonato a Shakespeare". Inoltre, la maggior parte dei nomi riportati sono storpiati o addirittura illeggibili; in quanto al contenuto dell'articolo, "le considerazioni generali dell'autore, che formano la più gran parte dell'articolo, sono frasi senza significato, frasi che possono riferirsi alla letteratura russa, come alla greca, italiana o chinese".[10]

Il significato dell'intervento di Pavlovič stava appunto nell'esigenza di una corretta informazione sulla Russia da parte della stampa italiana e la scelta del giornale di De Gubernatis non era dettata soltanto dal fatto che i due si conoscessero;[11] d'altra parte, l'articolo di Savini dimostra come la Russia fosse ormai di moda, anche per riflesso del parallelo interesse sviluppatosi in Francia negli stessi anni grazie a Louis Leger e Anatole Leroy-Beaulieu, corrispondente della «Revue de deux mondes»:[12] di fronte alla carenza di esperti, i periodici potevano accontentarsi di articoli scritti con qualche leggerezza e superficialità. Lo stesso discorso vale per le traduzioni, raramente effettuate dalla lingua originale. È questo il quadro, comunque già vivace, della ricezione della letteratura russa intorno al 1876. L'attività di De Gubernatis sulla «Nuova Antologia», anche se non specificamente russistica, era comunque assai preziosa e attuale per questo campo, nel quale egli era allora forse la persona più competente in Italia. Poteva così permettersi di osservare che "la Russia è di moda. Ma se ne parla spesso a caso, per via di iperboli".[13]

Molti sono i pregi delle sue informazioni sulla Russia; esse rivelano allo stesso tempo diverse lacune e difetti. Tra i pregi sta la capacità di sintetizzare in poche pagine informazioni abbastanza complete e utili per dare un'idea corretta di ciascun argomento. Per esempio, nella "Rassegna" del novembre 1877 De Gubernatis recensisce un articolo sulla filosofia russa apparso in Francia. Egli sfrutta l'occasione per tracciare un rapido profilo della filosofia russa, poiché "è così raro che alcuna informazione precisa sopra il movimento degli studii in Russia arrivi fino a noi, che non parrà superfluo ch'io riassuma o traduca qui le notizie che si trovano nell'articolo".[14] De Gubernatis spiega come a lungo in Russia abbia dominato l'idealismo tedesco (Schelling e Hegel) e solo in un secondo momento siano diventati popolari Comte e Spencer. La censura zarista a mala pena tollerava lo studio della filosofia e sotto il regno di Nicola il suo insegnamento fu assegnato alle facoltà di teologia.

    I pensatori veramente nazionali della Russia doveano perciò ancor essi portare in se stessi qualche indizio del carattere bisantino-teologico della filosofia russa; non c'è dunque da stupire se i tre pensatori più originali della Russia moderna, Ivan Kirejevski, Alessio Khomiakoff e Michele Pogodin ci appaiano come fervidi credenti e discepoli della Chiesa ortodossa.[15]

De Gubernatis li riconosce integerrimi e d'animo nobile, "ma i loro lavori filosofici tradiscono il carattere di una dottrina ristretta ed individuale. Essi sono i corifei del partito slavofilo o panslavista".[16] Viene poi sintetizzato il nucleo dei loro rispettivi pensieri. Infine, De Gubernatis ricorda i nomi di Herzen, Belinskij e Granovskij e ne approfitta per contrapporre Herzen ai nichilisti:

    È a deplorarsi che i giovani critici russi abbiano già dimenticato un così bell'esempio. Così avvenne che il signor Pissareff spingesse fino a' suoi limiti estremi la negazione di qualsiasi autorità, e per rispetto all'utile, negasse l'arte e la poesia, rappresentasse Pushkin come un semplice versaiuolo, trattasse ogni cosa, la Filosofia, la Storia, la Fisiologia, la Pedagogia con una critica superficiale, sdegnosa, irritante.[17]

In tre pagine De Gubernatis ha fatto un riassunto della filosofia russa più che sufficiente per il lettore italiano, che ne sente parlare per la prima volta; il tono polemico di questa "Rassegna" offre ovviamente una visione parziale, ma senza dubbio la rende interessante. È giusta l'osservazione di Renton, che il tono degli scritti di De Gubernatis è molto personale e intimo,[18] col risultato di rendere in qualche modo partecipe il lettore e di familiarizzarlo con argomenti che gli sono perlopiù nuovi.

Un altro indizio della serietà di fondo di De Gubernatis sta nella ricerca, non risolta, di un criterio coerente nella trascrizione dei nomi russi in caratteri latini ("si dovrebbero nella trascrizione europea de' loro suoni, fissare segni comuni che divenissero popolari").[19] Nella pratica, De Gubernatis oscilla nelle trascrizioni, privilegiando in generale la riproduzione fonetica dei suoni (con esitazioni in casi come lo akanie); in ogni caso, rifiuta la trascrizione francese, che era di gran lunga la più utilizzata all'epoca. Così, Puškin è trascritto "Pushkin" e non "Pouckine", Turgenev è trascritto "Turghénieff" invece del più consueto "Tourguénieff". Interessante l'evoluzione delle sue trascrizioni del cognome Dostoevskij, osservata da Eurialo De Michelis:[20] dall'impreciso e un po' sconcertante "Dasztaievsky" (1869) al "Dastaievski" del Dizionario (1879). Lo stesso fatto che De Gubernatis si ponesse questo problema, attesta la costanza dei suoi intenti divulgativi, anche se non arrivò alla formazione di un metodo coerente.

Dal punto di vista della qualità della sua analisi letteraria ci sarebbe molto da dire: al di là di certe felici intuizioni, i suoi studi mostrano molte pecche e ristrettezze nell'interpretazione degli scrittori russi; in particolare, De Gubernatis mostra di non comprendere Dostoevskij e Lev Tolstoj, ma sarebbe del resto inutile pretendere di più: la sua attività è importante perché rappresenta l'inizio, mentre non meritano altrettanta attenzione i contenuti dei suoi studi. Inoltre, molte sue prese di posizione letterarie derivano da pregiudizi della cultura del tempo, magari assimilati attraverso la frequentazione proprio di russi, membri dell'area liberale moderata, estranea, quando non ostile, a scrittori come Dostoevskij, Leskov e Lev Tolstoj.

La "Rassegna" non si limitava a trattare di letteratura: De Gubernatis dava spazio, un po' a capriccio, a qualsiasi ramo della cultura; in particolare, alla fine degli anni '70 prende corpo il suo interesse per la questione balcanica che, a partire dal 1876 (con la rivolta erzegovese), coinvolse l'opinione pubblica dell'intera Europa. De Gubernatis interviene sempre più spesso a recensire libri di attualità e coglie immancabilmente l'occasione per inserire focosi giudizi e bordate polemiche. Difficile districarsi nelle opinioni di De Gubernatis in fatto di politica estera: esse oscillano a seconda del momento e delle circostanze. Mutano i suoi giudizi sugli slavofili, mutano quelli sulla guerra russo-turca e in qualche misura mutano persino quelli sul nichilismo. Senza dubbio, queste oscillazioni a volte sono dovute a fatti puramente contingenti e anche alla volontà di schierarsi dalla parte di chi "sappia apprezzare" il suo intervento. In questo modo, per esempio, negli anni '80 e '90 De Gubernatis riuscirà ad entrare nelle grazie di vari governanti balcanici, dal re di Serbia a quelli di Romania e di Bulgaria, e intraprenderà diversi viaggi alla volta di questi paesi, dove sarà accolto con tutti gli onori.

Il punto su cui De Gubernatis è più costante è l'avversione per il nichilismo, parallela a quella per l'ultranazionalismo di Katkov (che, come si è visto, era da lui ritenuto il principale responsabile delle repressioni poliziesche che generavano lo spirito di rivolta della gioventù russa). Sin dalla fine degli anni '60, De Gubernatis aveva abbracciato le tesi del liberalismo progressista e, ancor da prima, aveva preso in odio la situazione politica della Russia. Osserva la Potapova che durante la sua collaborazione al «Vestnik Evropy» egli aveva evitato attacchi diretti al regime zarista anche sulla propria rivista (e a moderarlo era intervenuta in alcune occasioni anche Elizaveta Bezobrazova, cfr. cap.II,1); ma una volta liberatosi dalla responsabilità verso il «Vestnik», De Gubernatis ricominciò invece a criticare disinvoltamente la polizia russa e gli orientamenti nazionalisti ed espansionistici del governo zarista.[21] La prima occasione pubblica fu, forse, la conferenza tenuta nel 1875 su Žemčužnikov: alla presenza del poeta stesso, autoesiliato, e del fiero militante antizarista Lenartowicz, De Gubernatis denunciò la "forza tirannica" che governava la società russa.[22] Della situazione interna russa, De Gubernatis criticava soprattutto la mancanza di libertà, che impediva un vero sviluppo civile ad un paese dalle enormi potenzialità. In una sua lettera a Žemčužnikov si legge:

    Quel dommage, cher Monsieur, que vos articles ne puissent être insérés en Russie; ce serait cependant le moment utile de parler et de travailler pour mettre un peu d'énergie morale dans cette immense force inerte qui s'appelle la Russie.[23]

Dello stesso tono la difesa di Drahomanov sulla «Nuova Antologia»: lo stato russo farebbe bene ad accogliere le esigenze di autonomia degli ucraini e a creare istituzioni liberali come ricette contro l'estremismo rivoluzionario.[24] Il fine, in un certo senso, rimane sempre quello di sconfiggere il nichilismo. Ma lo stesso nichilismo è in parte rivalutato da De Gubernatis in un articolo del 1878 ad esso dedicato:[25] vi si distingue un nichilismo genericamente positivo, condiviso dalla parte migliore della società russa, e che consiste nell'aspirazione a riforme progressiste, sfociata in pessimismo per la sordità del governo; e un nichilismo d'importazione europea che, colorando di materialismo e comunismo il misticismo connaturato ai russi, ha trasformato il pessimismo di tanti giovani in negazione assoluta di quanto di più sacro vi sia per il popolo russo. In questo modo, De Gubernatis può affermare che nel primo significato della parola, è nichilista la maggioranza dei russi di ogni classe sociale, e a questo nichilismo "illuminato" si sente affine egli stesso; invece, il nichilismo negativo ne è una degenerazione imputabile in buona parte al cattivo influsso dell'Europa, dove, per esempio, fece i suoi studi filosofici Bakunin. Il discorso è interessante, perché ancora una volta De Gubernatis rimarca uno iato profondo fra l'Europa e la Russia, avvicinandosi così alle tesi degli slavofili; gli elementi europei rappresentano una corruzione dello spirito russo e la causa principale dei malesseri del paese. Per quanto riguarda la concessione al nichilismo "buono", essa verrà in parte ritrattata dopo l'attentato mortale ad Alessandro II, nel 1881: nell'articolo commemorativo su Dostoevskij, De Gubernatis ripunterà il dito sulla pericolosità del nichilismo, pur ricordando le aspirazioni riformistiche della società civile e lodando lo stesso Dostoevskij per aver ridato ai giovani entusiasmo per lo spirito nazionale russo. De Gubernatis, estraneo all'opera letteraria dello scrittore, simpatizza per il suo atteggiamento antieuropeista e per la sua denuncia del nichilismo d'importazione; del resto, rimane assai confusa la sua conoscenza e comprensione delle posizioni ideologiche di Dostoevskij, che definisce "nichilista liberale"![26]

Per quanto riguarda la politica estera della Russia, l'atteggiamento di De Gubernatis è, come detto, oscillante. Ora la condanna, ora la giudica con indulgenza, ora la difende e la giustifica. Vediamo in concreto.

Nella "Rassegna" del maggio 1877, De Gubernatis ritiene che la Russia abbia intrapresa la guerra contro la Turchia "con ogni suo pericolo e contro ogni suo vitale interesse".[27] Sulla possibilità di successo dei russi è molto scettico:

    L'illusione panslavistica ha sedotto gli spiriti russi facilmente eccitabili, e trascina ora tutto un popolo di pacifici ed ingenui agricoltori a combattere per una causa che nessuno può credere solamente religiosa ed umanitaria, ma che non è neppure per i Russi egoistica, come la Diplomazia inglese vorrebbe che si credesse. Certo vi è pure in Russia chi raggira e cospira per idee utilitarie, ma la maggioranza del popolo russo si compone di generosi illusi, pronti a ricevere una buona impressione, e, per ora, gettati da un falso patriottismo e da un sempre simpatico donchisciottismo in una immensa fiumana, che forse li farà naufragare.[28]

Anche ammesso che quella dei russi sia una crociata per liberare dei popoli cristiani dal giogo mussulmano, De Gubernatis chiede alla Russia coerenza:

    Liberare i Bulgari sarà un'opera santa, se il Governo russo terrà, come si spera, fede alle sue promesse e non si annetterà alcuna provincia; ma l'Italia non può dimenticare la Polonia e deve rivendicarne con calore la libertà.[29]

Un breve intervento sullo stesso tema trova spazio nella "Rassegna" di luglio: è apparso a Parigi un pamphlet propagandistico in cui si giustificano le mire espansionistiche della Russia. Per De Gubernatis questa è la dimostrazione del carattere imperialista dell'intervento russo. Ma a settembre dello stesso anno il tono si fa più conciliante:

    accade che dall'estremo Oriente fino ai porti del nostro Adriatico il nome russo desti terrore. E pure, se andate in Russia, se visitate una casa russa, se entrate in una famiglia russa, italiano, o francese, o tedesco che siate, vi entrate come in casa vostra; il Russo invasore si lascia invadere, e si lascerebbe anche spogliare, per far gli onori dell'ospitalità.[30]

Questo per quanto riguarda i russi; ma la novità sta nella denuncia vibrante degli orrori dell'esercito turco in Bulgaria, che echeggia le famose Bulgarian atrocities di William Gladstone, e nella critica all'indifferenza degli stati europei per quella che adesso egli definisce senza esitazioni "Crociata russa".[31]

Nella "Rassegna" del febbraio 1878 non manca un ampio riferimento alla conclusione della guerra, vittoriosa ormai per la Russia, alla quale De Gubernatis invoca moderazione. A questo proposito, recensisce un libro di Ol'ga Kireeva-Novikova, Is Russia wrong?, in cui l'autrice si propone di controbattere le accuse degli inglesi, principali avversari diplomatici della Russia. La Kireeva spiega come gli slavofili non formino società segrete ma lavorino apertamente per l'emancipazione di tutti i popoli slavi.; "la guerra poi dimostrò, per l'entusiasmo che suscitò in tutto il popolo russo, che la causa degli Slavofili era una causa nazionale".[32] Bisogna distinguere, avverte De Gubernatis, Mosca, città genuinamente russa e patriota, da Pietroburgo, "città semi-europea, cosmopolitica, ufficiale, burocratica, che non rappresenta in alcun modo la Russia, anzi molte volte la si può dire straniera. Così, nel principio della guerra, questa, così popolare a Mosca, era impopolare ed avversata a Pietroburgo".[33] L'unica critica che De Gubernatis muove alle argomentazioni della Kireeva va all'elogio che questa fa di Katkov, colpevole secondo lui di avere aizzato i russi contro i polacchi nel 1863, col risultato di dividerli ancor di più; infine, De Gubernatis fa una distinzione fra la "slavofilia" (capeggiata da Ivan Aksakov), e la "eccessiva e quasi brutale russofilia del Direttore della Gazzetta di Mosca".[34] Le sue simpatie vanno qui apertamente al movimento slavofilo:

    Ci rallegriamo finalmente che il signor Katkoff abbia compreso che, nella guerra presente, stando a Mosca, se volea conservarsi popolare, dovea secondare il moto de' Slavofili; ma guai se ne' trattati di pace dovessero prevaler le idee russe del signor Katkoff; pochi uomini, per quanto ci pare, hanno fatto maggior male alla Russia del Katkoff, poiché alienando maggiormente da essa la Polonia, spingendo il Governo russo ad opprimere una nobile Nazione slava, gli tolse gran parte del suo prestigio pel giorno, in cui lo stesso Governo avrebbe mosso i suoi eserciti alla liberazione di altre popolazioni slave.[35]

L'evoluzione del giudizio di De Gubernatis sulla guerra russo-turca sta dunque soprattutto nella distinzione fra nazionalismo panrusso e slavofilia; se inizialmente egli identificava entrambi i concetti nella figura di Katkov, e quindi rifiutava l'intervento russo in quanto imperialista, ora poteva accettare tale intervento a condizione che esso non si mostrasse puro imperialismo, ma atto di liberazione dei popoli slavi soggiogati, con la prospettiva di una loro libera federazione. Altri motivi di questo mutamento di prospettiva vanno ricercati anche nell'esito positivo dell'intervento russo: l'insuccesso paventato dai circoli liberali pietroburghesi, cui De Gubernatis era legato, non si verificò (sebbene i timori fossero fondati) e l'entusiasmo per la vittoria contagiò evidentemente anche De Gubernatis, che a partire da questi avvenimenti cominciò a prendere in grandissima simpatia i popoli balcanici. Infine, un altro motivo di "ravvedimento" era dovuto ai suoi rapporti personali con i russi:[36] una volta che la guerra assunse per essi connotati patriottici, le simpatie di De Gubernatis s'inclinarono verso l'esercito russo, anche in conseguenza dell'orrore generale che destarono nell'opinione pubblica europea le efferatezze dei turchi in Bulgaria ed il cinismo delle diplomazie europee, che appoggiavano più o meno apertamente l'impero ottomano.

Di grande interesse l'avvicinamento di De Gubernatis alle idee panslavistiche, che normalmente egli non distingue da quelle slavofile. In più occasioni egli parla di Ivan Aksakov in termini di grande rispetto, anche se lo definisce "eccessivo". Questo il profilo di Aksakov tracciato sul Dizionario:

    Capo della scuola slavofila, l'Aksakoff, in questi ultimi tempi, cioè dal 1876, sostenne con molto zelo la causa degli Slavi [...]. Dopo il congresso di Berlino [...], sfogò il suo nobile sdegno contro l'Europa ed il Governo russo [...]. Come tutti i seguaci della scuola slavofila, l'Aksakoff si distingue per la sincerità e per la costanza delle sue opinioni politiche. Caldo patriotta, uomo onesto e colto ingegno, per tante nobili qualità si fa volentieri perdonare l'intemperanza della parola e l'intolleranza per le opinioni altrui che dànno talvolta un carattere alquanto violento alla sua eloquenza.[37]

Nella conferenza sulla donna russa, De Gubernatis riprende a sorpresa un'idea che aveva espresso nel 1866 nell'articolo su Turgenev:

    Da Pietro il Grande in qua i Russi hanno presa una vernice europea; lavate via questa vernice, e voi troverete il Russo, ossia troverete il popolo che ha più cuore d'ogni altro, il più ospitale, il più semplice, il più paziente; voi troverete la donna russa ch'è un tipo a sé nella famiglia umana.[38]

Il tono è qui molto più equilibrato di quello astioso del '66, quando Pietro il Grande era accusato di aver "imbastardito" la Russia,[39] però ritorna l'idea di una Russia genuina contrapposta all'Europa, un ideale, in fin dei conti, slavofilo. La circospezione e la vaghezza con cui egli esprime queste idee forse si spiega col fatto che gli amici russi di De Gubernatis erano tutti della fazione occidentalista. Comunque sia, probabilmente non ci fu mai nulla di più di qualche assonanza con singole idee dello slavofilismo, mentre le simpatie di De Gubernatis non si rivolsero mai verso lo slavofilismo politico, da lui associato troppo strettamente alle posizioni sciovinistiche di Katkov e della sua fazione. Per fare un esempio, la cattiva impressione fattagli dall'organizzatore del congresso pietroburghese degli orientalisti, Vasilij Grigor'ev, indicato come censore della stampa e militante slavofilo, induceva De Gubernatis, di ritorno dal congresso, a spiegare in questi termini ai lettori della «Nuova Antologia» l'essenza del pensiero slavofilo:

    nella mente degli slavofili, l'Europa è al di fuori della Russia, o per dir meglio, la Russia non fa parte dell'Europa, ma è quasi un mondo a sé, come chi dicesse una sesta parte del mondo, posta fra l'Asia e l'Europa, e destinata, per un appetito degno di Gargantua, ad ingoiarle un giorno entrambe.[40]

Di sfuggita, voglio sottolineare una volta ancora un tema ricorrente strettamente connesso a quello della natura dei russi, il tema della donna russa, che nel passo citato sopra veniva definita senza mezzi termini "un tipo a sé nella famiglia umana". Si direbbe che, per intuizione, grazie alle sue conoscenze femminili, ma forse anche in virtù dei suoi studi comparati sui riti e costumi dei popoli, De Gubernatis abbia in qualche misura anticipato certe osservazioni di Evel Gasparini sulla donna slava.[41]

Sempre per intuizione, De Gubernatis avvertiva la gravità del rischio che la Russia correva servendosi di metodi repressivi nella lotta contro il nichilismo, che può "preparare nell'avvenire qualche sanguinosa rivoluzione".[42]

Ritornando al tema slavofilo, nelle "Rassegne" del 1879 De Gubernatis viene ancor più allo scoperto. L'occasione è data dalle tesi dei nazionalisti polacchi, secondo i quali i russi non sarebbero slavi. De Gubernatis rifiuta categoricamente tale asserzione e ne spiega il perché. Nella "Rassegna" del settembre 1879 egli commenta uno scritto del conte Branicki, il quale accetta l'idea di Hegel che gli slavi siano un popolo inferiore, facendo però eccezione per polacchi e boemi.[43] De Gubernatis lo considera, giustamente, un pregiudizio servile verso la cultura tedesca; ne approfitta, anzi, per criticare gli stati germanici che schiacciano le ragioni di tanti popoli slavi, governando dispoticamente "boemi, slovacchi, ruteni, erzegovini, dalmati e polacchi": De Gubernatis ha sempre a cuore l'indipendenza delle nazioni e ricorda come l'Italia abbia faticato per raggiungere la propria. Egli critica così il razzismo dei nazionalisti polacchi verso gli altri slavi:

    ispirati dal Mickiewicz e dall'etnografo Ducinski,[44] sono più o meno tutti assediati da una specie di idea fissa, quanto ai Russi. I Russi, secondo essi, non sono Russi [...]. Non importa che la lingua russa, la più pura, la più completa, la più ricca, la più musicale delle lingue slave, perché la più vocalica, sia compresa da oltre sessanta milioni d'Europei [...]; il fondo del così detto popolo russo sarebbe normanno, finno o tartaro; i soli veri slavi sarebbero i Ruteni, i Serbi, i Polacchi, i Boemi; e ripetono a sazietà che Mosca è una città asiatica.[45]

De Gubernatis ritiene che il contadino della Galizia sia ancora più servile di quello russo; mentre i nobili russi hanno più volte fatto le spese della propria indipendenza dallo zar,[46] la nobiltà polacca si è invece mostrata più mansueta e servile. In quanto al dispotismo, quale paese, domanda, ne è stato privo? Un altro pregiudizio che De Gubernatis respinge è quello per cui la letteratura russa non sia altro che imitazione. In realtà

    i Russi hanno una mirabile potenza assimilatrice e pure assimilandosi elementi stranieri sanno dar loro una impronta viva nazionale efficace ed inimitabile. Che cosa di più russo che la commedia del Griboiedoff, dell'Onieghin del Puschkin, delle liriche del Lermontoff? [...] Lo spirito lento dei Russi, al contatto di altri elementi, si muove e si alza, e come la civiltà russa si vantaggiò dalle riforme europee di Pietro il Grande, così la letteratura russa impadronendosi di alcune idee occidentali ha progredito. Il Russo non copia; ma quando gli si dà una spinta, dà una nuova impronta vigorosa ed originale a ciò che riceve, così che si restituiscano da esso le nostre idee modificate sotto un aspetto così nuovo, che può servire di punto di partenza a nuove evoluzioni del pensiero.[47]

Come al solito, De Gubernatis va a parare sul nichilismo, che non è, secondo lui, soltanto il prodotto del "funesto asiatico-bisantino impero dello tsar Niccolò", come pretenderebbe Branicki, ma "la rivolta dei malcontenti", e come tale si presenta ovunque.[48] La differenza con l'Europa sta nel fatto che il nichilista russo è il "malcontento universale", mentre gli altri sono solo "malcontenti parziali": "Bisognerebbe cambiare in Russia niente meno che l'aria stessa divenuta opprimente; ma non si cambia comprimendo, bensì liberando".[49] Nella "Rassegna" di ottobre De Gubernatis torna sul tema, citando a sostegno dei propri argomenti uno slavista francese, il Courrière, autore di una storia delle letterature slave in due volumi. L'unità di tutti gli slavi, compresi i russi, è dimostrata dall'etnologia e dalla mitologia:

    Non vi è popolo slavo che sia scevro da qualsiasi mescolanza e contatto con altri popoli; il che non impedisce che l'unità della razza si manifesti anche oggi con indizi che la serie de' secoli non riuscì ad alterare. I progressi fatti dallo studio della filologia comparata permisero di stabilire l'unità della lingua. Così le relazioni di famiglia, [...], gl'instrumenti agricoli, le varie parti della casa si rappresentano allo stesso modo presso tutti gli Slavi, il che permette di affermare che l'unità della stirpe slava preesisteva alla sua dispersione in Europa. Lo spoglio fatto dei manoscritti paleologici, lo studio della poesia popolare e dei cronisti bisantini e tedeschi permisero poi di trovare indizi sicuri di questa unità anche nelle credenze mitologiche, negli usi, nell'ordinamento della vita interna degli Slavi. La parola Boh o Bog (Dio) è comune a tutti gli Slavi [...]. Tutte le tribù slave avevano poi in origine un ordinamento sociale distribuito in tre ordini. Il primo era la famiglia, ove tutti i membri vivevano in comune, sotto l'autorità del padre [...]. La comune allargava la vita di famiglia; poi veniva la tribù. In ognuno di questi tre ordini, tutti i membri erano considerati come perfettamente uguali.[50]

Le vicende storiche, differenti per ciascun popolo slavo, fecero sì che si formassero stati diversi per concezione politica e per influenze culturali. Ma queste evoluzioni investirono soltanto la classe dominante, mentre il contadino, "l'elemento fondamentale della razza slava", è rimasto ovunque lo stesso, qualunque tipo di stato si sia formato nei vari territori slavi: "L'idea panslavistica si fonda, senza dubbio, sopra la nozione di questa forte unità che la diversità de' luoghi e de' tempi non ha ancora alterata".[51] De Gubernatis riporta un episodio personale: nel 1876, di ritorno da Pietroburgo, andò in Galizia a visitare l'amico Władysław Tarnowski, un nobile polacco di cui si è già riportata una lettera polemica nei confronti del saggio di "Ukraino-Drahomanov sul Movimento ruteno: trovandosi nelle terre di Tarnowski, De Gubernatis riuscì a comunicare senza difficoltà con un contadino del luogo, parlandogli in russo,

    non essendo tra le due parlate una differenza molto più grande di quella che corre, per esempio, tra l'italiano ed il siciliano, e assai minore di quella che corre, per esempio, fra l'italiano ed il piemontese o il genovese. Onde, se per noi è possibile il costituire l'unità della nostra lingua e su essa, malgrado la varietà dei dialetti, costituire la nostra nazionalità, non è punto un sogno vano quello de' Panslavisti di poter un giorno costituire l'unità nazionale slava. Ma perché il sogno s'adempia, è necessario agli Slavi trovare il loro Cavour o il loro Bismarck.[52]

De Gubernatis sembra ora pieno di entusiasmo per il panslavismo! E termina con l'osservazione del Courrière, per il quale la meno slava di queste nazioni è la Polonia, "perché rimasta più lungamente in contatto con l'Occidente e per la parte che vi ebbe l'educazione gesuitica e l'educazione classica".[53] La splendida letteratura classica e romantica polacca è europea e lontana dal popolo polacco. Inoltre, i polacchi stessi si isolano dagli altri slavi:

    Questo disprezzo de' Polacchi per gli altri slavi è forse una delle molte cagioni della loro presente debolezza, e non l'ultima [...], manca loro quella espansione che è una delle qualità più simpatiche del popolo russo; se la burocrazia russa non esistesse, a quest'ora slavi e latini sarebbero già, per la forma espansiva de' russi, affratellati [...]. Finché lo tsarismo si manterrà, anche il fungo burocratico ch'esso alimenta continuerà pur troppo a pullulare sul suolo della Russia.[54]

Queste sorprendenti dichiarazioni, a dire il vero un po' troppo idealiste e vaghe per poter essere prese sul serio, rimasero poi, in effetti, fini a se stesse, poiché De Gubernatis non aderì mai ad alcun programma panslavistico; però l'ideale aleggia ancora sulle sue "missioni" balcaniche (in cui comunque si mescola con quello di una confederazione balcanica comprendente, oltre alle nazioni slave meridionali, la Grecia, la Romania ed eventualmente l'Ungheria sotto l'egida "umanistica" dell'Italia). Non ci si può attendere troppa coerenza da quest'uomo focoso e dai facili entusiasmi, che per essere così facili, si rivelano in ultima analisi effimeri. Tuttavia, la sua ultima parola sul panslavismo dimostra una conoscenza ormai approfondita dei popoli slavi e delle loro relazioni interne. Argomento di una delle tre conferenze che De Gubernatis tenne a Belgrado nel 1897 fu "l'avvenire dei popoli slavi". Lo studioso vi mescolava un'analisi fondamentalmente lucida delle dinamiche storiche che guidavano i popoli slavi con affermazioni disinvolte sulle loro prospettive di coalizione con altri popoli[55] e sulla loro etnogenesi, affermando, fra le altre cose, che i serbi sarebbero dei daci slavizzati, e quindi parenti dei romeni,[56] e che "la race noble de la Pologne, par l'esprit et par le caractère, est plutôt celtique que slave" (!).[57] Il succo del discorso è però abbastanza condivisibile: nonostante la comunanza della lingua, i popoli slavi sono tra loro diversissimi per cultura, storia, religione e, secondo De Gubernatis, anche per razza. Per questo motivo, "le panslavisme est donc, au fond, une très grande illusion",[58] e ogni "home" nazionale slava cercherà il proprio centro di gravità: Mosca per la Russia, Kiev per la "Petite Russie", Belgrado per i serbi, Zagabria per i croati, ecc.[59]

Così come le sue opinioni politiche, anche i progetti letterari di De Gubernatis si inseguono l'un l'altro, assorbendolo ogni volta in vere e proprie imprese poligrafiche; la rapidità con cui scrive e organizza iniziative culturali non gli permette di andare in profondità alle cose, ma solo di abbozzarle. In questo modo nasce il suo Dizionario biografico degli scrittori contemporanei (1879-80), una fatica gigantesca che, nonostante lacune e superficialità, si rivela tutto sommato un'opera ben riuscita. I nomi slavi nel Dizionario sono molto numerosi, in particolare quelli russi, seguiti rispettamente da quelli polacchi e boemi: per la precisione, licenziando l'ultimo fascicolo dell'opera De Gubernatis contava 243 biografie di russi, 221 di polacchi, 91 di boemi, 19 di slavi meridionali (intendendo con ciò croati, dalmati e sloveni), 9 di serbi e 3 di bulgari. Mentre per i paesi dell'Europa occidentale De Gubernatis poteva già disporre di opere biografiche analoghe alla sua, seppure limitate a singole nazioni, per i paesi slavi dovette ricorrere all'aiuto attivo di amici e conoscenti: si trattava di stilare elenchi di scrittori degni di menzione e poi di contattarli per ricevere da loro stessi delle sintetiche notizie bio-bibliografiche. Tra i collaboratori, De Gubernatis trovò Ladislao (Władysław) Mickiewicz,[60] Wacław Szymanowski e Artur Wołyński per i polacchi, Václav Vlček per i boemi, Franjo Rački per i croati, Stojan Novaković per i serbi, Sof'ja Nikitenko per i russi;[61] inoltre, come si è visto, un contributo determinante fu quello di Louis Leger, che fornì a De Gubernatis indirizzi e bibliografia slava per realizzare l'impresa.

Non mi soffermo sul Dizionario, i cui pregi e limiti sono stati già descritti esaurientemente da Marzaduri.[62] Il libro ottenne successo e risonanza europea ed è forse l'opera più fortunata di De Gubernatis, che negli stessi anni vediamo impegnato ad organizzare a Firenze il IV congresso degli orientalisti (1878), al quale parteciparono diversi delegati provenienti dall'impero russo, fra cui il polacco Jan Baudouin de Courtenay[63] e i russi Il'ja Berezin e Vladimir Vel'jaminov-Zernov.

Sono sfortunati i tentativi di De Gubernatis di riprendere l'attività di corrispondente per giornali russi. Fra la fine del 1874 e l'inizio del 1875 falliscono le ultime trattative per rinnovare la collaborazione al «Vestnik Evropy»: Stasjulevič comunica inizialmente a Vladimir Bezobrazov che d'ora in poi De Gubernatis potrà mandargli articoli, ma senza la certezza che vengano pubblicati.[64] Ma le proposte fatte da De Gubernatis, compreso un articolo già scritto sul "Futuro del papato", vengono rifiutate, cosicché al principio di maggio del 1875 De Gubernatis si congeda amaramente dal giornale di Stasjulevič.[65] Fu ancora una volta il cognato Bezobrazov a cercargli una nuova "collocazione". Già nella lettera del 29 dicembre 1874/10 gennaio 1875 Bezobrazov gli proponeva di collaborare a un quotidiano appena fondato, «Novoe vremja», di cui, diceva, egli era "presque directeur".[66] Nelle lettere successive, Bezobrazov precisa la linea politica del giornale, che è liberale moderata e anticlericale; Bezobrazov vi scrive due lettere alla settimana e sceglie gli articoli di politica da pubblicare, dando così la linea al giornale ("Je suis une presence occulte"), ma ha il vantaggio di essere indipendente; confessa inoltre di detestare questo tipo di lavoro e di farlo solo per denaro.[67] De Gubernatis entrò dunque in collaborazione con il «Novoe vremja», ma l'esperienza si rivelò assai infelice. Il giornale non decollava, mentre il direttore, un certo Trubnikov, personaggio alquanto dubbio, non pagava gli onorari. Bezobrazov scriveva al cognato il 21 settembre/3 ottobre 1875 che "Le Новое Время peut faire fiasco [...]. J'ai tout à fait rompu avec M. T-of [...]. La sort du Journal dépend complétement de moi".[68] Trubnikov doveva a Bezobrazov 800 franchi ed era in debito anche con De Gubernatis, a cui il cognato consigliò di scrivere "rudemente" e più volte a costui perché onorasse l'impegno: "Tu vois bien comment sont les affaires en Russie. Je tâcherai de te procurer aucune correspondance, mais c'est très difficile car Florence n'a pas poids politique".[69] Nella lettera successiva, Bezobrazov appare molto meno deciso, per chiudere il caso ha intenzione di risarcire personalmente De Gubernatis, in quanto "c'est moi qui t'ai engagé à travailler dans son journal et c'est à cause de la rupture avec moi que M. Troubnikof se conduit d'une manière si extraordinaire envers toi".[70] Intanto, ha cominciato a scrivere per il «Golos». Evidentemente, Bezobrazov temeva uno scandalo e cercava così di soffocare sul nascere, a proprie spese, la questione. Ma l'orgoglioso De Gubernatis non si tirò indietro e si rivolse a Michelangelo Pinto, console d'Italia nonché professore di letteratura italiana all'università di Pietroburgo.[71] Dalla lettera di Pinto a De Gubernatis del 30 ottobre/11 novembre 1875 risulta che De Gubernatis aveva pubblicato sul «Novoe vremja» 12 corrispondenze, ma Trubnikov ne aveva contate di meno e, per giunta, le aveva pagate a un prezzo inferiore a quello pattuito. Pinto si era incontrato con Trubnikov per risolvere la questione, ma questi si era mostrato mal disposto e sordo alle lamentele di De Gubernatis. Pinto sconsigliava però De Gubernatis dal ricorrere ai tribunali russi.[72] Anche Bezobrazov, in una lettera del 30 novembre/12 dicembre, scongiurava il cognato di desistere: "Tu savais bien que l'affaire avec M. Tr. ne peut pas finir autrement que par un scandale".[73] A partire da questo momento, l'affaire Troubnikof sembra effettivamente spegnersi; mancano per lo meno notizie di ulteriori sviluppi.

Nonostante le delusioni, De Gubernatis non abbandonò del tutto la speranza di scrivere per un giornale russo. Alla fine del 1879 sembra presentarsi la possibilità di farlo per il prestigioso «Golos». Alla BNF si conserva una lettera del redattore del giornale, Andrej Kraevskij, che ringrazia per la letttera del 29 dicembre in cui De Gubernatis ha proposto delle corrispondenze dall'Italia. Kraevskij sembra accogliere positivamente l'idea:

    Deux ou trois causeries par mois, politiques et littéraires, seraient toujours les bienvenues dans le "Golos". En cas d'événements graves Vos correspondances pourraient venir à tout temps. Je n'ai pas besoin d'indiquer quelles questions.[74]

Anche da una lettera di Elizaveta Bezobrazova del gennaio-febbraio [1880] l'accordo è dato per raggiunto e sembra che la Nikitenko si sia proposta come traduttrice delle corrispondenze.[75] Eppure, a quanto pare questa collaborazione non ci fu: non ci sono altre lettere di Kraevskij, né De Gubernatis, la Bezobrazova o altri accennano mai all'esistenza di corrispondenze per «Golos». Naturalmente, il fatto andrebbe verificato sfogliando le pagine del periodico, cosa che non ho avuto occasione di fare, ma l'assoluta mancanza di notizie in proposito rende improbabile l'esistenza di articoli di De Gubernatis per questo giornale se non, forse, degli scritti episodici, come nel caso di altri giornali russi: De Gubernatis pubblicò un articolo su Dall'Ongaro sulla «Illjustrirovannaja nedelja» del 1875 ed uno su De Amicis sul «Russkoe obozrenie» del 1892.[76]

Occasionalmente ci furono rapporti con altri giornali e riviste russe, ma solamente al livello di scambi d'informazioni. Come redattore di «Sever» nel 1887 si mise a disposizione per le voci attinenti la letteratura russa del Dictionnaire des écrivains du jour lo scrittore Vsevolod Solov'ev.[77] Ancora ai tempi della «Rivista europea» si rivolse a De Gubernatis il pubblicista emigrato Petr Lavrov, coredattore di «Vpered», proponendo uno scambio di riviste che, a giudicare dall'assenza di ulteriori sue lettere e di riferimenti a «Vpered!» sulle pagine della «Rivista europea», non avvenne mai. Scriveva Lavrov:

    16 Avril, 1875 London

    Monsieur,

    Vous dirigez une publication (Rivista Europea) qui donne beaucoup d’espace aux affaires de la Russie. Je ne sais si Vous avez connaissance d’une publication russe, qui parait en Europe depuis deux ans (d’abord à Zürich, maintenant à Londres), qui est sevèrement poursuivie en Russie et qui pourrait Vous fournir certains renseignements sur les affaires russes, que Vous pourriez difficilement avoir autre part. C’est le journal “En avant” (Впередъ!), qui a paru jusqu’à ce moment en forme de revue en trois gros volumes (depuis 1873) et en forme de gazette hebdomedaire (depuis 1875) […]. Ne Vous conviendrait-il pas, Monsieur, de faire l’echange de la “Rivista Europea” avec les publications du journal “En avant”?[78]

L'interesse di Lavrov era giustificato dall'attività della «Rivista europea», in particolare dai frequenti accenni che vi si facevano sul pensiero e l'attività politica di Aleksander Herzen. Tuttavia, De Gubernatis tendeva sempre ad evitare un diretto coinvolgimento politico nelle questioni russe, e «Vpered» da questo punto di vista sarebbe stata una partner compromettente.


  1. Fibra , p.404.
  2. Vedi Потапова, Неизвестные..., cit .; cfr. anche Marzaduri, A.DG, cit ., pp.512-513.
  3. Fibra , p.387.
  4. Tra il 1877 e il 1878, E.Z., personaggio non ancora identificato, traduce Zapiski sumasšedšego di Gogol' e Pikovaja dama, Roslavleva e Baryšnja-krest'janka di Puškin.
  5. F.R., Il teatro russo: Alessandro Ostrovski , in «Riv.eu.», 1879, XII,1; vedi Потапова, Островский в Италии , in «Литературное наследие», t.88: A.Н.Островский; новые материалы и исследования , кн.2, Mосква, 1974.
  6. F.R., Il nuovo romanzo di Giovanni Turghenieff , 1877, I,1-2 e I,3-4; R., La stampa russa e la questione slava , 1877, I,3-4; E.Z., Brevi cenni sulla letteratura russa , 1877, III,3.
  7. Vedi in bibliografia.
  8. DG contribuisce in un'occasione anche dalle pagine della «Gazzetta letteraria», con un art. intitolato Schizzi di letteratura russa («Gazzetta letteraria», 1879, N.8).
  9. Vedi Savini, La letteratura russa , in «Corriere italiano», 1875, N.215, 216; B.Pavlovich, "Notizie letterarie slave", [Lettera sull'articolo del «Corriere italiano» sulla letteratura russa] , in «Riv.eu.», set.1875, pp.180-182.
  10. ibid. , p.180.
  11. Vedi cap.II,2.
  12. Cfr. Labriolle, op.cit .
  13. «N.A.», "Rass.lett.stran.", mag.1878, p.360. «La Russia è di moda. Ma se ne parla spesso a caso, per via di iperboli. E non è tutta colpa nostra se non si conosce meglio. La Russia riceve molto dall'Europa, ma le si comunica poco. Sia indifferenza, sia fierezza, si cura poco dell'opinione dell'Europa, e quindi le importa poco che l'Europa sappia o dica il giusto delle cose sue. Di questa politica d'isolamento la Russia risente ora i tristi effetti». Naturalmente, i "tristi effetti" dell'isolamento della Russia consistettero nel riassetto territoriale dei Balcani imposto ai russi, pur vittoriosi contro i turchi, al congresso di Berlino.
  14. «N.A.», "Rass.lett.stran.", nov.1877, p.735.
  15. ibid.
  16. ibid. , p.736.
  17. ibid. , p.737.
  18. Cfr. Renton, op.cit., V, p.68.
  19. «N.A.», "Rass.lett.stran.", mag.1879, p.340.
  20. Cfr. E.De Michelis, op.cit. , p.164.
  21. Come aveva fatto nel 1869 sulla «Rivista contemporanea» (Vedi DG, Italia e Russia, cit. ).
  22. Cfr. Потапова, Русско-итальянские., cit ., p.124; vedi DG, Alessio Gemciùsnikoff , cit. ; vedi anche DG, La donna russa , cit.
  23. Lett. di DG a Žemčužnikov, Florence, 14 Janvier 1877, RGALI, f.639, op.2, 51.
  24. Vedi «N.A.», "Rass.lett.stran.", mag.1881, pp.170-178.
  25. DG, Il nichilismo, cit . Vedi anche DG, Romanzieri contemporanei: Teodoro Dastaievski, cit.
  26. Cfr.DG, Teodoro Dastaievski, cit . p.434.
  27. «N.A.», "Rass.lett.stran.", mag.1877, p.232.
  28. ibid.
  29. ibid. , p.233.
  30. «N.A.», "Rass.lett.stran.", sett.1877, p.217.
  31. ibid.
  32. «N.A.», "Rass.lett.stran.", feb.1878, p.775.
  33. ibid. , pp.775-776.
  34. ibid.
  35. ibid. , p.777.
  36. Vedi p.es. le lettere della suocera Elizaveta Pavlovna, che esprimono nitidamente la preoccupazione per gli esiti della guerra: Il figlio Vladimir, scrive, è «très agité à cause de la guerre, comme vous comprenez, c'est une guerre terrible, un carnage, nos héros se battent avec un courage surprenant, les Turcs avec acharnement souvent leur forces sont supérieures aux notres, mais nos braves officiers et soldats, ont soutenu leurs positions a Chipka , c'est surprenant». (Elizaveta Pavlovna Bezobrazova, Nascovo, 2 Août 1877, BNF, cart.DG, 12,30).
  37. Diz. , p.18.
  38. DG, La donna russa, cit., p.102. Cfr. una simile descrizione della natura dei russi in Il II congresso degli orientalisti , «N.A.», nov.1876, p.562: «Il Russo è, in sostanza, quello che i Toscani chiamano un buon figliuolo; forte, burbero, minaccioso, ma facile a commuoversi, a cedere, ad aprirvi le braccia. Esso ha cuore, e non gli riesce di rimanere lungamente in sussiego...».
  39. Cfr. DG, I padri e i figli, cit ., p.490.
  40. DG, Il II congresso degli orientalisti , op.cit., p.562.
  41. Cfr. E.Gasparini, Il peso della terra , Venezia, 1967, pp.60-71; Id., Il matriarcato slavo , Firenze, 1973.
  42. DG, Il nichilismo, cit ., p.11.
  43. X.Branicki, Les Nationalités Slaves. Lettre au Révérend P.Gagarin , Paris, 1879. Ksawer Branicki (1814-1879) era un ricco uomo politico polacco, emigrato, finanziatore delle attività indipendentiste dell'emigrazione polacca in Francia.
  44. Franciszek Henryk Duchiński, (1816-1893), etnografo polacco, emigrato in Italia; teorico dell'origine turanica dei russi: «In tutti i paesi, dic'egli, compresi sotto la denominazione della grande agglomerazione slava, esistono e si combattono a vicenda due principi e due civiltà, cioè il principio Moscovita di provenienza finnica e tartara, ed il principio Slavo per eccellenza, di cui la Polonia era da molti anni il più attivo rappresentante [...]. Il trionfo del principio Moscovita [...], condurrebbe all'assorbimento dello Slavismo nell'elemento turanico, ossia nel dispotismo asiatico; mentre il principio rappresentato dalla Polonia sarebbe fonte della civiltà e dello svolgimento nazionale». ( Diz. , p.402). Anche Leger, in una lett. a DG, si lamentava dei pregiudizi polacchi sui russi dopo aver ricevuto un numero della «Biblioteka Warszawska» in cui veniva attaccato per il suo atteggiamento filorusso (vedi lett. del 19 nov. [1875], cit .).
  45. «N.A.», "Rass.lett.stran.", set.1879, p.368.
  46. «dal tempo di Ivan il Terribile fino ai giorni nostri che videro quasi tutta la miglior parte della nobiltà russa esigliata in Siberia a motivo de'suoi spiriti indipendenti...»( ibid. ).
  47. ibid.
  48. Qui DG risente evidentemente della "lezione" di Mychajlo Drahomanov, che in una lett. citata in precedenza gli aveva spiegato che il nichilismo "это только местная форма общеевропейского движения позитивно-демократического" (M.Drahomanov, Ijulja 13, 74, BNF, cart.DG, 47, 9).
  49. ibid. , p.371.
  50. «N.A.», "Rass.lett.stran.", ott.1879, p.748.
  51. ibid. , p.749.
  52. ibid. Già sulla «Riv.eu.» DG aveva pubblicato delle osservazioni sulla sua visita alle terre di Tarnowski. Parlando con i nobili polacchi della zona, aveva constatato che il loro odio per i russi li spingeva a «desiderare che i loro fratelli slavi, i Serbi, siano battuti e che la Russia intervenga in quella gran partita a scacchi che si giuoca sulla Morava, con la speranza di poter imprendere essi stessi una campagna vittoriosa contro i Russi e contro i Serbi [...]. I signori sono polacchi e parlano polacco; il contadino è ruteno, e continua perfettamente il tipo slavo ucranico della Russia meridionale; lo continua nella lingua, nell'aspetto fisico, nel costume». La Russia non sarà vittoriosa «quando riuscirà ad unificare tutti i popoli slavi nella servitù, ma che allora soltanto vincerà veramente quando ogni popolo slavo, anche, se si vuole, sotto la sua egemonia suprema, ricupererà in una vasta confederazione slava un'autonomia completa» (DG, Lettere di viaggio , in «Riv.eu.», nov.1876, pp.425-426).
  53. "Rass.lett.stran.", ott.1879, cit. , p.749.
  54. ibid. , p.750.
  55. Sogna la creazione degli «États Unis Balcaniques, où Slaves, Roumains et Grecs, au souffle de la sympathie latine, pourront développer la plus bienfaisante activité» (DG, La Serbie et les Serbes , Florence, 1897, p.313).
  56. ibid.
  57. ibid. , p.301.
  58. ibid. , p.302.
  59. ibid. , p.308.
  60. Figlio di Adam Mickiewicz, redattore della rivista ginevrina «Espérance». DG fu in contatto con lui sin dal 1859 (cfr. Fibra , p.121).
  61. Per tutti i collaboratori slavi, vedi il cap.IV.
  62. Cfr. Marzaduri, A.DG..., cit ., pp.515-517.
  63. Le cui lettere a DG sono state recentemente pubblicate da M.Di Salvo ( Lettere di J.Baudoin de Courtenay a corrispondenti italiani , in Studi in memoria di Carlo Verdiani , Pisa, 1979, pp.91-98).
  64. Cfr. V.Bezobrazov, St.Pétersbourg, 29 Dec.74 / 10 Janv.75, BNF, cart.cit.
  65. Cfr. lett. di DG a Stasjulevič, mag.1875, in Потапова, Русско-итальянские..., cit ., p.154.
  66. V.Bezobrazov, 29 gen.74/10 gen.75, cart.cit.
  67. Cfr.V.Bezobrazov, 2 lett. s.d. [1875], ibid.
  68. V.Bezobrazov, Sankt Peterburg, 21 Sept./3 Oct. [1875], ibid.
  69. ibid.
  70. V.Bezobrazov, S.Pétersbourg, 9/29 Octobre 75, ibid.
  71. Su M.Pinto, vedi М.П.Алексеев, Микеланджело Пинто: Несколько данных к его характеристике по русским источникам , in AA.VV., Studi in onore di Ettore Lo Gatto e Giovanni Maver , Roma, 1962. pp.23-41.
  72. Cfr. M.Pinto, Sankt Peterburg, 30 Ott./11 Nov. 1875, BNF, cart.DG, 99,42.
  73. V.Bezobrazov, 30 Novembre/12 Décembre [1875], BNF, cart.cit.
  74. A.Kraevskij, Sankt Peterburg, 24 Décembre 1879 / 5 Janvier 1880, BNF, cart.DG, 71,50.
  75. Cfr. E.Bezobrazova, St.Pétersbourg, le 28 Jan/9 Fevr [1880], BNF, cart.cit.
  76. Итальянский поэт Франческо ДальОнгаро , in «Иллюстрированная неделя», 1875, N.33, pp.522-524; Е.Де Амичис и его последние произведения , in «Русское обозрение», 1892, N.8, pp.827-835, N.9, pp.448-456.
  77. V.Solov'ev, Sankt Peterburg 3/15 Octobre 1887, BNF, cart.DG, 117,27.
  78. P.Lavrov, 16 Avril, 1875 London, BNF, cart.DG, 74,32.

На Растку објављено: 2008-06-30
Датум последње измене: 2008-06-30 19:32:13
 

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