Stefano Aloe
Angelo De Gubernatis e il mondo slavo (Cap. 5.2. Croazia e Dalmazia)
Angelo De Gubernatis e il mondo slavo . Gli esordi della slavistica italiana nei libri, nelle riviste e nell'epistolario di un pioniere (1865-1913) . Studi slavi e baltici. Dipartimento di linguistica. Università degli Studi di Pisa, N. 1 - 2000 Nuova Serie, Collana di studi e strumenti didattici diretta da Giuseppe Dell'Agata, Pietro U. Dini, Stefano Garzonio, Pisa: Tipografia Editrice Pisana, 2000.
V,2 Croazia e Dalmazia
In confronto agli intensi rapporti che De Gubernatis stabilì con l'ambito culturale e politico serbo, si può dire che non vi fu mai da parte sua un interesse specifico nei confronti dell'area croata, che d'altra parte non godeva di autonomia politica all'interno dell'impero austroungarico, mentre i contatti con la costa dalmata, che furono un po' più frequenti, erano più che naturali per un intellettuale italiano così intensamente impegnato sul versante pubblicistico e redazionale. Tuttavia, scorrendo gli indici delle riviste degubernatisiane, gli episodi dalmati e croati risulteranno veramente molto sporadici.[1]
Anche in questo caso, dobbiamo partire dal Dizionario biografico degli scrittori contemporanei. Nel più volte citato elenco di Leger, era segnalato il noto nome di Franjo Rački, "le Chanoine Docteur Racki[2] président de l'Académie des Slaves méridionaux".[3] Puntualmente, De Gubernatis si rivolse a Rački, che accettò volentieri di prestare il proprio aiuto. Dalla prima lettera di Rački, datata 2 dicembre 1878, accanto alla disponibilità a collaborare all'opera traspare l'orgoglio di poter diffondere in ambito internazionale la cultura croata attraverso i suoi nomi più brillanti; l'impostazione di De Gubernatis, che si rivolgeva ai rappresentanti dei vari ambiti culturali nazionali prescindendo dalle suddivisioni politiche, riuscì particolarmente gradita a quei collaboratori che appartenevano a realtà culturali non riconosciute o poco prestigiose in ambito internazionale. Nel caso di Rački, la lotta per la dignitas della cultura croata e per l'autonomia politica degli slavi meridionali fu lo scopo, e il risultato, di una vita: fu Rački a trasformare l'illirismo in "jugoslavismo" (coniando il termine jugoslovjenstvo), ponendo di fatto le basi per la creazione, al termine della prima guerra mondiale, della Jugoslavia. Il Dizionario di De Gubernatis è dunque un piccolo, ma significativo tassello all'interno di questo processo di emancipazione culturale di cui Rački fu rappresentante di spicco. Tornando alla lettera, è utile rilevare che l'apporto di Rački al Dizionario prevede sin dall'inizio l'area che egli stesso definisce jugoslava (come "jugoslava" era l'accademia delle scienze di Zagabria, della quale Rački era il presidente):
accludo quivi le notizie bibliografiche riguardanti la persona mia. Se queste sono redatte nel senso, che si desidera, seguiranno altre d'alcuni scrittori jugoslavi [...].
Vi sono delle biografie dei più celebri scrittori jugoslavi, come del filologo Daničić, storico Ljubić, botanico Schlosser etc. scritte con gran prolissità. Queste si potrebbero lasciar tradurre nell'italiano, se tale prolissità risponde al programma del Dizionario biografico della Letteratura contemporanea.[4]
A questo scopo, Rački precisa che «per mia direzione dovrei sapere, se il prospetto sia stato mandato anche ai altri scrittori jugoslavi fuor di Zagabria».[5] Poiché anche da Belgrado un collaboratore, Stojan Novaković, di lì a pochi giorni avrebbe risposto positivamente all'invito di De Gubernatis, l'apporto di Rački rimase circoscritto all'area dalmato-slavonica, con rare indicazioni anche nei confronti di letterati sloveni, per esempio Franc Miklošič: "Non so, se sia stato quel invito direttamente mandato al primo slavista prof. Miklosic a Vienna. Se non, potrò io servire colle notizie biografiche."[6]
Nel Dizionario si contano 19 biografie di "slavi meridionali" e 9 di serbi, che non sono moltissime rispetto alle biografie russe, polacche e boeme, ma rappresentano indubbiamente bene le culture di Serbia e Croazia, essendo presenti tutti i personaggi più importanti dell'epoca. Deficitario, invece, l'apporto di Rački per quanto riguarda gli sloveni, tra i quali trova posto il solo Miklošič, e i bulgari, che sono tre (Drinov, Jireček e Karavelov). Nel Dictionnaire le voci jugoslave saranno ancora più numerose, ma rimarrà una lacuna vistosa per bulgari e sloveni.
Sebbene con il canonico di Zagabria De Gubernatis non entrò, come sarebbe stata sua abitudine, in rapporti più informali di quelli richiesti dalla collaborazione per il Dizionario, tuttavia tale collaborazione risultò senza dubbio produttiva e incoraggiò lo studioso italiano a rivolgersi nuovamente a Rački pochi anni dopo, in occasione della fondazione della «Revue internationale». Secondo un copione che abbiamo già avuto modo di osservare, De Gubernatis proponeva una collaborazione costante alla nuova rivista, in veste di informatore e rappresentante culturale della Croazia, e più in generale degli slavi meridionali, sulla ribalta europea. Ad una lettera propositiva mandatagli da De Gubernatis fra la fine di dicembre del 1883 e l'inizio di gennaio del 1884, Rački rispose in data 27 gennaio 1884 di non sapere se accettare o no l'invito fattogli, e
siccome sono occupatissimo e non sapendo se potrei obbligarmi alla collaborazione del "Revue Internationale" esitava anco colla risposta.
Quivi appresso rimando la Lipa con 45 fr. come prezzo d'abbonamento per l'a. 1884 per l'Accademia delle Scienze a Zagabria.[7]
Nel caso, potrebbe assumersi il compito di collaborare alla rivista un membro dell'accademia di Zagabria, il professor Švrljuga. Ad ogni buon conto, Rački non rifiuta l'ipotesi di De Gubernatis, e le lettere successive indicano che una soluzione si trovò, anche se soltanto dopo alcuni mesi: infatti, al principio dell'estate dello stesso 1884, De Gubernatis tornò a rivolgersi a Rački con una proposta rinnovata: l'accademia delle scienze ungherese aveva aderito ufficialmente alla «Revue internationale», facendone in qualche misura il proprio organo internazionale;[8] lo stesso avrebbe potuto proficuamente fare l'accademia di Zagabria. La «Revue» avrebbe in tal modo pubblicato bollettini dell'accademia e scritti dei suoi membri. Rački rispose che l'accademia jugoslava non possedeva i fondi sufficienti per seguire l'esempio dell'accademia ungherese. Tuttavia, si poteva trovare una soluzione di compromesso, in quanto Rački era riuscito nel frattempo a trovare un potenziale collaboratore per la rivista:
Mi è riuscito a trovare il prof. Staré, il quale si decise di inviare per la "Revue" delle corrispondenze, le quali premierebbe nostra Academia.[9] Esse parlerebbero dei saggi intorno le pubblicazioni dell'Academia, ed altri nostri letterari instituti. E poiché le condizioni della patria nostra sono poco noti ai lettori della "Revue", saranno quelle nelle prime corrispondenze generalmente descritte. La prima corrispondenza, come introduzione, viene qui appresso acclusa.[10] E giacché il prof. Staré, benché legga francese, non è tanto esercitato in quella lingua di poter scrivere, scrisse tedesco supponendo, che la "Redazione" potrà facilmente tradurre in francese.[11]
Josip Stare (1842-1907), sloveno, era un fedelissimo seguace dello jugoslavismo di Rački e del vescovo Josip Juraj Strossmayer; storico di profes-sione, si batteva per l'unione di croati e sloveni e in gioventù aveva contribuito alla formazione del moderno teatro nazionale sloveno. Nonostante le buone premesse racchiuse nelle parole di Rački e nelle intenzioni di De Gubernatis, la corrispondenza di Stare menzionata nella lettera fu però l'unica del suo genere: non vi furono sulla «Revue internationale» altre Lettres d'Agram nella sezione delle corrispondenze letterarie. Comunque Stare fece avere al redattore della rivista, sempre attraverso il patronato di Rački, altri due scritti, che saranno pubblicati in forma di articoli nel 1885. Il primo dei due, intitolato Les sciences en Croatie, uscì a gennaio, nello stesso fascicolo in cui faceva il suo debutto Stojan Bošković.[12] L'idea dell'articolo parte direttamente da De Gubernatis, probabilmente come ampliamento di una corrispondenza inviatagli alla fine del 1884.[13] Infatti, Rački viene coinvolto dal redattore della «Revue» e gli scrive in data 26 dicembre 1884 la seguente lettera:
Zagabria 26/12 1884
Stimatissimo Signore!
L'articolo che volete pubblicare sotto il titolo "L'Académie des sciences à Agram" (Zagreb), è stato fatto dal prof. I. Staré e da me riveduto e approbato. Si ha dunque sottoscrivere con nome dell'autore prof. I. Staré.
Questi giorni vi sarà tramandato un altro interessante articolo, il quale descrive la galeria academica all'occasione della solenne apertura ai 9 di novembre. Proviene pure dalla penna del medesimo autore, da me a quello scopo designato.
Avrò gran piacere di vederla tra breve a Zagabria. Se prima visiterà Pecs, raccomando di passare da Osiek (Esseg) a Djakovo dal Mons. Strosmayer, il quale sarà lieto di vederla, e da Djakovo colla strada ferrata a Zagabria.
Rački allude al viaggio che De Gubernatis si apprestava a compiere in Ungheria: di passaggio avrebbe potuto visitare Zagabria e la piccola cittadina di Djakovo, non lontana da Osijek, dove per l'appunto si trovava la sede vescovile fondata da monsignor Josip Juraj Strossmayer (1815-1905), una delle personalità di maggior rilievo nella cultura croata dell'epoca, grande mediatore culturale e difensore insieme a Franjo Rački delle istanze nazionali jugoslave. La fondazione del vescovato di Djakovo, nella Krajina orientale, era stata dettata dal progetto di creare un avamposto per "rivangelizzare" gli slavi meridionali di Bosnia-Erzegovina e di Serbia, appena liberatisi dal giogo politico e religioso turco: il cattolicesimo avrebbe fatto da collante tra i popoli affratellati anche nella prospettiva della costituzione di una nazione jugoslava unitaria.
Nella lettera di Rački riportata sopra era menzionato anche il secondo e ultimo articolo di Stare pubblicato dalla «Revue internationale» nel luglio del 1885 (Les arts en Croatie, «Rev.int.», VII,3, pp.361-368). Non vi furono successivamente altri apporti croati alla rivista, mentre va aggiunto un altro contributo di croatistica, pubblicato con la supervisione di Franjo Rački nel giugno 1884, firmato dalla giovane scrittrice croata di lingua tedesca Mara Čop, Le théâtre nationale des Croates.[14] A differenza della ben rappresentata cultura serba, quella croata è onorata soltanto da questi pochi episodi. Anche la corrispondenza tra De Gubernatis e Rački si interrompe tutto d'un tratto, senza lasciare per alcuni anni tracce di ulteriori contatti. Tuttavia, i riguardi di Rački e Strossmayer nei confronti della «Revue internationale» come veicolo di promozione della cultura croata in Europa vanno presi estremamente sul serio. Franjo Rački mise in contatto con De Gubernatis anche la combattiva Mara Čop, che risiedeva a Budapest, ma scriveva, in tedesco, bozzetti e romanzi sulla vita e sui costumi dei croati. Seguace anch'essa dello jugoslavismo dei due grandi monsignori croati, la Čop si rivolse senza mezzi termini a De Gubernatis, offrendogli il proprio talento letterario per pubblicare sulla «Revue» delle corrispondenze culturali sulla Croazia:
Monsieur!
Je ne vous parlerai points de l’effet que produits sur moi la lecture de votre Revue internationale — enfin une lueur cosmopolite! — vous n’en jugerez que trop par mon désir de prendre rang parmi les illustres collaborateurs de cette entreprise.
J’ose au moins espérer que la Croatie y sera représentée, et je vous offre mes forces spirituelles.
Je ne suis pas à-présent moi même une habitante de la Croatie – je suis contrainte de vivre à Budapest — mais je garde les moeurs de ma patrie, j’observe ses habitants et je les dépeindre — en langue allemande […]. Pour vous Monsieur j’aurais un article bien intéressant, “Le théâtre national de la Croatie dès son origine”.
Mara Čop
écrivaine[15]
De Gubernatis apparve subito ricettivo nei confronti dell'offerta di collaborazione della Čop e, sebbene il trattamento economico che la «Revue» era in grado di assicurare risultasse assai modesto e poco soddisfacente, la scrittrice, che sapeva il fatto suo, decise di accettare tali condizioni, ponendone a sua volta altre: che il suo saggio venisse pubblicato sicuramente, ed entro il volgere di pochi mesi; e che di esso venissero stampate dieci esemplari a parte, da distribuire fra personaggi illustri della cultura e della politica croata. Lo scopo precipuo di tale saggio era, infatti, di tipo patriottico, una valida propaganda alla cultura croata avrebbe fornito un contributo alla causa di Strossmayer e Rački:
Je sais qu’en tâchant de conquérir une place dans votre excellente revue je flatte â un désir ardent de mes illustres protecteurs en Croatie surtout à l’évêque Strosmayer […].
Ne supposez pas Monsieur je vous en supplie! qu’une vanité peu sensée me dictait ces paroles. Je suis persuadée que mon jeune talent ne mérite pas de pareils hommages.[16]
De Gubernatis si trovava ancora una volta a collaborare con una forte personalità femminile, come lo era stata in passato Elizaveta Bezobrazova, e come in questi stessi anni di lavoro alla «Revue internationale» si era rivelata nell'ambito russo Ol'ga Smirnova. Non c'è che dire, il redattore della «Revue» era particolarmente a suo agio con le collaboratrici di sesso femminile, attive, determinate, a volte imperiose, e piene di entusiasmo. L'interesse di De Gubernatis per Mara Čop era poi accentuato dallo stretto legame che la scrittrice croata aveva con personaggi della statura di Leopold von Sacher-Masoch, lo scrittore autro-galiziano sulla cui rivista «Auf der Höhe» essa aveva pubblicato alcuni articoli e novelle, e di Josip Juraj Strossmayer, alla cui attività De Gubernatis aveva cominciato a prestare un certa attenzione. Mara Čop mise De Gubernatis in contatto sia con Sacher-Masoch che con Strossmayer, che a sua volta era ben informato sull'attività e sulle idee del redattore della «Revue»:
La vénération dont vous honorez l’évêque Strossmayer me charme vivement. Peut-être Monsieur nous nous allierons une fois lui faire un grand plaisir. Strossmayer désire surtout de voir paraître un article sur l’église de Djakovo — son oeuvre […]. L’histoire de cette église posée sur le seuil de l’Orient – en même temps, le symbol de la réunion des touts peuples subslaves, et de la civilisation chrétienne qui jette ses premiers rayons dans les ténèbres de la Bosnie etc — est pour une plume capable un sujet séduisant.[17]
Purtroppo quest'idea non venne raccolta. Ad ogni modo, i contatti indiretti con Strossmayer si intensificarono, specialmente dopo il necrologio che De Gubernatis dedicò al duca di Sermoneta, grande amico del vescovo croato ("L’évêque Strossmayer me chargeait de vous écrire bien des choses de sa partie"[18]). Strossmayer progettò anche di passare da Firenze per far la conoscenza di De Gubernatis, dal momento che si doveva recare a Roma:
Après les pâques Strossmayer viendra vous voire à Florence.
Il veut écrire — de sa main — son nom sur la liste des abonnés de la “Revue internationale”. En même temps il fera une visite à la veuve de son regretté ami. [Il duca di Sermoneta].[19]
La visita a Firenze sfumò per degli imprevisti. Fu sempre Mara Čop ad informare De Gubernatis da parte del vescovo di Djakovo:
L’évêque Strossmayer m’a promis poue sûr de venir vous voir à Florence. Mais ce malheureuse humblements de terre à Djakovo l’a tellement abattu, qu’il préfere peut-être de passer Florence sans d’y séjourner.[20]
In tal maniera, una più diretta e approfondita conoscenza tra De Gubernatis e Strossmayer non ebbe più occasione di svilupparsi. È comunque possibile che De Gubernatis sia effettivamente passato da Djakovo durante il suo viaggio in Ungheria, ma a parte un paio di allusioni a Strossmayer, nel libro che seguì questo viaggio non si fa alcun riferimento ad un loro incontro. In quanto alla dinamica Čop, fece in modo che la «Revue internationale» pubblicasse entro giugno del 1884 il suo articolo, e cercò di regolare i rapporti con il redattore in modo da garantirsi almeno un paio di articoli all'anno sulle questioni che le stavano a cuore, suggerendo immediatamente quale avrebbe potuto essere l'articolo successivo:
Nous pourrions fixer pour chaque année 2 articles sur les questions politiques des Slaves du Sud […]. Votre article “le Panslavisme” attirait toute notre attention. Nous désirons de vous parler sur le même sujet mais d’un autre points de vue.[21]
L'articolo sul panslavismo era, ovviamente, quello di Vladimir Lamanskij che, come si è visto, aveva attirato l'attenzione irata anche di alcuni polacchi, fra cui Władysław Mickiewicz, altro collaboratore della rivista. All'argomento erano estremamente sensibili anche gli jugoslavisti croati, e non a caso Mara Čop utilizzava il "noi" nell'esprimere questo desiderio di replica alle tesi di Lamanskij. Ma sulla «Revue internationale» non trovarono spazio né la replica polacca né quella croata. D'altra parte, De Gubernatis era poco concentrato sull'attività già di per sé problematica della rivista, che di lì a poco avrebbe lasciato temporaneamente nelle mani del viceredattore Fantoni per recarsi in India; come in altri casi, lasciò sopire la polemica, probabilmente conscio del fatto che il darle seguito avrebbe potuto innescare reazioni ancora più veementi e ampie, fino a farla sfuggire al controllo. Per la verità, è un peccato che si sia persa una tale occasione di dibattere sulla natura del mondo slavo dalle pagine di una rivista italiana. L'impressione è che, dopo avere tessuto delle reti di contatti ai più alti livelli della cultura dei principali paesi slavi — Russia, Serbia, Croazia, Polonia, Boemia — De Gubernatis tutto d'un tratto si sia lasciato cadere di mano tutti i fili connettivi, facendo rovinare nel vuoto fermenti e proposte che cominciavano appena a dare i loro frutti e promettevano molto per i mesi ed anni a seguire. Anche nel caso della Croazia, risalta l'incostanza del redattore della «Revue»: all'uscita del fascicolo di giugno in cui comparve l'articolo sul teatro croato, Mara Čop scrisse contentissima che "La “Revue Internationale” avec mon article a pris son courant de triomphe par tous les Croates";[22] in realtà, si trattava di un episodio destinato a rimanere isolato, e anche l'interscambio epistolare con la Čop durò pochi mesi ancora, giusto il tempo di fare la conoscenza personale a Budapest, in occasione del viaggio di De Gubernatis in Ungheria. Proprio dal resoconto di questo viaggio possiamo apprendere molto su come si distribuissero le simpatie di De Gubernatis verso i popoli jugoslavi. La sua predilezione andava, senza alcun dubbio, ai serbi, indicati come modello di convivenza pacifica fra nazioni all'interno dell'Ungheria.[23] Grande risalto nel libro veniva dato all'origine serba del più grande poeta ungherese, Sandor Petöfi (che per la verità si chiamava Petrovics), il cui violento anelo di libertà veniva attribuito proprio alla sua origine:
en lisant Petöfi, on peut deviner, à certains traits, qu’il n’est point Magyar de naissance. Un paysan magyar ne saurait haïr un aristocrate de son race. Il se sent noble lui-même! […]. La haine de Petöfi contre les nobles magyars n’est point un sentiment hérité du peuple hongrois. Petöfi était d’origine serbe, et les Serbes n’ont jamais eu une véritable aristocratie. Tout est peuple en Serbie; chaque Serbe peut devenir, par la gloire, par les services rendus à la patrie, par le souffrage de toute la nation, roi des Serbes. (pp.84-85)
All'opposto dei serbi stanno gli sloveni, la meno visibile e definita delle nazioni slave meridionali, al punto che i croati si sforzano di assimilarli:
Les Croates, en voulant forcer la main pour s’asimiler les Slovènes, provoqueront le sentiment contraire; ils rapprocheront de plus en plus des Hongrois ces Slovènes qui n’ont point oublié leurs chansons populaires, où le glorieux Mathias Corvin, roi de la Hongrie, après avoir délivré son épouse des mains des Turcs, pousse son cheval dans la Sava et arrive, à travers la large rivière, sur la belle terre hongroise. (p.43)
Anche nel Dizionario gli sloveni avevano ricevuto scarsissima attenzione. Ciò aveva indotto il "klub dei letterati sloveni", attraverso lo scrittore Valentin Zarnik, ad offrire consulenza per la seconda edizione dell'opera, nella quale auspicavano che la lacuna sarebbe stata colmata:
Illustrissimo signore professore!
Con molto piacere abbiamo noi altri Slavi austriaci letto nell'Vostro Dizionario biografico degli scrittori contemporanei nel quale avete concesso agli scrittori Slavi un numero assai considerevole.
Ci sono i Russi, Pollachi, Boemi, Croati, Serbi e Bulgari rapresentati, soltanto gli Sloveni mancano in questa opera, unica nelle letterature europee.
Abbiamo letto, che farete tosto una seconda edizione dell'Vostro dizionario.
Il sottoscritto e incaricato dal klub dei letterati Sloveni a Lubiana a domandarvi se sarete forse pronto a ricevere alcune biografie degli scrittori Sloveni contemporanei nella seconda edizione del dizionario così interessante?
Per questo scuopo intenzionati d'informarvi sopra gli Sloveni abbiam preso la libertà di mandarvi l'opera la più nuova, che venne adesso publicata dal professore Šuman in lingua tedesca.[24]
Se volete favorirci nella II. edizione con alcune biografie degli scrittori Sloveni, prenderemo noi stessi cura di mandarvele.
Colla più grande stima segna pel klub dei letterati Sloveni a Lubiana
Dr. Valentino Zarnik
Lubiana li 19. dicembre 1881[25]
La lettera giungeva certamente troppo tardi per rimediare alla lacuna del Dizionario, la cui seconda edizione dovette attendere altri sei anni. Ma anche nel Dictionnaire la cultura slovena fu rappresentata in maniera del tutto marginale, e neppure lo stesso Zarnik vi trovò posto. Per giunta, De Gubernatis di lì a poco cominciò a mostrare scarsa simpatia per gli sloveni, non già per il fatto di conoscerli approssimativamente, bensì a causa delle questioni che sempre più apertamente li opponevano agli italiani lungo il confine orientale dell'Italia. Questo problema, emerso nel 1888 sulle pagine della «Rivista contemporanea», dove era stato al centro delle cronache goriziane firmate C., si esplicitò alcuni anni più tardi, in una delle tre conferenze belgradesi di De Gubernatis:
Les Slovènes n'ont pas encore constitué solidement leur nationalité dans leur propre milieu slave et déjà ils travailllent à leur éparchement. Les prêtres slovènes au lieu de persuader leur peuple, que l'Italie peut, comme dans le passé, aider à la civilisation des peuples slaves de la côte de l'Adriatique, ainsi qu'elle l'a fait pour Spalato et pour Raguse, semblent prétendre de substituer leur influence, leur langue, leurs moeurs à l'influence, à la langue, aux moeurs de la majorité italienne dans les villes du Frioul et de l'Istrie à Gorice et à Trieste, qui se trouvent spontanément vers le monde latin.[26]
L'atteggiamento di De Gubernatis verso i croati è intermedio, seppure orientato ad una simpatia che ben si spiega con le sue conoscenze di Zagabria. Ciò che De Gubernatis critica nei croati è, come per gli sloveni, un nazionalismo troppo acceso, che dava luogo a sentimenti violentemente antimagiari. Naturalmente, essendo il suo libro dedicato all'Ungheria, non potevano che essere respinte tutte le posizioni ad essa ostili. Tuttavia, lo studioso riconosceva il diritto dei croati a costituire la propria nazione, e invocava soltanto una via pacifica e collaborativa nei confronti dei magiari:
Les Croates ne sont pas nombreux en Hongrie, ne dépassant pas de beaucoup le nombre de 200,000. Le voisinage de la Croatie suffit cependant à les tenir en émoi. Un jour ou l’autre ils seront, sans doute, attirés vers leurs centre de gravitation; c’est la loi de nature, et c’est aussi tout ce que les patriotes de la grande Croatie ont le droit d’espérer de toute cette agitation antihongroise. Mais ne pourrait-on pas y arriver sans une agitation si peu chrétienne? Cela serait d’autant plus facile qu’un illustre évêque [allude a Strossmayer], qui est à la fois un grand savant et un bienfaiteur pour son peuple, se trouva à la tête du mouvement. Ne pourrait-on pas faire plus grande et plus libre la Croatie sans diminuer en rien les mérites et la gloire des Magyars?[27]
Sicché, nonostante tanto interessamento da parte croata, nella «Revue internationale» gli scritti di croatistica non furono molti e andarono dispersi nel magma confuso delle pubblicazioni più svariate, senza potere dare, unite ai contributi serbi, un'impronta visibile alla rivista. A ben vedere, anche nella "jugoslaveggiante" nuova «Rivista contemporanea», di cui si è parlato a proposito di Marko Car, l'attenzione andò tutta verso la Serbia, la Dalmazia e l'Istria italiana, mentre Zagabria e la Slavonia rimasero ai margini degli interessi del redattore e dei suoi collaboratori dalmati, anche se bisogna sempre tener presente la brevità di quest'esperienza editoriale e gli impedimenti che la censura asburgica avrebbe creato a De Gubernatis per qualunque nuovo tentativo di coinvolgere letterati jugoslavi nell'attività della rivista.
Un breve "ritorno di fiamma" nei confronti di Zagabria si ebbe nel 1892, quando De Gubernatis ricontattò Franjo Rački allo scopo di raccogliere dei contributi croati per l'Albo colombiano. La risposta croata fu di nuovo assai sollecita, e nelle otto pagine da loro raccolte fu rappresentata l'intera accademia delle scienze di Zagabria, con le firme e alcuni brevi scritti d'occasione di Strossmayer, di Rački, di Šime Ljubić, del segretario e bibliotecario dell'Accademia Konstantin Vojnović, del presidente Josep Torbar e di diversi altri suoi membri.[28] Un risultato di un certo prestigio, specialmente se paragonato al contributo dell'accademia serba, che invece non fornì che una sola pagina riempita di firme.[29]
Pur senza manifestare un interesse specifico per la cultura italo-slava della Dalmazia, De Gubernatis strinse legami con molti intellettuali dalmati, per la maggior parte inseriti nei circuiti culturali dell'Italia o ad essi affini. Si tratta per questo motivo di legami che di frequente hanno poco a che vedere con il lato slavo della cultura dalmata, con alcune eccezioni che fra poco prenderemo in esame. Prima occorre sottolineare il fatto che, spinto dai suoi studi nel campo della mitologia comparata e degli usi folklorici dei popoli, De Gubernatis diede grande risalto alla poesia popolare slava, ma pur essendo a conoscenza della fama e del valore dell'epica serba e più genericamente slavo-meridionale, dedicò un'attenzione molto maggiore alle traduzioni occidentali dell'epica popolare russa (e non solo alle traduzioni, ma anche alle raccolte originali di Afanas'ev). È sufficiente dare una scorsa alle sue recensioni per ritrovare i principali libri sull'argomento apparsi all'epoca in Europa occidentale: Russian Folk-tales, by W.R.S.Ralston (London 1872);[30] La Russie Épique par Alfred Rambaud (Paris, 1876);[31] L.Leger, Recueil de contes populaires slaves (Paris, 1882).[32] Quest'ultimo volume antologizzava, oltre alla poesia popolare russa, quella di varie zone del mondo slavo. Ma solo a partire dagli anni '80 De Gubernatis si imbatté più da vicino nella poesia popolare degli slavi meridionali, fatto abbastanza singolare quando la maggior parte dei linguisti e filologi italiani suoi contemporanei già da tempo frequentavano questo campo con una certa costanza (si pensi al Tommaseo, al Teza, all'Ascoli). A colmare la lacuna contribuirono il serbo Bošković e una serie di dalmati, tra i quali, come si è visto, il serbo zaratino Marko Car. Di certo rilievo è anche il nome di Pietro Cassandrich (Petar Kasandrić, 1857-1926), autore di una delle più popolari traduzioni di canti serbi apparse in Italia dopo quella celeberrima del Tommaseo. Si tratta di una raccolta che ebbe svariate edizioni e ritocchi lungo tutto l'arco della vita di Cassandrich. Per la prima edizione, che vide la luce a Zara nel 1884 con il titolo Canti popolari epici serbi, l'allora ventiseienne Cassandrich si rivolse a De Gubernatis per avere consiglio e patronato, illustrandogli lo scopo e le modalità delle sue traduzioni:
Illustrissimo signor Professore.
Tre anni or sono, presi a tradurre alcuni canti popolari serbi, e seguendo il consiglio di un letterato italiano mi provai di conservare nelle traduzioni il metro dell'originale. Ho tentato col pentametro trocaico tedesco di riprodurre possibilmente l'intonazione generale dei canti, e quell'andatura cadenzante e leggermente monotona della leggenda che non poteva essere resa dai vari movimenti ritmici dell'endecasillabo italiano.
Se ci sia riuscito o no lo potrà giudicar Lei ove abbia la bontà di leggere questo saggio che mi permetto d'inviarle.
A Lei profondo ed amoroso cultore delle letterature straniere e delle slave in ispecie, non sarà ignoto questo canto; il più lungo ed il più perfetto dell'epopea serba e, per quanto io mi sappia, il meno noto in Italia; quindi dalla lettura di questo potrà argomentare sul valore delle altre traduzioni. Lo stile forse le parrà talvolta pedestre e negletto, ma mi pareva di non poter fare diversamente senza guastare la vergine semplicità di quei canti; sollevarlo e servirmi della cosidetta lingua poetica non ho potuto che dove l'azione lo richiedeva. Del resto mi sono tenuto sempre stretto al testo, riproducendo semplicemente ogni verso.
Ho tradotto così dieci dei migliori canti popolari epici, coll'idea di poter far conoscere in Italia, un po' meglio di quello che fu fatto sinora, queste gemme della letteratura Serba. Ma non vorrei invece aver fatto peggio degli altri; non vorrei sopratutto che il metro avesse a suonare troppo male alle orecchie italiane.[33]
All'incirca un anno dopo questa lettera, ricevuto da De Gubernatis un incoraggiamento a proseguire nel lavoro di traduzione, Cassandrich portò alle stampe il suo volume di canti serbi e ancora una volta si rivolse al prestigioso professore per un giudizio.
Illustre signor Professore
Confortato dalle sue parole a proseguire l'opera di cui Le aveva inviato un saggio, mi feci animo a pubblicare la piccola raccolta di Canti Serbi che mi permetto d'inviarle.
Ora lavoro intorno alla traduzione di alcuni antichi canti croati, anteriori di molto ai serbici se si giudichi dal metro e dalle forme grammaticali. Furono rinvenuti in alcuni manoscritti del secolo XVI e pubblicati dal prof. Miklosich nel 19 volume dei Denksschriften dell'Accademia imperiale di Vienna.[34]
Il giudizio di De Gubernatis non doveva essere negativo, visto che egli aveva addirittura utilizzato la prima traduzione inviatagli da Cassandrich nel 1883 nel suo "erudito studio sull'epopea Serba",[35] apparsa integralmente nel sesto volume della Storia universale della letteratura, quello denominato Florilegio epico (Milano 1883). Si trattava di un lungo canto epico serbo, tradotto dal Cassandrich come Milosz Obreno si fa credere Massimo Czernojevic' e conquista la figlia del Doge.[36]
Qualche anno prima della raccolta di Cassandrich, era apparso un altro saggio di traduzioni italiane dell'epica serba, quello approntato dal notaio Giacomo Chiudina (Jakov Ćudina, 1826-1900), di Spalato.[37] Anche Chiudina inviò i propri Canti del popolo slavo a De Gubernatis ("e la prego di riceverli in lieta fronte come segno dell'alta mia stima per Lei").[38] Non mi risulta che De Gubernatis recensisse l'opera sulla «Nuova Antologia», il nome di Chiudina fu però inserito nel Dizionario degli scrittori contemporanei.
Un'altra raccolta di canti serbi apparsi in traduzione italiana fu quella del tragusino Giovanni (Ivan) Nikolić, Canti popolari serbi, Zara, 1894. Su suggerimento di Marko Car, l'anziano Nikolić, letterato dilettante e appassionato, inviò il proprio volume a De Gubernatis, nella speranza di una recensione benevola:
Signor Conte Stimatissimo!
Le domando perdono se, io, ignoto al mondo ed alle lettere, oso porLe omaggio di un mio libro di traduzioni: Marco Zar mio concittadino ed amico, tanto e tanto mi disse bene di Lei Signor Conte, che mi persuase.[39]
De Gubernatis non mancò di ricambiare la cortesia e recensì personalmente il volume di Nikolić sulla sua neonata «Rivista delle tradizioni popolari italiane» (A.De Gubernatis, Canti popolari serbi di G.Nikolić, 1894, I,10, p.809). Verosimilmente su invito dello stesso De Gubernatis, in due successive lettere Nikolić tracciò un proprio profilo biografico. Nikolić era già abbastanza anziano, visto che "Apersi, direbbe il poeta, i lumi al giorno a Traù a dì 13 Novembre 1828".[40]
Non vanto né splendidi natali né ricchezze. Mio padre impiegato Austriaco, poté educarmi. Frequentai l'Università di Padova allora all'Austria soggetta, e là completai il corso legale. Conobbi a Venezia il nostro Nicolò Tommaseo che mi eccitava seguendo il suo esempio, a lasciar <...> per la letteratura. Non mi fu concesso da impreviste circostanze. Rimpatriai e più che la mia vocazione in me poté il bisogno e m'inbrancai colla burocrazia. Balestrato quà e là per le Dalmatiche borgate, volle fortuna farmi conoscere a Ragusa il Conte Orsato Pozza,[41] poeta slavo e buon cultore di lettere italiane. Da lui sollecitato intesi rivivere in me l'amore alle lettere; e fu a Ragusa che cominciai inamorato della bellezza dei canti popolari Serbi, tanto lodati dal Tommaseo, a tradurre, e forse avrei alora dato fine all'opera, se superiore volere non mi avesse ridotto a Zara. Stanco chiesi di essere giubilato e lo fui senza segno d'onore di che esultai, e mi diedi un'altra volta alle lettere traducendo [...].
Il mio vanto è di aver combattuto per la mia lingua, l'italiana, su terra alla quale di presente si vuol perfino farle cambiar nome e dirla Crovazia.[42]
Nel 1888, impegnato come redattore della sfortunata «Rivista contemporanea» e allo stesso tempo assorbito dal Dictionnaire, De Gubernatis cercò collaborazione anche in Dalmazia. La trovò nel zaratino Giuseppe Sabalich (1856-1928), il giovane redattore della rivista «Pro-patria», che si proponeva di difendere la cultura italiana in Dalmazia. Sabalich scrisse poche schede per il Dictionnaire (o forse per il coevo Piccolo dizionario degli italiani illustri), dopo di che, troppo assorbito dagli altri suoi impegni, propose a De Gubernatis che tale lavoro fosse continuato dall'anziano bibliotecario della biblioteca comunale "Paravia", Simeone Ferrari-Capilli. Sabalich avvertiva che però non c'era da aspettarsi troppo dai letterati dalmati:
I nostri letterati sono modesti, che è come dire, non sono moderni. Nessuno qui in Dalmazia conosce il lavoro per lucro: — si scrive per giovare alla patria e alla lingua italiana minacciata dal governo, dai preti, dai croati e dai serbi. Non creda già che croati o serbi ci siano bensì parteggianti per una o per l’altra causa. I croati hanno i posti migliori, i serbi sono spie della Russia. — I più coraggiosi emigrano in Italia […].
Si fidi di noi. Non si rivolga a terzi o a libraj. Essi potrebbero guastare tuto introducendo due o tre letterati dalmati ricchi ma plagiari e 4 pazzi, come Chiudina, Zarbarini e altri che non nomino a non compromettermi; perché Zara è città pericolosa.[43]
Le aspre battaglie politiche di Sabalich, in un clima sempre più ostile verso gli italiani di Dalmazia, spiegavano il suo desiderio di avere sotto controllo la scelta dei letterati da includere o escludere dal dizionario. La logica di De Gubernatis era però diversa, mirava ad allargare il più possibile il campo, e infatti qualche mese dopo egli si rivolse allo stesso scopo anche al Chiudina, che Sabalich aveva bollato come "pazzo". Chiudina, notaio, insignito dei titoli di "Cavaliere del regio Ordine serbo di Jakovo" e dell' "Ordine principesco montenerino di Danilo", apparteneva ad una campo ideologico opposto a quello del nazionalista italiano Sabalich, era cioè un ligio funzionario filoasburgico che l'imperatore Francesco Giuseppe aveva persino insignito di una medaglia d'oro per i suoi meriti letterari.[44] Il contributo del Chiudina al dizionario fu comunque modesto: oltre alla notizia che lo riguardava, inviò soltanto quella su Milan Miličević, "il più grande letterato serbo vivente".[45]
La stesura del Dictionnaire fu soltanto un momento secondario nella collaborazione di Sabalich con De Gubernatis. Più interessante fu l'episodio della «Rivista contemporanea», per la quale il zaratino scrisse una Cronaca letteraria della Dalmazia (aprile 1888, pp.133-137). Sabalich aveva appena fondato una nuova rivista, la «Cronaca dalmatica», subito impegnata in accese battaglie. Inoltre, aveva scoperto sulla «Rivista contemporanea» una Cronaca goriziana, anonima (febbraio 1888, pp.362-365), nella quale si parlava in termini negativi della sua precedente rivista «Pro-patria». Sabalich riteneva che dietro alla sigla C., con cui si firmava l'autore della Cronaca, si nascondesse un suo avversario, monsignor Pavissich.[46] La sua Cronaca dalmata avrebbe quindi ristabilito i giusti equilibri. Nei piani di Sabalich e di De Gubernatis, si dovevano scrivere regolari Cronache letterarie dalla Dalmazia, ma come accadde con le rassegne del suo concittadino slavo Marko Car, la questione politica innescata dalle autorità asburgiche affossò ogni progetto e compromise l'esistenza stessa della «Rivista contemporanea». Il 21 giugno 1888 Sabalich scriveva:
Zara 21 giugno [1888]
Professore Distintissimo
Dopo tanto indugio mi faccio vivo. — La Rivista è dunque interdetta in Austria. Il Niccolaj[47] scrisse al nostro libraio Nani circa la introduzione clandestina della stessa in Dalmazia, ma fino ad oggi qui nulla è arrivato. [Il pacco con le riviste era ad Ancona in casa di un privato]. Non so per quale incidente il pacco resta fermo in Ancona. Ogni lunedì mattina parte da lì il piroscafo della Florio-Rubattino e arriva qui in 8 ore. La consegna del pacco ad un cameriere di bordo è cosa facile assai e l’introduzione a Zara ancora più facile [...]. Se al Niccolaj non riesce di farle pervenire qui, procuri Ella che i fascicoli mi siano spediti in pacco postale chiuso, raccomandato sotto copertina falsa...[48]
Verosimile che la rivista infine giungesse a Sabalich, così come giunse a Marko Car. Ma le comunicazioni si erano fatte ormai complicate, e ad agosto da De Gubernatis ancora non era giunta alcuna risposta.[49] Ad ottobre la «Rivista contemporanea» cessava di esistere, con grande dispiacere di Sabalich che, ancora giovane, sperava di emigrare in Italia, preferibilmente a Roma, e con questa speranza si rivolse a De Gubernatis perché lo introducesse alla «Nuova Antologia».[50] Ma lo stesso De Gubernatis aveva cessato di collaborare alla rivista romana e non fu in grado di aiutare il collega dalmata. Un anno dopo anche l'esperienza della «Cronaca dalmatica» ebbe fine e Giuseppe Sabalich tornò ad appellarsi a De Gubernatis, trovandosi "costretto di picchiare a tutte le porticine del giornalismo letterario" perché in Dalmazia "lo scrivere è un bisogno. Si scrive perché si legge e si scrive per affermare che Dalmazia è un lembo d'Italia".[51]
Con zelo analogo, ma per affermare la vitalità di un'altra etnia, scrisse a De Gubernatis un ginnasiale diciassette serbo di Cattaro, Aleksandar Mitrović, che sarebbe poi diventato pubblicista e scrittore di fama locale. Mitrović si offriva di scrivere delle voci serbe per il Dictionnaire, in modo che anche la sua nazione vi fosse rappresentata:
Cattaro in Dalmazia 4/12 87
Stimatissimo Signore,
Sono certo che si stupirà ricevendo notizie da persona, la quale non ha mai conosciuto. Sono ancora più certo, che mi perdonerà l'audacia, poiché io misero e inesperto di diciassette anni studente osai scrivere ad un sì illustre uomo.
La causa di questa mia lettera fù il desiderio che nel di Lei libro "Dizionario internazionale degli scrittori viventi", vi fosse la biografia anche di qualche poeta e letterato della mia nazione — serba.
Onorabile signore, sia tanto buono a non rifiutare poche linee, che Le spedirei di poeti e letterati della mia nazione, in caso che nessun altro fin ora Le avesse spedito.
Attendendo una di Lei risposta, la quale mi rallegra, mi credi di Lei umilissimo
Alessandro Lj. Mitrović
studente dell'ottavo corso ginnasiale di Cattaro
Dalmazia[52]
De Gubernatis dovette rispondere positivamente al ginnasiale intraprendente, che così si mise all'opera, ora però coadiuvato da un compagno di classe, che si autoincaricò della stesura delle notizie bulgare richieste da De Gubernatis ("e così piglierò la briga di farmi consapevole di alquante biografie degli scrittori bulgari"): infatti, un suo fratello esercitava la professione di medico nella Rumelia orientale, e lo avrebbe perciò aiutato...[53]
Per completare il panorama jugoslavo occorre segnalare gli episodi di attenzione nei confronti del piccolo principato di Montenegro, che si era conquistato una certa notorietà nel corso dell'Ottocento: da un lato destava ammirazione la capacità di un così piccolo stato di resistere ai turchi, senza mai soccombere ed incassando, anzi, acclamati successi militari; dall'altro, la fama venne in virtù delle attitudini illuminate della dinastia regnante dei Njegoš, in particolare grazie al principe-poeta Petar Petrović (1813-1851), uno dei massimi poeti di lingua serbo-croata, e a Nikola Petrović (1841-1921), anch'egli letterato, principe aperto al mondo e di cultura russa che fece riformare in senso moderno il codice legislativo del paese.[54] Il Montenegro godette in Italia di un periodo di eccezionale popolarità in seguito al matrimonio (1896) di Vittorio Emanuele III di Savoia con la principessa Elena, figlia di Nikola Petrović: fiorirono allora per qualche anno i libri e gli articoli sul Montenegro e sulla dinastia imparentata ai Savoia. Ma qualche anno prima del matrimonio regale, De Gubernatis aveva già incluso il Montenegro almeno per una volta nell'orbita dei proprio interessi, e questo grazie ad un collaboratore d'eccezione, uno dei principali scrittori serbi dell'epoca, Laza Kostić (1841-1910), che scrisse per la «Revue internationale» una corrispondenza dal piccolo principato. La carriera di scrittore di Kostić va di pari passo a quella, assai burrascosa, di politico, diplomatico e in generale di attivista per l'unità e l'indipendenza degli slavi meridionali. In tale veste politico-diplomatica egli fu lungo tempo in servizio a Cetinje, dove nell'agosto 1884 incontrò la principessa Dora d'Istria, grande amica di De Gubernatis e legata da motivi familiari ed affettivi al mondo serbo.[55] Fu Dora d'Istria a proporre a Kostić una collaborazione alla «Revue internationale», e con questa premessa lo scrittore si rivolse a De Gubernatis:
Monsieur le Directeur,
Je Vous prie de vouloir bien arranger de la suite qua la lettre ci-jointe parviènne à vos adresse au plus tôt.
Je n’aurais pas eu la hardiesse de vous importuner de cette corvée, si le séjour actuel de Dora d’Istria ne m’était inconnu, et puis, si je n’avais quelque raison à espérer que cette épître pourrait, peut-être, profiter à votre Revue.
Agréez, Monsieur le Directeur, l’assurance de ma consideration respectueuse.
Cétinié (Monténégro), le 24 août 84
Dr Lazare Kostitch[56]
La sua Lettre du Monténégro venne puntualmente pubblicata nel fascicolo di ottobre del 1884 («Revue internationale», IV,2, pp.260-266). Rimase comunque un episodio isolato, l'ennesimo nella storia della «Revue internationale».
Anche Giovanni Nikolić mise De Gubernatis in contatto indiretto con il Montenegro e con il suo principe Nikola Petrović, cui aveva dedicato la propria raccolta di canti epici tradotti. Proprio per il suo "povero libro", il principe di Montenegro "degnossi di conferirmi l'ordine di Danilo. E il Principe-poeta, mi scrive: ella avrà pur troppo d'attendere qualche mese, avendo iniziato pratiche col Gabinetto Austro-Ungarico".[57]
Anche negli anni successivi Nikolić rimase legato al principe Njegoš, del quale tradusse nel 1898 il dramma Imperatrice dei Balcani. Tradusse inoltre il Gorski vienac del più illustre Petar Petrović, lavoro che volle dedicare a De Gubernatis.[58] Anche lo stesso De Gubernatis fu insignito nel 1900 dell'ordine di Danilo: lo si apprende da una lettera del console generale di Montenegro a Roma, l'avvocato Eugenio Popovich, che annuncia l'intenzione di Nikola Petrović di conferirgli tale ordine.[59] Eugenio Popovich (1844-1931), triestino di lontane origini montenegrine, svolgeva in quegli anni una funzione di ponte fra l'Italia e la Slavia meridionale, in particolare il Montenegro da cui era venuta nel 1896 la regina Elena. Popovich era comunque italianissimo e fervente irredentista, come specificava in una lettera:
Circa alla mia modestissima persona, è mio dovere dire subito che il console del Montenegro non c'entra per nulla, ma bensì il cittadino italiano Popovich, di famiglia 300 anni or sono originaria del Montenegro, ma poi scesa in Italia in servigio della Republica veneta; che sono nato a Trieste, dove mio zio fu per 14 anni Podestà, capo dell'elemento nazionale; che ho fatto tutte le campagne d'Italia, eccetto il 59; che ho 36 anni di giornalismo patriottico...[60]
I contatti di Popovich con De Gubernatis, abbastanza intensi nei primi anni del Novecento, ebbero origine dagli interessi slavi di entrambi, e si cementificarono quando nel 1903 De Gubernatis lanciò una nuova campagna personale in difesa degli italiani sudditi dell'Austria, analogamente a quanto era avvenuto nel 1888 con la «Rivista contemporanea»: di fronte all'imbarazzo ostile delle autorità italiane, legate da alleanza con gli imperi centrali, la causa degli irredentisti era divenuta impopolare. Popovich definiva se stesso e De Gubernatis, per questo motivo, dei "perseguitati", "iscritti sullo stesso libro" delle polizie di qua e di là delle Alpi Giulie.[61] In effetti, De Gubernatis nel novembre del 1903 aveva scatenato un autentico caso, che i giornali dell'epoca avevano lanciato per qualche tempo in prima pagina sotto l'etichetta di "fatti di Innsbruck". I "fatti" si erano svolti in questo modo: De Gubernatis era stato invitato da un'associazione di studenti italiani, dell'università di Innsbruck (la "Società degli studenti trentini"), ad inaugurare con un ciclo di conferenze una cosiddetta "università italiana" autogestita, espressione del crescente irredentismo trentino. Il professore aveva accettato solennemente, dando alla propria missione una pubblicità che, ovviamente, non poteva non inquietare le autorità austriache. In un clima di altissima tensione, De Gubernatis arrivò ad Innsbruck il 19 novembre 1903. Le autorità gli negarono la possibilità di tenere le proprie conferenze in lingua italiana, mentre la comunità degli studenti italiani, nonostante fosse stata decimata dagli arresti, festeggiava comunque la visita del celebre erudito. Ma la situazione peggiorò ulteriormente e raggiunse l'apice della crisi al momento della partenza di De Gubernatis. Riprendo la cronaca dei fatti da un trafiletto del neutrale «Courrier de Presse» datato 29 novembre 1903:
Le départ d'Innsbruck du professeur italien de Gubernatis, appelé, comme on le sait, dans cette ville pour inaugurer l'Université libre italienne, a donné lieu à des tristes incidents.
Des étudiants autrichiens, au nombre de plusieurs centaines, s'étaient donné rendez-vous à la gare et le sifflèrent outrageusement; malgré les autorités, quelques-uns réussirent à pénétrer dans la salle d'atteinte et crièrent à l'éminent professeur toutes sortes d'injures et de mot de: «Pereat!» c'est à dire: «Mort!»; un étudiant osa même décharger sur lui son revolver sans pourtant l'atteindre.
Les quelques étudiants italiens qui avaient été seuls autorisés à acompagner leur illustre compatriote jusqu'à la gare fyrent contraints de le quitter avant le départ et de rentrer chez eux sous les injures et les horions; il fallut l'intervention de nombreuses forces militaires pour les empêcher d'être lynchés.[62]
I "fatti di Innsbruck" suscitarono manifestazioni di protesta dai toni nazionalistici in tutta Italia, e richiamarono su De Gubernatis la solidarietà di molti italiani d'Austria, oltre che quella del paese. Non mancarono anche le critiche al suo viaggio, che era stato un atto di sfida e di provocazione: era prevedibile che, per quanto di carattere dichiaratamente pacifista, avrebbe generato delle reazioni violente, anche se forse non ci si aspettava che lo sarebbero state fino a questo punto. Purtroppo l'Europa andava incontro fatalmente alla prima guerra mondiale, di cui queste scaramucce costituivano le avvisaglie.
- La devozione quasi fanatica nei confronti del "maestro" Tommaseo, che, come detto in precedenza, accoglieva con un certo fastidio lo zelo invadente del sedicente discepolo, non invogliò De Gubernatis ad approfondire l'aspetto specificamente dalmata di Tommaseo. Del resto, negli ultimi anni di vita del poeta di Sebenico le seduzioni panslavistiche e italo-slave avevano ormai perduto per lui ogni attrattiva, e l'elemento slavo aveva ceduto definitivamente il posto a quello italiano. Più che naturale che nel loro scambio epistolare non vi siano riferimenti slavi, e che negli scritti di De Gubernatis dedicati a Tommaseo non venga fatto più che qualche doveroso ma vago accenno alla patria del venerando poeta.
- Franjo Rački (1828-1894), storico, uno dei più illustri intellettuali croati dell'800, ideologo dell'unità degli slavi meridionali e primo presidente della Accademia delle scienze e delle arti di Zagabria.
- L.Leger, s.d. [Paris, 1878], BNF, cart.cit.
- F.Rački, Zagabria, 2/12 1878, BNF, cart.DG, 104,8.
- ibid.
- F.Rački, Zagabria, 15 Gennaio 1879, BNF, cart.cit.
- F.Rački, 27 Gennaio 1884, Zagabria, BNF, cart.cit.
- A giudicare dalla scarsa consistenza di scritti magiari sulla «Revue», per lo più brevi corrispondenze periodiche del conte Géza Kuun, bisogna concludere che l'adesione dell'accademia ungherese alla rivista fu poco più che simbolica, una sorta di abbonamento speciale.
- In questo modo, il compenso per le corrispondenze non sarebbe stato a carico della «Revue», che si trovava sin dall'inizio della sua esistenza in condizioni di ristrettezza finanziaria.
- Pubblicata nel fascicolo III,1 (J.Staré, Lettre d'Agram , agosto 1884, pp.703-706).
- F.Rački, Zagabria, 6 Luglio 1884, BNF, cart.cit.
- «Rev.int.», V,3, pp.355-366.
- Vedi F.Rački, Zagabria 12 Decembre 1884, BNF, cart.cit.
- «Rev.int.», II,6, giu.1884, pp.808-818.
- M.Čop, Budapest 14/2 84, BNF, cart.DG, 30,71.
- M.Čop, Budapest 19/2 84, BNF, cart.cit.
- M.Čop, Budapest 28 Fev. 84, BNF, cart.cit.
- M.Čop, 14/3 84, BNF, cart.cit.
- ibid.
- M.Čop, 17/5 84, Budapest, BNF, cart.cit.
- M.Čop, Bpest 30/3 84, BNF, cart.cit.
- M.Čop, Budapest 21/6 84, BNF, cart.cit.
- Vedi DG, La Hongrie politique et sociale , Florence, 1885, pp.36-37.
- J.Šuman, Die Slovenen , Wien, 1881. De Gubernatis recensì il volume sulla «Nuova Antologia» ("Rass.lett.stran.", gen.1882, pp.347-352), approfittando per tenere un resoconto sull'attività culturale slovena e sui suoi rappresentanti che valse a colmare in qualche modo la lacuna del Dizionario .
- V.Zarnik, BNF, cart.DG, 101,58.
- DG, La Serbie.. ., cit. , p.308.
- DG, La Hongrie.. ., cit. , p.43.
- Vedi Albo di onoranze internazionali a Cristoforo Colombo , iniziato da Angelo De Gubernatis e Cecilio Vallardi, Roma-Milano, 1892, pp.125-132.
- Vedi ibid. , p.295.
- «Riv.eu.», lug.1873, pp.416-417; Contes populaires de la Russie recueillis par M.Ralston et traduits par M.Loys Bruyere, ibid. , nov.1874, pp.590-591.
- A.De Gubernatis, recensione a La Russie Épique par Alfred Rambaud, ibid. , apr.1876, pp.389-391. Tanto William Ralston (1828-1889), studioso del British Museum, che il pubblicista francese Alfred Rambaud (1842-1905) furono in corrispondenza con De Gubernatis, che ne citò più volte i lavori sulle pagine della «Nuova Antologia». All'uscita della Zoological Mythology di De Gubernatis, Ralston aveva a sua volta recensito l'opera sull' «Atheneum» di Londra; nonostante l'ammirazione per uno studio così ingente, per lettera lo studioso inglese aveva espresso a De Gubernatis una critica molto lucida all'impianto mitologico che reggeva la Zoological : «I am only a learner when you are a teacher, but my impression is that "folk-tales" can not be explained as "nature-myths" except in rare cases. I quite believe that many of theme are founded on "solar myths", but I think their original meaning has been rendered all but undiscoverable by the changes through which they have passed» (W.Ralston, British Museum, Janr. 4. 1872, BNF, cart.DG, 104,39).
- «N.A.», "Rass.lett.stran.", dic.1882, pp.537-553. De Gubernatis riporta a mo' d'esempio una breve "novellina" slovena.
- P.Cassandrich, Zara, Dalmazia, 4/II 83, BNF, cart.DG, 25,45.
- P.Cassandrich, Zara, 6/I 84, BNF, cart.cit.
- ibid. Nel vol.V, Storia dell'epica (Milano, 1883), De Gubernatis aveva trattato sinteticamente anche dell'epica serba, servendosi di opere di Leger e Courrière e di varie traduzioni, fra cui quella del Cassandrich.
- DG, Florilegio epico , Milano, 1883, pp.371-378.
- G.Chiudina, Canti del popolo slavo , 2 voll., Firenze, 1878.
- G.Chiudina, Spalato li 19/3 79, BNF, cart.DG, 28,14.
- G.Nikolić, Zara 12-7-94, BNF, cart.DG, 92,26.
- G.Nikolić, Zara 9 Agosto 1894, BNF, cart.cit.
- Il poeta Medo Pucić, in italiano Orsatto Pozza, (1821-1882), che si adoperò molto per creare contatti fra la cultura italiana e quella slava meridionale.
- G.Nikolić, Zara 30/8 1894, BNF, cart.cit.
- G.Sabalich, 30-I-88, Zara, BNF, cart.DG, 110,3. Girolamo Zarbarini era uno scrittore di Spalato. A dispetto delle preferenze di Sabalich, sia Zarbarini che Chiudina trovarono posto nel Dictionnaire .
- Vedi G.Chiudina, Spalato 18/IV 88, BNF, cart.DG, 28,14.
- ibid.
- G.Sabalich, Zara 13 febbr. [1888], BNF, cart.cit. C. era ad ogni modo un italiano. Nella sua prima Cronaca goriziana aveva esposto il problema degli attriti italo-slavi nella regione, lamentando che i croati erano prepotenti e toglievano diritti agli italiani, ed evidenziando con un certo disprezzo che le città, tutte italiane, erano circondate e soffocate dalle campagne, abitate dagli slavi («Riv.cont.», feb.1888, pp.362-365).
- L'editore della «Rivista contemporanea».
- G.Sabalich, Zara 21 giugno [1888], BNF, cart.cit.
- Vedi G.Sabalich, Zara 19 agosto 88, BNF, cart.cit.
- G.Sabalich, Zara 26 ottobre 88, BNF, cart.cit.
- G.Sabalich, Zara 12 sett.90, BNF, cart.cit.
- BNF, cart.DG, 87,76.
- Dalla firma, poco chiara, il ginnasiale sembrerebbe chiamarsi Kleanthes (BNF, cart.DG, 87,76).
- Fu incaricato di redigere il nuovo codice giuridico Valtazar Bogišić, professore di diritto all'università di Odessa (vedi L.L., "Notizie letterarie slave", «Riv.eu.», ott.1873, p.408).
- In una nota autobiografica, la stessa Dora d'Istria spiegava i propri complessi legami slavi: «Par mon mariage avec un Rurikovitch [il principe Masal'skij], ils ont [i Ghika] commencé à avoir des relations avec la principale des nations slaves. Déjà il y avait des alliances avec les Šintzu, qui sont d'origine bulgare. Il est si évident que j'ai défendu les droits des peuples de la famille slave, comme ceux des nations de la famille pélagique, que le National de Zara, qui a traduit la Nationalité serbe et L'insurrection des Serbes , et qui est rédigé par des slavophiles, déclarait que la Serbie , lorsqu'elle viendrait à songer à ses défenseurs, devrait comme la Grèce me donner la grande naturalisation» (Dora d'Istria, s.d. s.l., BNF, cart.DG, 150,1, f.108 [ill.] ).
- BNF, cart.DG, 71,48.
- G.Nikolić, Zara 9 Agosto 1894, BNF, cart.DG, 92,26.
- Vedi G.Nikolić, Zara 12-4-98, BNF, cart.cit.
- Vedi E.Popovich, Roma 29 ott. 1900, BNF, cart.DG, 139,1 [Ambasciate], f.43.
- E.Popovich, Roma 6 Nov.03, BNF, cart.DG, 101,58.
- E.Popovich, Roma, 24 Aprile 1904, BNF, cart.cit.
- «Le Courrier de Presse», 29 nov. 1903.
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