Stefano Aloe

Angelo De Gubernatis e il mondo slavo (Cap. 3.2. La «revue internationale» e il dictionnaire)

Angelo De Gubernatis e il mondo slavo . Gli esordi della slavistica italiana nei libri, nelle riviste e nell'epistolario di un pioniere (1865-1913) . Studi slavi e baltici. Dipartimento di linguistica. Università degli Studi di Pisa, N. 1 - 2000 Nuova Serie, Collana di studi e strumenti didattici diretta da Giuseppe Dell'Agata, Pietro U. Dini, Stefano Garzonio, Pisa: Tipografia Editrice Pisana, 2000.

 

III,2 la «revue internationale» e il dictionnaire

Negli anni '80 diminuisce poco a poco l'attività russistica di De Gubernatis, mentre aumenta il suo interesse, più politico che letterario, per gli slavi del sud, in particolare serbi e bulgari. Di fatto, interviene una serie di circostanze a raffreddare la sua passione per la Russia, che si trasforma in qualcosa di meno intenso, di legato ai ricordi, anche se non scompare mai del tutto. Riconosciuto in Italia un'autorità in fatto di cultura russa, De Gubernatis patrocina iniziative come le Melodie russe,[1] antologia di poesie russe tradotte da E.W.Foulques[2] e Domenico Ciampoli; quest'ultimo proprio a partire dagli anni '80 s'impone come traduttore dal russo ed è il primo russista italiano tout-court, autore, oltre che di numerosissime traduzioni, anche di saggi e di una breve Storia delle letterature slave in 2 voll.[3] Qualche anno prima, De Gubernatis aveva scritto la prefazione a un volume intitolato La Russia contemporanea descritta da Dixon, Bianciardi, Maynet, Vereschagine (Milano 1877-1880).

Nella prefazione alle Melodie russe, un volume lodevole anche per il fatto di presentare i testi originali a fronte delle traduzioni, De Gubernatis fa un po' il punto della situazione della traduzione dal russo e della conoscenza di questa letteratura in Italia. Con l'apparizione di specialisti come Ciampoli, il suo ruolo è destinato a ridimensionarsi e le Melodie russe rappresentano in qualche modo un passaggio di consegne, anche se sia lui che la moglie continueranno a tradurre saltuariamente dal russo.

La prima metà degli anni '80 vede De Gubernatis tutto sommato ancora appassionato divulgatore della cultura russa. Mentre la sua "Rassegna" sulla «Nuova Antologia» prosegue fino al 1887 con frequenti notizie russe, altre due sono le iniziative rilevanti che occuperanno il suo tempo. La prima è un'enciclopedica Storia universale della letteratura in 23 voll. (Milano, 1883-1886), così descritta da Marzaduri:

    Lo sterminato materiale era ripartito per generi letterari, di ognuno dei quali si tracciava la storia ab initio e si forniva, in distinti volumi, un florilegio. Secondo l'autore l'opera avrebbe dovuto realizzare l'ideale goethiano della Weltliteratur.[4]

Alla letteratura russa era concesso non poco spazio, sia nella trattazione storica delle varie discipline (poesia, teatro, romanzo, letteratura popolare...), sia nei "florilegi", antologie in cui comparivano, per quanto riguarda la letteratura russa, traduzioni vecchie e nuove da Gogol', Puškin, Žukovskij, Lermontov, Turgenev, A.Tolstoj, Nekrasov, dal Cantare di Igor', ecc. Ne erano esclusi invece Dostoevskij e Lev Tolstoj. L'opera ebbe un momentaneo, modesto successo, ma si mostrò troppo velleitaria e superficiale per imporsi all'attenzione. Subito invecchiata, va considerata senz'altro come la più inutile e malfatta fra le fatiche enciclopediche di De Gubernatis. A mo' d'esempio, questa è la struttura del volume di storia del romanzo: la prima sezione è dedicata al romanzo antico e alla novella; la seconda al romanzo moderno, trattato attraverso l'analisi di singole opere, che dovrebbero sintetizzarne l'evoluzione, a partire dal Don Quijote per arrivare ai romanzieri dell'800; fra questi, Gogol' e Turgenev, ai quali sono dedicate alcune decine di pagine; lo studio sul primo ricalca l'articolo apparso sul «Politecnico» nel 1866; quello sul secondo non è altro che l'articolo su Nov' (Terra vergine), pubblicato come "Rassegna" sulla «Nuova Antologia» nel 1877, occupato per tre quarti da un riassunto quanto mai prolisso di questo romanzo minore di Turgenev; con ciò, De Gubernatis dà per esaurita la storia del romanzo in Russia.

Il desiderio di collegare stabilmente l'Italia al resto dell'Europa era stato, come si è visto, alla base della «Rivista europea» e del Dizionario. La «Rivista», in particolare, era per De Gubernatis lo strumento per sprovincializzare la cultura italiana, che si cullava ancora nell'illusione della propria autosufficienza se non addirittura della superiorità sulle altre culture per pretesa eredità classica. Negli anni '80 De Gubernatis cerca una diversa maniera di portare avanti il suo proposito, tutto sommato immutato, e si convince di dover utilizzare una lingua universale come il francese, per poter raggiungere un duplice scopo: quello di "nutrire" gli italiani di cultura europea e allo stesso tempo di diffondere facilmente all'estero quanto di buono producesse la cultura italiana. Attraverso il francese, nelle sue intenzioni si vedeva realizzato un avvicinamento reciproco di Italia ed Europa (o di Russia ed Europa, come nel caso delle traduzioni francesi di Tolstoj, Turgenev e Dostoevskij, prontamente segnalate ai lettori della «Nuova Antologia» nelle "Rassegne" della metà degli anni '80). Con quest'idea nacquero la «Revue internationale» (dicembre 1883) e la versione francese del Dizionario, il Dictionnaire des écrivains du jour (Firenze, 1888). Nella presentazione della «Revue», De Gubernatis tracciava il programma della rivista, assai ambizioso e utopistico:

    Non basta aver detto che il pensiero è libero; bisogna pure che viaggi lontano. Il creare una lega doganale germanica, una lega doganale slava ed una lega doganale latina, sarebbe già un passo innanzi. Ma non basta rimuovere i confini; deve pur venire il giorno in cui li abbatteremo [...]. I singoli Stati, per mutua diffidenza, dureranno ancora, per lungo tempo, a tener ben segnati i loro confini. Al di là del confine, si vede pur sempre un nemico da cui bisogna difendersi.

    Questo fatale malinteso, creato dalla politica, si estende pure, in modo funesto, alla letteratura. Le idee d'un popolo si fermano spesso ai confini dello Stato.[5]

Secondo De Gubernatis, l'Italia e Firenze avrebbero una funzione unificatrice, in virtù delle loro tradizioni culturali e del fatto che tutti gli amanti del bello vi si radunano! Evidentemente, pensieri del genere lasciano un po' il tempo che trovano, e al di là delle buone intenzioni, mostrano soltanto mancanza di realismo e superficialità. Nonostante ciò, mi sembra troppo negativo il giudizio di Marzaduri sulla «Revue»:

    È la più ambiziosa e inutile delle riviste degubernatisiane; con un programma culturale confuso, in cui si favoleggiava di una "monarchia delle lettere", collaboratori di indirizzi disparatissimi, vivacchiò in un generico eclettismo sino al termine del 1886, quando De Gubernatis ne abbandonò la direzione.[6]

In realtà, proprio nel settore della russistica — ma non solo — l'attività della «Revue» fu molto interessante, anche se De Gubernatis ebbe grossi problemi a trovare collaboratori fissi che ripetessero quanto fatto dalla Bezobrazova e da Leger sulla «Rivista europea». Infatti, Sof'ja Nikitenko, su cui egli contava molto, dovette rinunziare con rammarico a causa delle proprie condizioni di salute.[7] Pëtr Boborykin non mantenne la promessa di una collaborazione assidua, ma scrisse solo occasionalmente per la rivista; Leger rifiutò per i troppi impegni che ormai l'occupavano. De Gubernatis trovò soltanto in Ol'ga Smirnova una nuova, fedele collaboratrice. Su di lei tornerò fra poco. Nel periodo in cui fu diretta da De Gubernatis, la «Revue» presentò comunque alcuni scritti molto interessanti: comparve, per esempio, un articolo dello slavista Vladimir Lamanskij, allievo di Sreznevskij, sul panslavismo;[8] Lamanskij si professava panslavista e fautore di una unificazione dei popoli slavi all'interno dell'impero russo. La sua posizione, marcatamente nazionalista, si contrapponeva sia all'austroslavismo che al nazionalismo polacco:

    Par rapport aux Polonais, nous sommes en général les amis sincères de la Pologne ethnographique et les ennemis décisifs de la Pologne historique, parceque celle-ci est une pure négation de notre unité nationale.[9]

Lamanskij rivendicava anche i grandi legami culturali fra i russi ed i greci, accusando la stampa internazionale di creare falsi motivi di divisione fra questi due popoli.

La «Revue» pubblicò anche alcuni lavori dell'eclettica Dora d'Istria (pseudonimo di Elena Ghika Kol'cova-Masal'skaja), una coltissima e affascinante nobildonna di origine balcanica, divorziata da un conte russo e amica di lunga data di De Gubernatis.[10] Dora d'Istria si interessava, fra le altre cose, di mitologia e di storia balcanica; sul primo fascicolo della «Revue» apparve un suo scritto sugli avvenimenti più rilevanti del medioevo russo, basato sull'edizione della Cronica Nestoris pubblicata da Fran Miklošič a Vienna nel 1860. L'articolo consiste nella narrazione della storia russa antica, da Rjurik fino alla cristianizzazione, attraverso una serie di episodi, commentati da un apparato di note abbastanza approfondito.[11]

Di un certo rilievo furono le pubblicazioni in traduzione francese di quattro racconti inediti di Lev Tolstoj nell'arco di alcune annate, alla vigilia dell'esplosione della moda che farà di Tolstoj lo scrittore più letto e discusso in Europa.[12] Nel caso delle Notes d'un marqueur il curatore della traduzione, R.C. de C., esplicitava in nota che "nous devons cette intéressante nouvelle du comte Léon Tolstoï à la gracieuse communication du vicomte Eugène-Mélchior de Vogüé, le savant critique et illustre voyager".[13]

Un collaboratore piuttosto fedele fu l'ebreo russo Michail Osipovič Aškinazi, esiliato in Svizzera a motivo delle sue idee rivoluzionarie.[14] Aškinazi scrisse quattro articoli per la «Revue», di cui ben tre dedicati a Turgenev ed uno alla condizione giuridica degli ebrei in Russia.[15] Inoltre, propose una breve traduzione da Nekrasov fatta da sua moglie, traduttrice e poetessa, come si legge in una sua lettera a De Gubernatis.[16] Il primo articolo di Aškinazi su Turgenev (Ivan Tourguéneff et les révolutionnaires russes, I,5, feb.1884) fu molto criticato dallo scrittore Boleslav Markevič, pure in contatto con De Gubernatis in quegli anni; in una lettera del 5/17 aprile 1884, Markevič, dopo aver elogiato la «Revue» che, del resto, nel giro di qualche mese avrebbe pubblicato un suo racconto,[17] paventava il fatto che Aškinazi, difendendo Turgenev dalle accuse di simpatie per i rivoluzionari, in realtà lo esponesse ancor di più a tali sospetti, poiché di fatto lo dipingeva proprio come affine ad essi.[18] La pubblicazione di una lettera di Turgenev al rivoluzionario Pëtr Lavrov aveva, infatti, suscitato il dubbio che lo scrittore simpatizzasse per il nichilismo; Aškinazi aveva respinto tale accusa, giacché "la haine de la censure était la seule chose qu'il eut de commun avec les nihilistes".[19] Da vero liberale, Turgenev era un difensore degli umiliati e degli offesi, ma a questo punto Aškinazi, secondo Markevič, aveva sbagliato tono, rendendo un po' ambigua la sua difesa del grande scrittore quando affermava che:

    Toute violence était contraire à sa nature; mais, malgré tout, c'était un grand révolutionnaire, et disons toute notre pensée, ces homme-là sont plus dangereux qu'on ne pense: s'il ne font point de mal aux tyrans, ils tuent la tyrannie.[20]

La «Revue internationale» rispecchia nella propria struttura la fortunata «Rivista europea», con una prima metà di fascicolo dedicata ad articoli e traduzioni ed una seconda occupata da rubriche e corrispondenze dall'estero. Confrontando le due riviste, così simili nella formula, si può avvertire una certa differenza di qualità a favore della prima: la «Revue internationale» appare meno compatta, la scelta degli articoli e soprattutto delle traduzioni spesso è infelice e casuale; le difficoltà economiche sin dall'inizio impedirono alla rivista, affannosamente alla ricerca di soci azionisti e di abbonati, di prendere quota; ne è un indizio chiaro la pessima qualità della carta. Lo stesso De Gubernatis sembrò meno disposto a dedicare il suo tempo alla rivista, e per lunghi periodi essa rimase interamente nelle mani del redattore in capo, Augusto Fantoni. Tuttavia, la «Revue» non è priva di scritti interessanti; nella sezione delle rubriche trovano spazio letterature in crescita, come quelle scandinave, quella spagnola e quelle slave meridionali; la stessa letteratura russa è oggetto di interesse regolare, con ben due corrispondenti, Lector e J.de Latour. Se il secondo pseudonimo è ancora indecifrato, si può dire in tutta sicurezza che a celarsi dietro a Lector era Ada (Adelaida) Bakunina, naturalmente persona "di famiglia", l'ennesima intellettuale russa ad offrire la propria cultura ed intelligenza alle riviste di De Gubernatis.[21] Le Lettres de Saint Pétersbourg di Lector informano il lettore sulle attualità culturali della capitale russa, con brevi e un po' aride notizie bibliografiche o di cronaca che generalmente rimangono senza approfondimento. Di maggiore interesse sono le Chroniques russes e le Lettres de Russie di J.de Latour, il quale non solo fornisce panoramiche dell'attualità letteraria, musicale e teatrale russa, ma dà l'avvio ad una sorta di riflessione critica sulla moda del romanzo russo in Francia, tema che echeggia con grande frequenza sulle pagine della «Revue». Nella Chronique del 10 ottobre 1885, J.de Latour commenta così le ultime pubblicazioni francesi:

    les auteurs russes sont en faveur en France à l'heure qu'il est. On a fait passer en français Tourguénief tout entier, même sa correspondance intime. Dostoïevskii est à la mode. On traduit jusqu'à des fragments de son Journal d'un écrivain, bien qu'il y ait là, aussi bien que dans les derniers romans de l'auteur, des divagations un peu fortes. On vient de publier un ouvrage sur les trois chefs de la pensée russe, et c'est en français seulement qu'a pu paraître l'ouvrage du comte Léon Tolstoï sur la religion. Pour ceux qui cherchent le nouveau, il y a en effet dans la littérature russe une mine précieuse à l'exploiter.[22]

In effetti, la quantità di libri russi pubblicati in Francia in quegli anni è impressionante. Per farsene un'idea basta sfogliare la rubrica bibliografica di Thomas Emery "À travers le roman", dedicata alla narrativa pubblicata in Francia. Vi si trovano recensiti, senza particolare distinzioni, opere di grandi scrittori accanto a romanzetti d'appendice di oscuri nobili russi, spesso scritti direttamente in francese: per esempio c'è La Comtesse Natalie "par l'auteur de La Comtesse Mourenine" (!), Kira di V.Rouslane, Amours della "Princesse Marie Troubetzkoii", Guerre et paix e Anne Karénine di Tolstoj, Le crime et le châtiment di Dostoevskij, ecc.[23] Di una fama invidiabile godeva in quegli anni Henry Gréville, pseudonimo di Alice Durand, scrittrice franco-russa, autrice di romanzi d'appendice ambientati nell'alta società pietroburghese. Anche la «Revue» pubblicò narrativa di consumo di provenienza "franco-russa": è il caso, per esempio, del romanzetto Bravo-à-droite di Ossip Schubin e del racconto La vierge de l'Ukraine di Tola Dorian, nota per essere amica di Victor Hugo più che per le sue qualità letterarie. Gli stessi racconti di Tolstoj apparsi sulla «Revue» rispondevano a questo tipo di ricezione ed erano interpretati come "letture amene".

Tornando a J.de Latour, in una Lettre de Russie del gennaio 1886 il corrispondente della «Revue» denunciava la crisi della letteratura russa proprio nel momento del suo apogeo internazionale:

    La littérature russe traverse sa queue de comète. Une littérature disparaît — non sans lancer aussi quelques brillantes étoiles filantes, — pour laisser place à une autre encore à son aurore. Il s'agit bien entendu de la littérature d'imagination, de celle qui s'adresse à tous et qui a pour interprètes le roman et le théâtre.[24]

J.de Latour indica quale sia la tipologia del racconto russo che sta scomparendo: esso abusa nel ricorrere al personaggio del "moujik" e ai "déséquilibrés", sfruttati molto da Gogol', Dostoevskij e Tolstoj. La tipologia offerta da J.de Latour è molto riduttiva e superficiale, ma del resto corrisponde perfettamente a certi giudizi firmati "U." sulla «Rivista europea» e alla stessa opinione di De Gubernatis, per esempio su Tolstoj e Dostoevskij. A proposito, vale la pena di fare una breve digressione sugli scritti di De Gubernatis dedicati alla moda del romanzo russo; essi, singolarmente, non appaiono sulla «Revue», nella quale anche più in generale la sua presenza è poco evidente, ma sulla «Nuova Antologia», nella "Rassegna delle letterature straniere". De Gubernatis era soddisfatto del fatto che i grandi scrittori russi venissero tradotti nella lingua più conosciuta in Europa, e si attribuiva in qualche modo un ruolo, tutto sommato legittimo, di anticipatore dei tempi. Perciò, sin dal 1884, con la traduzione dei grandi romanzi di Tolstoj e di Prestuplenie i nakazanie, egli segnalò ai lettori tutte le principali pubblicazioni francesi riguardanti la letteratura russa. Tuttavia, egli si mostrò sempre scettico verso una moda che innalzava al di sopra di tutto Tolstoj e Dostoevskij, scrittori che egli mai comprese appieno, e anzi tese in parte a rifiutare. Nella recensione a Le roman russe di Vogüé, De Gubernatis sembra ricalcare certe opinioni di J.de Latour in merito alla decadenza della letteratura russa (opinioni che, del resto, erano comuni in Russia in un periodo in cui tutti i grandi maestri morivano senza lasciare successori):

    Io non ho tutta la fede nell'avvenire della letteratura russa che spiega il Vogüé; ella mi sembra aver dato pressapoco tutto ciò che poteva dare; è difficile che in Russia esca ancora qualche cosa di veramente originale e che superi quello che già abbiamo; e però credo anch'io un poco che la voga russa, alla quale il Vogüé ha contribuito in gran parte, passerà; ma innanzi ai capolavori letterari dal Vogüé esaminati e resi famigliari, una tal voga si spiega.[25]

De Gubernatis registra il successo della letteratura russa e, tutto sommato, lo sostiene, ma la sua posizione non è più d'avanguardia e manca proprio la partecipazione attiva e appassionata all'opera di divulgazione che egli aveva sostenuto solitariamente un decennio prima. La «Revue internationale», pur abbondando di contributi russi, risente di questa mancanza. Per esempio, la scelta delle traduzioni appare piuttosto scadente e arbitraria: oltre alle quattro traduzioni tolstojane, per il resto compaiono solo una brevissima poesia di Nikolaj Nekrasov, un racconto di Aleksandr Garšin e racconti di scrittori minori già citati, come Boleslav Markevič, Tola Dorian e Osip Shubin: evidentemente manca un criterio di giudizio nella scelta delle traduzioni (e di fatto, veniva pubblicato quello che capitava, anche perché la rivista era in gravi difficoltà). Va però ricordato che all'inizio del 1887, nel primo numero uscito dopo l'abbandono di De Gubernatis, la «Revue» cominciò a pubblicare a puntate una traduzione dell'Igrok di Dostoevskij.[26] Forse più interessante ed omogenea la lista di traduzioni dal polacco, che comprende un inedito di Adam Mickiewicz e racconti di Henryk Sienkiewicz ed Eliza Orzeszko.[27] Va poi segnalato un articolo di Josef Penizek sulla storia della poesia lirica boema, corredato da una bella antologia di traduzioni.[28]

Una nota d'interesse: ben quattro volte in breve tempo sulla «Revue» compaiono scritti aventi per tema la posizione degli ebrei nel mondo slavo. Due sono novelle: viene dalla Polonia Le fort Samson (Silny Samson) di Eliza Orzeszko (1842-1910), una nobildonna polacca che conosceva bene gli shtetlach ebraici della Lituania e li utilizzò diverse volte come sfondo delle proprie opere.[29] Va poi aggiunto un contributo est-europeo non slavo quale la breve novella Rebecca della scrittice ungherese Lenke Bajza-Beniczky-Bajza (1839-1905), pure di ambientazione ebraico-orientale e di tono filosemita.[30] Nello stesso periodo, la «Revue» pubblica la traduzione di una novella dell'ebreo sefardita Haim Davitcho (Davičo), che fu il primo scrittore di lingua serba della comunità ebraica di Belgrado, autore di racconti di costume legati alla vita quotidiana dei sefarditi della capitale serba.[31] Infine, questa specie di ciclo slavo-ebraico si completa con un saggio del già citato Michail Aškinazi, dedicato alla situazione giuridica degli ebrei in Russia.[32] Aškinazi spiega come le riforme di Alessandro II avessero creato grandi speranze negli ebrei russi, concedendo loro diversi diritti che fino ad allora erano sempre stati sempre negati; ma le riforme subirono un arresto prima di essere completate, e l'assassinio dello zar determinò un nuovo clima sfavorevole alle riforme e astioso verso gli ebrei, che anche giuridicamente ricominciarono ad essere discriminati; Aškinazi notava giustamente come la legge russa mancasse di coerenza, in quanto non era stata decisa la questione se gli ebrei andassero considerati cittadini russi oppure nazione straniera ospite sul territorio russo.

La tematica ebraica, inserita in ambiente slavo, era quanto mai attuale negli anni in cui il mondo ebraico, quello orientale in maniera particolarmente vistosa, viveva la crisi irreversibile dei valori che lo avevano retto per secoli ed entrava a precipizio nella modernità occidentale, con tutte le contraddizioni che ciò comportava. L'attualità del tema trova conferma anche in alcune reazioni infastidite provenienti dal mondo slavo. Non sembra priva di una latente sfumatura di antisemitismo la lettera di Boleslav Markevič in cui viene criticato l'articolo del rivoluzionario Aškinazi su Turgenev (vedi sopra). È invece piuttosto esplicito il discorso di Stojan Bošković all'indirizzo di Haim Davičo, il cui racconto con suo grande disappunto era stato pubblicato sulla «Revue»:

    Je régarde de mon devoir d'ami de Vous signaler le peu d'importance, que le public de nos contrés danubiennes attachera au nom et au travail d'un certain Mr. Haim Davitcho ci-devant étudiant juif, avec sa novellette sur la vie des juifs de Belgrade. Il n'y a à Belgrade, qu'une centaine de familles juives et dans le reste de la Serbie pas une dizaine en tout. Il eut mieux valu d'écrire sur la vie des Bosnjaks et des Herzegovins de toutes les trois réligions, orthodoxe, catolique et mahometaine, avec leur ésprit et leurs tendances politiques et nationales...[33]

Queste rimangono comunque voci isolate e naturalmente non influenzano le scelte di De Gubernatis. La «Revue» si mostra, così, disponibile a dar voce anche alla vita ed ai problemi delle comunità ebraiche, senza pregiudizi di sorta, allo stesso modo in cui concede spazio a letterature marginali o lontane: da questo punto di vista, essa è all'altezza degli ideali manifestati da De Gubernatis nel programma della rivista. Manca invece alla «Revue» l'elemento femminista che aveva contraddistinto la «Rivista europea». Più in generale, le grandi figure femminili che tanta importanza ebbero nella «Rivista europea», mancavano ora a De Gubernatis, con parziali compensazioni. Vanno comunque ricordate Dora d'Istria e la viaggiatrice russa Lidija Paškova, che diedero alcuni contributi alla rivista. Il ruolo che era stato della Bezobrazova nella «Rivista europea» fu in parte assolto, nella «Revue», da Ol'ga Nikolaevna Smirnova (1834-1893), figlia della famosa Aleksandra Smirnova-Rosset che era stata al centro dei salotti letterari della prima metà dell'Ottocento. Ol'ga Smirnova, residente a Parigi, pubblicò le memorie della madre, e come la madre vantava molti importanti scrittori ed intellettuali fra gli "amici di famiglia". Proprio uno di essi, Boleslav Markevič, la incaricò all'inizio del 1884 di far pervenire a De Gubernatis la traduzione in francese di un suo romanzo, La Princesse Tata; la Smirnova ne approfittò per proporre alla «Revue» anche diversi propri lavori di traduzione.[34] Sul cammino di De Gubernatis si imbatteva ancora una volta una donna colta, intelligente e disinvolta; egli colse l'occasione e ne accettò volentieri la collaborazione.[35] La Smirnova inizialmente si diede da fare con molta sollecitudine per diffondere la «Revue» fra i russi parigini e fra i conoscenti francesi; inoltre, convinse De Gubernatis a spedire la rivista a Ivan Aksakov, di cui era conoscente, convinta che egli le avrebbe fatto pubblicità in Russia; ma a quanto pare, Aksakov non diede a De Gubernatis alcuna notizia di se'.

Alla Smirnova si deve la traduzione di almeno uno dei racconti di Tolstoj pubblicati dalla «Revue», Un cas.[36] Tuttavia, dall'epistolario sappiamo che ella ne aveva tradotti almeno due e li aveva proposti a De Gubernatis, il quale aveva risposto che "les deux bluettes du comte Tolstoy m'intéresseront vivement. J'ai la plus grande estime pour cet écrivain dont le talent m'est si sympatique, et je serais enchanté de le faire connaître davantage par la Revue".[37] Il primo racconto fu immediatamente inviato e pubblicato con l'indicazione "traduit par Olga Smirnoff". In una lettera datata 12 marzo 1884, la Smirnova annunciava che avrebbe inviato il secondo racconto; d'altra parte, passò più di un anno prima che la «Revue» pubblicasse le Notes d'un marqueur, tradotte, come si è detto, da R.C. [forse Carafa] de C., che aveva ricevuto l'originale da Vogüé: quindi, sembrerebbe che la seconda traduzione della Smirnova non sia mai stata pubblicata, a meno che R.C. de C. non sia un suo "nom de plume" creato ad hoc.[38] In tal caso, tutte le quattro traduzioni sarebbero opera sua.

Lasciando in sospeso l'identificazione di R.C. de C., la Smirnova vide accettate altre proposte: la traduzione di tre novelle di Markevič e alcuni articoletti bibliografici firmati O.S., mentre De Gubernatis non pubblicò altri suoi lavori, come la traduzione di una brochure del diplomatico Konstantin Michajlovič Bazili (1809-1884) sulla costituzione russa. Le proposte della Smirnova era numerosissime, ma la situazione precaria della «Revue» ne limitò le possibilità di realizzazione. Nell'estate del 1885, dopo avere atteso invano per un anno e mezzo la pubblicazione della Princesse Tata di Markevič e della brochure di Bazili, la Smirnova si spazientì e richiese indietro i manoscritti. Nel frattempo, De Gubernatis partì per il suo lungo viaggio in India, lasciando la «Revue» in mano alla redazione. Al suo ritorno dall'India, nel 1886, il rapporto con l'intraprendente Smirnova non si rinnovò. Certo, il limite di questa collaborazione è evidente: il criterio con cui O'lga Smirnova proponeva le sue traduzioni era in genere legato alla sua conoscenza personale con gli autori; perciò, uno scrittore di non grande importanza come Markevič diventa nella «Revue internationale» il più tradotto dopo Tolstoj, riceve l'omaggio di una presentazione biografica ad opera della stessa Smirnova[39] e viene ricordato da J.de Latour in occasione della morte, nella corrispondenza russa del dicembre 1884.[40]

Questo è il profilo della «Revue internationale» attraverso gli scritti più significativi riguardanti la Russia. Gli impegni di De Gubernatis e le grandi difficoltà economiche della rivista, continuamente a rischio di chiudere, finirono per spingerlo ad abbandonarne la direzione: a partire dal 10 gennaio 1887 la «Revue» si trasferisce a Roma, dove passa sotto la direzione di A.Fantoni e D.Melegari che, ad onor del vero, contribuirono a rilanciarla, pur senza mutamenti vistosi nella struttura e nei contenuti della rivista. Anche gli articoli e le traduzioni legate al mondo slavo continuarono copiose, a partire dalla già ricordata pubblicazione del Jouer di Dostoevskij; allo stesso modo, le corrispondenze di J.de Latour seguitarono ad apparire con frequenza regolare.

Il Dictionnaire rinnovò le fatiche epistolari di De Gubernatis, che indirizzò ancora una volta centinaia di lettere ad altrettanti scrittori per riceverne notizie bio-bibliografiche aggiornate. Per questo motivo, si conservano alla BNF diverse risposte di scrittori russi;[41] De Gubernatis si limitò perlopiù ad aggiornare il Dizionario del 1879, ma naturalmente inserì anche diversi nomi nuovi ed eliminò le voci riguardanti gli scrittori scomparsi durante quel decennio. In generale, il Dictionnaire, in due tomi, si presenta ancora più voluminoso del Dizionario. Ancora una volta, ai russi fu dato grande peso, sia per la quantità di voci che per la loro estensione; ma è chiaro da vari indizi che nel 1888 gli interessi di De Gubernatis si erano ormai allontanati dalla Russia. Già nella «Revue internationale» si nota che, accanto alla Russia, che riceve comunque molto spazio, si fa strada la Slavia meridionale: compaiono scritti di Mara Čop, Stojan Bošković, Josip Stare, G. Heinrich Geffcken, si traducono Janko Veselinović e Haim Davitcho, si pubblicano due corrispondenze da Belgrado (Stojan Novaković), una da Zagabria (Josip Stare) e una dal Montenegro (Lazar Kostić).[42]

Nel 1888 De Gubernatis rifonda la «Rivista contemporanea», che però dura soltanto pochi mesi. Il modello della nuova rivista è ancora una volta la «Rivista europea», alla quale essa assomiglia molto più della «Revue»; anche la gestione redazionale torna interamente nelle mani di De Gubernatis, che la rende piuttosto omogenea per intenti e per aree di interesse, a differenza della eccessiva ecletticità della «Revue». È significativo che nel brevissimo arco della sua esistenza, la «Rivista contemporanea» non abbia pubblicato articoli o rubriche di letteratura russa,[43] mentre vi si abbozzò l'idea di una "Rassegna letteraria dei paesi jugoslavi", curatore della quale doveva essere il serbo Marko Car,[44] che fece in tempo a pubblicare solo un articolo su Vuk Karadžić e le prime due "Rassegne".[45] Il fallimento del giornale pose prematuramente fine all'esperimento, che si prospettava molto interessante per la contemporanea attenzione alla cultura dalmata, istriana e goriziana, oggetto di "cronache letterarie ed artistiche" che sconfinavano nella politica e davano voce alle proteste degli italiani sudditi asburgici, che accusavano le autorità di favorire il gruppo slavo, prevalente nelle campagne, a scapito di quello italiano, maggioritario nelle città:[46] questo elemento di protesta fu immediatamente individuato dalla censura austriaca, che a partire da maggio proibì la circolazione della «Rivista contemporanea» sul territorio dell'impero asburgico. Nel fascicolo di giugno apparve un articoletto redazionale a commento del fatto:

    Dalle provincie italiane dell'Austria ci giunge una notizia incredibile. La Rivista contemporanea, a quanto ci viene scritto, è stata, per ordine superiore, proibita nell'Austria. Per qual motivo? Le nostre lettere dall'Austria, nelle quali gli scrittori italiani osano soltanto affermare la italianità dei sentimenti della maggioranza degli abitanti dell'Istria, della Dalmazia, del Trentino, e fanno voti modesti perché dal Governo Austriaco tali sentimenti naturali e legittimi vengano rispettati, furono cagione unica di questo incivile ostracismo. E noi siamo gli alleati e buoni amici dell'Austria? [...] Ma è egli possibile che all'Austria tanti anni di dolorosa esperienza non abbiano nulla appreso, e che Ella si trovi ancora, nella interpretazione del diritto internazionale, ferma alle teorie ultra-medievali del suo principe di Metternich? [...] Protestiamo qui vivamente il nostro buon diritto, ed invochiamo intanto l'autorità d'un ministro liberale come Francesco Crispi, perché abbia libero il passo nell'Austria la Rivista contemporanea, che non è né demagoga, né rivoluzionaria, ma non può dimenticare che ci sono de' fratelli italiani, sotto la dominazione austriaca, i quali, per coltura, civiltà, letteratura, arte, scienza hanno maggiori interessi con noi che non possano avere con la nazione tedesca. L'Austria non può sperare di governar sicura nelle sue provincie italiane, fin che ne' suoi principii entri la falsa idea che si può e si deve, in tali provincie, fare violenza alla natura.[47]

Anche se la protesta della rivista è vibrante, di fatto fra maggio e settembre 1888 essa pubblica solo una rassegna dei paesi jugoslavi (luglio) e una dalla Dalmazia (settembre), entrambe innocue e puramente letterarie. D'altra parte, l'Italia era al momento alleata dell'Austria, cosicché la baldanza patriottica della rivista non doveva esser vista di buon occhio neppure dalle autorità italiane. L'unico scritto indirettamente polemico apparso nell'estate 1888 sulla rivista fu quello di Vittorio Malamani dedicato al rapporto fra alcuni illustri italiani e la censura asburgica nel periodo del Risorgimento; particolarmente interessante era la pubblicazione di lettere e documenti che ricostruivano il rapporto di Tommaseo con la censura, come nel caso della travagliata pubblicazione delle Iskrice, la sua unica opera in serbocroato.[48]

Dunque De Gubernatis si concentra sul vicino mondo slavo meridionale, anche in funzione anti-asburgica e in qualche misura irredentista, mentre abbandona ogni interesse per la Russia. Solo al momento di recensire un libro di Domenico Ciampoli, egli spezza una lancia in favore degli studi slavistici:

    Noi ci rallegriamo intanto di vedere inaugurato questo corso di letterature slave in una università italiana; il professor Lignana a Napoli aveva, or sono quasi vent'anni, dato l'esempio; ma, distolto da altri insegnamenti, abbandonò più tardi il mondo slavo. Il Ciampoli è giovine, ha ingegno pronto e vivace, e gli studii che occorrono per coprir con onore una cattedra universitaria di lingue slave. Auguriamoci che alcun ministro intelligente crei per lui a Roma, a Napoli od a Firenze questa cattedra che non mancherà di certo di dare buoni frutti.[49]

In questi anni, De Gubernatis limita in generale i propri impegni giornalistici: lasciata la «Revue internationale» (1886), congedato dalla «Nuova Antologia» (1887), fallita la «Rivista contemporanea» (1888), per un certo periodo egli si dedica più di ogni altra cosa all'orientalistica. Nel 1885, come ricordato, aveva fatto un lungo viaggio in India; l'anno successivo fondò il «Giornale della società asiatica» e creò un museo indiano a Firenze. Inoltre, scoprì il gusto di viaggiare come ambasciatore, autodesignatosi, della cultura italiana nel mondo: fra la metà degli anni '80 e il 1900, De Gubernatis intraprese "viaggi di studio e propaganda civile" in Bulgaria, Serbia, Romania, Ungheria, Turchia, Palestina, Argentina, Cile..., "portandovi una parola armoniosa e vivificatrice italiana".[50] Di gran parte di questi viaggi egli trasse dei resoconti nei quali, oltre a riferire dettagliatamente delle trionfali accoglienze riservategli personalmente di volta in volta, tracciava dei rapidi profili, non privi di interesse, delle nazioni visitate e della loro attualità culturale; mescolava poi notizie di storia, folklore e politica, proponendo soluzioni concilianti ai conflitti fra gli stati, in particolare fra quelli della "polveriera balcanica".[51]

Altre sue iniziative editoriali diedero un risalto ormai solo episodico ed insipido alla cultura russa, segno che ormai da tempo De Gubernatis aveva cessato d'essere all'avanguardia e anzi stentava a rimanere aggiornato sull'attualità russa. La rivista «Natura e arte», fondata da De Gubernatis in collaborazione con un folto gruppo di colleghi alla fine del 1891 e co-diretta fino al 1895, prima rivista illustrata italiana, ospitò articoli su Tolstoj, sull'epica russa, alcune traduzioni e poco più;[52] vi si trova anche l'ultima traduzione edita di Sofia De Gubernatis (la poesia La Primavera di Aleksej Žemčužnikov).[53] La presenza diretta di De Gubernatis è di scarsissimo peso, limitata a rare noterelle firmate con le sole iniziali e ad articoletti d'auguri per il Natale e per la Pasqua... Da segnalare c'è ben poco: la traduzione dei Dekabristy, il romanzo incompiuto di Tolstoj, è opera di Ferruccio Rizzatti, uno dei tipici viaggiatori dell'epoca, il quale la correda di note esplicative abbastanza dettagliate; nella breve introduzione, Rizzatti ricorda anche di avere conosciuto Tolstoj in Russia nel 1885.[54] A seguito della pubblicazione del romanzo, appare un articolo esteso dello stesso Rizzatti su Tolstoj, definito "uno scita autentico, che sconvolge improvvisamente tutte le nostre abitudini intellettuali".[55]

Per qualche mese su «Natura e arte» si pubblica una serie di brevissimi saggi di traduzione di poeti russi: Kol'cov, Majkov, Fet, Baratinskij, Lermontov, tutti ad opera di Domenico Ciampoli; ma ciascuna poesia non occupa più di mezza pagina. Infine, vanno ricordati gli articoletti del Principe Demidoff intitolati Vita russa: vi si delinea una descrizione della vita quotidiana russa dal tono un po' frivolo e mondano, ma anche spiritoso e piacevole; Demidoff assicura, per esempio, che la vita notturna di Pietroburgo è più vivace che a Parigi... Inoltre, per chi non credesse a certe continuità fra regime zarista e regime sovietico, vale la pena di leggere il passo in cui il principe russo-fiorentino racconta allegramente l'impressionante proliferare di polizia, dal cui occhio onnipresente la gente non è sicura di sfuggire persino fra le mura di casa, il potere soffocante della censura, il terrore di scomparire improvvisamente senza alcuna spiegazione... E per tradizione sono sospetti al massimo grado gli stranieri, che vengono pedinati durante l'intera durata del loro soggiorno in Russia e severamente perquisiti all'entrata e all'uscita dal paese.[56]

Scarsamente presente in «Natura e arte», la slavistica è pressoché nulla in «La vita italiana», fondata nel 1895. In effetti, ormai quasi tutte le riviste italiane davano spazio alla cultura russa, e molte ben più di queste ultime riviste degubernatisiane. Esse, del resto, sono dedicate ad un pubblico molto più ampio di quello della «Rivista europea»: si può notare nelle riviste di De Gubernatis una parabola che va dalla colta e un po' elitaria «Rivista europea» fino alle sempre più popolari «Natura e arte» e «Vita italiana», illustrate e destinate ad una lettura di massa, attraverso l'esperienza intermedia della «Revue internationale» e all'infelice ritorno al primo modello con la «Rivista contemporanea» del 1888. Un ultimo intervento di De Gubernatis sulla letteratura russa è dovuto alla sua collaborazione alla «Nuova rassegna di letterature moderne» e consiste di due soli articoli.[57] Residente a Roma, professore di letteratura italiana all'università, De Gubernatis nei primi anni del '900 si limita a modesti contributi di italianistica, latinistica e orientalistica. Dal suo epistolario risultano ancora alcuni contatti e amicizie con russi: per esempio con Elena Chanikova e Sof'ja Nikitenko. Ma sono contatti puramente personali e privi di interesse per questa ricerca.

Purtroppo, sono molto poche le notizie che ho potuto raccogliere su Sof'ja De Gubernatis: questa donna, che seppe dar vita a un salotto culturale internazionale così vivace e d'alto livello, agì sempre nell'ombra e quasi nell'anonimato, al contrario del marito, amante della fama e del clamore. Senza dubbio, Sof'ja ebbe ruoli importanti, diretti e indiretti, nell'attività del marito, ma la scarsità di notizie non permette di ricostruirne il profilo in maniera soddisfacente. Sof'ja De Gubernatis morì nella sua villetta di Signa nel 1907, dopo cinque anni di malattia che la consumarono progressivamente nel corpo e nella mente. Alla morte della consorte, De Gubernatis pubblicò un poemetto commemorativo, intitolato Sofia, Ricordo elegiaco,[58] nel quale viene ricostruita la storia di un matrimonio nel quale vi fu amore, ma mai serenità. Sof'ja familiarizzò il marito con la Russia, ma non volle mai tornare nel suo paese, attaccata come era all'Italia e in particolare a Firenze:

      Visitai la sua terra e nova gente
      Con lei conobbi e vidi altro costume;
      Ma la mia donna, da quel clima algente,
      Pensando al nostro cielo e al dolce lume
      Dell'arte nostra, in suon quasi piangente,
      Che prega e voce di comando assume,
      «Riportami, dicea, sull'Arno in fiore;
      Vive chi muor laggiù; qui 'l vivo muore».

      Né tornò più ne la sua terra oscura,
      Per spirare tra noi, col sole in volto;
      Ov'ella amò, trovò sua sepoltura,
      E morì dove il primo bacio ha colto.[59]

Il pasticcio dell'Esposizione Beatrice, per la quale De Gubernatis si espose finanziariamente e finì truffato, costituì un colpo fatale per il morale di Sof'ja: dopo i problemi e le gravi incertezze degli anni '60, quando la carriera accademica di De Gubernatis era stata sul punto di interrompersi e la coppia aveva dovuto far fronte ai debiti della fallimentare tipografia, era subentrato un periodo di benessere e stabilità che doveva parere definitivo; ma la pesante frode subita in seguito all'Esposizione Beatrice gettò repentinamente sul lastrico De Gubernatis, che fu costretto a vendere la residenza di campagna e persino quel villino Vidyâ a cui tanto Angelo quanto Sof'ja De Gubernatis attribuivano un grande valore simbolico:

      Ma la mia donna, da quel giorno nero,
      Velò di gran tristezza il primo accento;
      Il suo nido locato a uno straniero,
      Si sentì consumar di fuoco lento

      [...]

      E, da quel dì, sul cembalo, frequente,
      La marcia funeral che per sé scrisse
      Chopin, vibrò da l'anima dolente
      De la mia donna, come se venisse
      Altri a chiamarla dolorosamente...[60]

Infine arrivò la malattia in seguito alla quale si aprì un periodo penoso per l'intera famiglia, specialmente dopo che "la sua mente alfine s'oscurò"[61] e la figlia Cordelia dovette accudirla fino alla fine dei suoi giorni.

Quella di Sof'ja De Gubernatis fu una personalità che forse non ebbe sufficiente modo di rivelarsi; sicuramente fu qualcosa di più di un semplice "angelo del focolare", e vale la pena di ricordare l'opinione lusinghiera che si fece di lei Ivan Turgenev, espressa nelle lettere che lo scrittore le indirizzò negli anni '70. In un certo senso, quando si parla di De Gubernatis russista, si parla in qualche misura anche di Sof'ja De Gubernatis Bezobrazova. Fu senz'altro su impulso di questa donna se in casa De Gubernatis non si respirò soltanto aria di letteratura, ma anche di arti e di musica. La stessa Sof'ja Pavlovna si cimentava spesso al pianoforte, e non mancavano le serate musicali in compagnia di amici più o meno illustri e di ospiti di passaggio da Firenze. Tra questi, i coniugi Richard e Cosima Wagner e Ferenc Liszt.[62] Sempre influenzato dalla moglie, Angelo De Gubernatis fu abbastanza attento alle arti russe, di cui non ignorava i nomi principali. Ricordo ancora che fu nello studio parigino di Mark Antokol'skij che egli incontrò Turgenev. Fu invece a Firenze che De Gubernatis ebbe occasione di fare la conoscenza di Ivan Ajvazovskij nel 1873.[63]

 

  1. Melodie russe — Russkija melodii , Leipzig, 1881; De Gubernatis è autore della prefazione.
  2. Eugène Wenceslas Foulques, franco-russo, residente a Napoli, coadiuvava Ciampoli nelle traduzioni dal russo negli anni '80 («je suis né en Russie et connais passablement la langue». Lett. a DG, Naples, le 21 Décembre [1883], BNF, cart.DG, 56,9). Si rivolse più di una volta a DG per avere consigli, anche su cosa fosse meglio tradurre.
  3. D.Ciampoli, Storia delle letterature slave , Milano, 1889-1891, 2 voll.; vedi C.G.De Michelis, Ciampoli studioso di letterature slave , in AA.VV., Domenico Ciampoli. Atti del convegno, Atessa, 21-22 marzo 1981 , Lanciano, 1982, pp.101-121.
  4. Marzaduri, A.DG..., cit ., p.517.
  5. Fibra , pp.399-400.
  6. Marzaduri, A.DG..., cit ., p.514.
  7. Vedi lett. di S.Nikitenko a DG, 4/16 nov.1883, cit. in Marzaduri, A DG..., cit ., pp.514-515.
  8. W.Lamansky, Le Panslavisme , in «Rev.int.», I,6, mar.1884, pp.851-866.
  9. ibid. , p.852.
  10. «Figlia di un principe Ghica, della famiglia degli hospodari della Valachia, Elena Ghica aveva ricevuto dalla casa paterna un'educazione letteraria squisita [...]; si incapriccì d'un giovane principe russo, un Koltzoff-Massalsky, e se lo sposò contro la volontà de' genitori; visse quindi a Pietroburgo, fino alla guerra di Crimea, una vita galante e spensierata di società, molto ammirata per la sua bellezza e per il suo spirito un po' indiavolato. Un colpo di bastone, dato per isbaglio, una sera, a suo marito, turbò alquanto le facoltà mentali del principe, che tosto incominciò a vivere disordinatamente, dando fondo alla sua fortuna, e incominciando, con la crapula e col giuoco, a minacciare la dote muliebre; la principessa Elena, che già si preparava al divorzio, trovò un miglior modo di separarsi dal marito; incominciò a dire un gran male del Governo russo, ed, alla vigilia della guerra di Crimea, si fece esiliare» ( Fibra , p.349).
  11. Dora d'Istria, Les épopées russes , in «Rev.int.», I,1, dic.1883, pp.71-82; I,3, gen.1884, pp.437-463.
  12. L.Tolstoï, Un cas , in «Rev.int.», I,5, feb.1883, pp.703-714; Notes d'un marqueur , in «Rev.int.», VI,3, apr.1885, pp.289-298; Le récit d'un volontaire , in «Rev.int.», VII,3, lug.1885, pp.309-321; Mon mari et moi ; in «Rev.int.», da VIII,5, nov.1885, a IX,2, gen.1886.
  13. In nota a L.Tolstoï, Notes, cit. , p.289. Lo stesso discorso vale per il racconto Récit d'un volontaire , pubblicato nel fascicolo VII,2, lug.1885, pp.309-321.
  14. M.O.Aškinazi (n.1854), scrittore e traduttore di opere russe in francese (Tolstoj, Saltykov-Ščedrin, Gončarov, Dostoevskij, ecc), divulgatore della letteratura russa in Francia e occidente, spesso sotto lo pseudonimo Michel Delines.
  15. Vedi in bibliografia.
  16. Nekrassoff, Les larmes d'une mère , traduit du russe par M.me Clara Délay, in «Rev.int.», II,2, mar.1884, p.71. Cfr.M.Aškinazi, Montreaux le 5 mars 1884, BNF, cart.DG, 150,1 (illegg., fogli 9/10).
  17. B.Markévitch, Par Télégraphe, in «Rev.int.», III,4, ago.1884, pp.509-512.
  18. B.Markevič, S.Pétersbourg, 5/17 avril 1884, BNF, cart.DG, 150,1 (illegg., foglio 15).
  19. M.Achkinasi, Ivan Tourguéneff et les révolutionnaires russes , in «Rev.int.», I,5, feb.1884, p.717.
  20. ibid ., p.723.
  21. Vedi le lettere di A.Bakunina, BNF, cart.DG, 8,9. Il materiale principale di cui la Bakunina si serviva era costituito ancora una volta dal «Vestnik Evropy». In una lettera del 24 agosto 1884 la Bakunina propose la traduzione o il riassunto di un intero articolo di Belov, tratto dal "Messager historique", "Histoire de la Russie , comprise et commenté par le peuple".
  22. J.de Latour, "Chronique russe", in «Rev.int.», VIII,2, ott.1885, p.269. Egli torna sull'argomento anche in una "Lettre de Saint Pétersbourg", in «Rev.int.», XII,1, set.1886, pp.116-122.
  23. Vedi in bibliografia.
  24. J.de Latour, "Lettre de Russie", in «Rev.int.», IX,3, gen.1886, p.412.
  25. DG, "Rass.lett.stran.", in «N.A.», mar.1887, p.147.
  26. Th.Dostoïevski, Le Jouer (Notes d'un jeune homme) , traduit par E.Halpérine, in «Rev.int.», da XIII,1, gen.1887, a XIII,4, feb.1887.
  27. Vedi il capitolo dedicato alla Polonia e in bibliografia.
  28. J.Penizek, La poésie lyrique en Bohême , in «Rev.int.», II,5, mag.1884, pp.649-667.
  29. É.Orzesko, Le fort Samson , trad. du polonais par Ladislas Mickiéwicz, in «Rev.int.», da III,5, ago.1884, a IV,2, ott.1884.
  30. H. de Bajza-Beniczky, Rebecca, nouvelle , in «Rev.int.», IV,4, nov.1884, pp.533-539.
  31. H.Davitcho, Naoumi, nouvelle tirée de la vie des Juifs de Belgrade , in «Rev.int.», VI,6, dic.1884, pp.732-747.
  32. M.Achkinasi, Les Juifs devant la loi russe , in «Rev.int.», IX,6, mar.1886, pp.725-746.
  33. S.Bošković, lett. a DG, Belgrade, 1884, BNF, cart.DG, 150,1 (illegg., foglio 106). Un'interessante testimonianza sull'antisemitismo russo dell'epoca è riportata dal principe Demidoff in un suo articoletto pubblicato su «Natura e arte» qualche anno più tardi: egli riferisce di come una nota cantante lirica, ebrea italiana, si trovasse in tournée in Russia con la compagnia teatrale di cui faceva parte; ma tale fu il trattamento riservatole dalla polizia, dalle autorità e dal personale alberghiero, che la cantante rimpatriò anzitempo senza potersi esibire. (Cfr. Principe Demidoff, Vita russa , in «Natura e arte», IV,13, lug.1895, pp.71-74.
  34. Vedi O.Smirnova, Paris, 21/9 Janvier 1884, BNF, cart.DG, 116,70.
  35. Alla prima lettera della Smirnova, che aveva lodato il programma della «Revue», DG rispondeva: «Si mon idée est bonne, c'est par le concours intelligent des dames qu'elle fera son chemin» (DG, lett. a O.Smirnova, Florence le 24 février 1884, RGALI, f.485, 284).
  36. Pubblicato già nel febbraio 1884.
  37. DG, lett. cit. a O.Smirnova, RGALI, cart.cit.
  38. Cfr. Smirnova, Paris, 6 Févr.1884, BNF, cart.cit.: «je vous autorise à me nonner un nom de plume , si vous trouvez ce que je vous envoie digne de la revue».
  39. O.S., Boleslas Markévitch , in «Rev.int.», III,4, ago.1884, pp.509-512.
  40. J.de Latour, "Chronique musicale, littéraire et artistique de Russie", in «Rev.int.», V,1, dic.1884, pp.98-106.
  41. Per esempio Grigorij Danilevskij (vedi in appendice), Aleksej Pisemskij, Aleksej Pleščeev, Aleksandr Pypin.
  42. M.Cop, Le théâtre national en Croatie , II,6, giu.1884, pp.808-818; S.Bochkovitch, La Serbie dans ses relations internationales , V,2, gen.1885, pp.269-282; J.Staré, Les sciences en Croatie , V,3, gen.1885, pp.355-366; Id, Les arts en Croatie , VII,3, lug.1885, pp.361-368; S.Bochkovitch, L'empereur Étienne Douchan de Serbie et la Peninsule balkanique au XIV me s iècle, da IX,5, feb.1886, a X,3, apr.1886; G.H.Geffcken, La Bulgarie et le droit d'intervention , XIII,1, gen.1887, pp.57-80; ecc.
  43. Per la russistica, unici contributi sono alcune recensioni e una libera riduzione da un racconto di Vladimir Sollogub, L'ultimo valzer , ad opera di E.W.Foulques (in «Riv.cont.», mar.1888, pp.444-455); ad essa si può poi aggiungere la breve traduzione di una novella di P.Polansky, Moldavesca , "versione dal russo-galliziano di Sofia De Gubernatis Besobrasoff", in «Riv.cont.», mag.1888, pp.195-203; lug.1888, pp.65-68.
  44. Marko Car (1859-1953), critico letterario e scrittore di viaggi dalmata, bilingue (serbo e italiano), si dedicò molto agli studi comparati delle letterature jugoslave con quella italiana.
  45. M.Zar, Vuk Stefanovic Karadzic e la poesia popolare serba , in «Riv.cont.», feb.1888, pp.232-255; Id, "Rassegna letteraria dei paesi jugoslavi", in «Riv.cont.», mar.1888, pp.589-597, e lug.1888, pp.139-146.
  46. Vedi C., "Cronaca goriziana", in «Riv.cont.», feb.1888, pp.362-365.
  47. L'Editore, la "Rivista contemporanea" e l'Austria , in «Riv.cont.», giu.1888, pp.337-338.
  48. Vedi V.Malamani, Daniele Manin - Tommaseo - Il Barone Avesani (dall'Archivio della Censura Austriaca) , in «Riv.cont.», ago.1888, pp.236-251.
  49. "Gazzettino bibliografico italiano": Dom.Ciampoli, Studi slavi, destini della stirpe (Acireale 1888), in «Riv.cont.», mar.1888, pp.600-601.
  50. Fibra , p.403.
  51. Vedi p.es. DG, La Serbie et les Serbes , Florence, 1897; La Roumanie et les Roumains , Florence, 1898; La Bulgarie et les Bulgares , Florence, 1899.
  52. Vedi in bibliografia.
  53. A.Gemciusnicoff, La Primavera , trad. di Sofia DG Besobrasoff, in «Natura e arte», I,8, mag.1891, pp.659-661. La traduzione è in prosa.
  54. Prof. F.Rizzatti, I Decembristi. Romanzo di Leone Tolstoi , in «Natura e arte», II,2, dic.1892, p.122.
  55. F.Rizzatti, Leone Tolstoi , in «Natura e arte», II,12, mag.1893, p.1098.
  56. Cfr. Principe Demidoff, "Vita russa", in «Natura e arte», IV,13, lug.1895, pp.71-74.
  57. DG, Una prima traduzione italiana dal russo sconosciuta , «Nuova rassegna di letterature moderne», 1906, N.9-10; Scrittori idealisti russi , ibid., 1908.
  58. DG, Sofia. Ricordo elegiaco, II Novembre MDCCCCVII , Firenze, 1907.
  59. ibid. , pp.7-8.
  60. ibid. , pp.15-16.
  61. ibid. , p.18.
  62. Da una lettera di un altro brillante pianista, l'amico polacco Władysław Tarnowski, apprendiamo che dai De Gubernatis non fu apprezzato altrettanto un virtuoso russo quale Anton Rubinštejn: «Dommage que tu n'entends pas Rubinstein. Grand artiste, je dois beaucoup à ces concerts, surtout à ces petites pièces qu'il joue uniquement et qu'on m'a reproché de jouer devant un grand publique» (W.Tarnowski, s.d., BNF, cart.DG, 120,53).
  63. Vedi «Riv.eu.», "Illustri stranieri", feb.1873, p.632.
На Растку објављено: 2008-06-30
Датум последње измене: 2008-06-30 19:33:57
 

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