Antonio D’Alessandri

Le idee politiche nella storia del Principato di Serbia prima dell’indipendenza: alcune riflessioni

1. Introduzione

2. Percepirsi diversi dal dominatore turco: l’autocoscienza nazionale.

3. Gli Ustavobranitelji e il pensiero di Ilija Garašanin.

4. La trasformazione politica della Serbia: tra liberalismo e socialismo.


1. Introduzione

Lo scopo di questo studio è quello di tracciare un rapido quadro delle idee politiche nella Serbia del secolo XIX fino al 1878, anno della completa indipendenza politica.

Queste riflessioni si inquadrano nell’ambito di un progetto di ricerca più ampio che si intende approfondire in futuro. Esse hanno dunque un carattere provvisorio e tentano soprattutto di elencare i nodi cruciali e le questioni maggiori che si possono riscontrare nella storia del piccolo principato balcanico e nelle idee dei maggiori esponenti della politica e della cultura del tempo.

Primi fra le popolazioni dei Balcani, i serbi nel 1804 insorsero contro i turchi. In una prima fase della rivolta, che fu guidata fino alla sua conclusione nel 1813 da Đorđe Petrović detto Karađorđe, essi non insorsero contro la lontana figura del sultano ma contro le truppe di occupazione della Šumadija (la regione a sud di Belgrado), i giannizzeri, che si erano resi protagonisti di ogni tipo di abuso ai danni della popolazione civile[1].

Sulle radici della prima insurrezione serba la storiografia si trova d’accordo nell’affermare che esse furono di matrice sociale mentre solo in una seconda fase la rivolta si trasformò in guerra aperta contro l’autorità del sultano. Sconfitti nel 1813, i serbi insorsero di nuovo nel 1815 sotto la guida di Miloš Obrenović che riuscì ad ottenere ampi margini d’autonomia dalla Porta e la costituzione di un governo autonomo con egli stesso a capo in qualità di principe ereditario. Era nato il Principato autonomo di Serbia[2].

Sebbene queste prime rivolte nazionali furono dunque essenzialmente di tipo sociale, ad esse non furono estranee delle motivazioni ideali soprattutto per quanto concerne il processo di elaborazione di autocoscienza nazionale. Si tratta principalmente di fattori religiosi, culturali e linguistici che individuano e aiutano a definire un popolo come nazione e che trovarono il terreno fertile per affermarsi attraverso gruppi politici sensibili a queste istanze e pronti a tradurre in iniziative concrete l’ormai acquisita autocoscienza nazionale. Successivamente, una volta nato lo Stato serbo, le élites al potere, sebbene in maniera piuttosto occasionale e discontinua, elaborarono delle idee politiche che ebbero notevole influenza sulla storia del Principato.  

Osserva Charles Jelavich[3], in un suo originale studio sui libri di testo usati nella seconda metà del XIX secolo dagli alunni delle scuole serbe, croate e slovene, come in Serbia, negli anni compresi fra i governi di Miloš Obrenović e Aleksandar Karađorđević, ossia gli anni compresi tra il 1815 (quando scoppiò la seconda rivolta nel paşalik di Belgrado) al 1858 (anno in cui fu deposto il Karađorđević), fu definito un “programma nazionale”. In pratica, in quegli anni, i serbi acquisirono una maggiore coscienza delle loro caratteristiche in quanto nazione e tradussero questo dato in un programma politico molto preciso che avrebbe dispiegato i suoi effetti lungo tutto il percorso del secolo XIX e per buona parte del XX. Tale programma nazionale costituì il “filo rosso” della politica interna ma soprattutto estera del Principato autonomo e, poi, del Regno di Serbia. Artefici di questa elaborazione ideale furono, secondo il giudizio di Jelavich, da un lato il poliedrico intellettuale serbo Vuk Stefanović Karadžić, e, dall’altro, il maggiore uomo politico che la Serbia abbia avuto nell’Ottocento: Ilija Garašanin. Dunque elementi di tipo culturale e di tipo politico che fornirono all’élite di governo il bagaglio ideologico alla base delle proprie azioni positive. Non bisogna tuttavia dimenticare che la classe dirigente serba era alla guida di un Paese notevolmente arretrato rispetto al resto dell’Europa e che tutti i fenomeni di cui si rende conto in questo studio furono fenomeni di tipo elitario. La maggioranza della popolazione nella prima metà dell’Ottocento era formata da contadini e soprattutto da allevatori di maiali. Era questa l’attività più diffusa fra i serbi e spesso chi riusciva ad arricchirsi attraverso questo commercio diventava anche una delle figure pubbliche più influenti[4]. I protagonisti della prima fase della storia di questo Paese, quella delle insurrezioni e della costituzione di uno Stato autonomo, furono principalmente mercanti arricchiti, hajduci e contadini e per la gran parte analfabeti. Chi ne aveva le possibilità riuscì a far educare i propri figli, perlopiù all’estero, i quali, al loro ritorno, si misero alla guida del Paese nei decenni successivi.

2. Percepirsi diversi dal dominatore turco: l’autocoscienza nazionale.

Federico Chabod osservava che “la nazione, prima semplicemente sentita, ora (nell’Ottocento, n.d.r.) sarà anche voluta”; e non mancava poi di precisare che “in questo sta il quid novi che differenzia profondamente, sostanzialmente l’idea di nazione dell’Ottocento da quella settecentesca” [5]. Ai nostri fini è importante osservare che, nel caso della Serbia, una preesistente tradizione nazionale fondata su caratteristiche di tipo storico, religioso e culturale si salda ad una sempre crescente abilità politica delle nuove classi borghesi che premevano per porsi alla guida della loro nazione.

Indagare le modalità attraverso le quali avvenne il “risveglio” nazionale dei serbi, nel senso di unione di azione politica e istanze culturali preesistenti, significa prendere in esame le componenti più rilevanti della loro storia, della loro cultura e della loro tradizione, ovvero enucleare alcuni dei fattori più significativi della loro civiltà.

A tal fine è utile prendere in esame la tradizione mitico-religiosa della Chiesa ortodossa, il ruolo svolto dall’opera linguistica e letteraria del già menzionato Vuk Stefanović Karadžić e dare conto del ruolo svolto dalla comunità di villaggio, la zadruga.

Sebbene sia chiaro che le motivazioni delle insurrezioni non furono ideali ma molto più contingenti e legate al benessere materiale e alla sicurezza propria e della propria comunità, non si può negare che i vari fattori della cultura serba permisero a coloro che insorsero contro il potere ottomano di percepire se stessi come un’entità ben definita e con delle precise caratteristiche che nulla avevano a che vedere con quelle di coloro che li dominavano. In altre parole attraverso la religione, la lingua, le tradizioni i serbi presero coscienza di sé come nazione nettamente diversa dalla turca. Lo studioso statunitense Gale Stokes ha sostenuto che il XVIII secolo, la prima rivolta e il periodo di Miloš Obrenović furono privi delle caratteristiche del nazionalismo, modernamente inteso. Gli scrittori del Settecento erano stati dei personaggi illuminati le cui idee circolavano presso un pubblico ridotto; Karađorđe e il suo entourage pensarono in primo luogo ad opporsi all’oppressione turca e poi a stabilire una loro personale autorità posta sotto la protezione di qualche altro potere; e Miloš cercò di arricchirsi il più possibile governando sull’esempio di modelli rintracciabili nel sistema ottomano[6]. Quindi fu solamente dopo gli anni Quaranta che i serbi iniziarono ad utilizzare il concetto di nazione in senso ideologico. Nei primi tre decenni del XIX secolo la nazione era solo un sentimento che essi percepivano e che le classi dirigenti dei decenni successivi seppero trasformare in un programma politico preciso. Del resto la leadership politica e militare della sollevazione condivise un orientamento psicologico e ideologico che poteva essere descritto come provinciale piuttosto che nazionale e ciò fu dovuto principalmente al fatto che quando l’autorità ottomana nella provincia crollò nel 1804, la creazione di un sostituto civile e militare si presentò come una necessità nell’intento di prevenire lo scoppio di un’anarchia delle campagne[7].

Per tutto il periodo in cui la Serbia fu dominata dall’Impero ottomano, dunque circa dalla metà del XV secolo fino agli inizi del XIX, non ci fu alcun segno di vitalità culturale, non esistevano scuole e soprattutto non esisteva un ceto intellettuale. Ciò avvenne essenzialmente a causa delle condizioni di arretratezza economica della popolazione del luogo, ma soprattutto per l’estremo isolamento dal resto dell’Europa in cui vivevano gli abitanti di queste regioni. La società serba in età moderna era una società contadina molto povera e per nulla articolata. Non esisteva un ceto nobiliare e neanche uno borghese-mercantile[8]. I serbi si riconoscevano come appartenenti ad una stessa comunità grazie alla loro Chiesa e alla loro lingua. E’ solo nel corso del XVIII secolo che iniziarono ad avvertirsi i primi segni di risveglio culturale provenienti dalla Vojvodina in Ungheria e in particolare da Novi Sad, la cosiddetta “Atene serba”. E’ qui che prese il via un rinnovamento culturale che si concretizzò nell’apertura di una scuola serba nel 1790 a Sremski Karlovci e nel 1810 a Novi Sad mentre a Vienna nel 1791 apparve il primo giornale in lingua. Se a sud del Danubio esisteva una società arcaica e rurale, i serbi d’Ungheria invece avevano dato vita a una società più dinamica e in espansione che non escludeva una pur sempre persistente realtà contadina che affiancava la presenza di un’embrionale classe media composta in prevalenza da ufficiali e mercanti.

Fra coloro che dalla Vojvodina si trasferirono al di là del Danubio ci fu anche il celebre intellettuale Dositej Obradović che costituì il trait-d’union fra la cultura dei Lumi e i serbi[9]. L’Obradović non volle creare, ma volle comunicare agli altri quanto da altri aveva imparato per educare ed erudire il popolo. Duplice è stata la personalità di questo intellettuale: da un lato abbiamo il razionalista, dall’altro il patriota. Egli fu tuttavia interprete non di un razionalismo fine a se stesso, ma sostenitore dell’uso della ragione e della ricerca della verità per dare benessere, cultura e felicità al popolo. Fu, pur essendo profondamente cristiano, sostenitore di una cultura laica e aspramente critico nei confronti della Chiesa, vista da lui come responsabile dell’ arretratezza culturale e dello stato di ignoranza del suo popolo. Il maggiore lascito di Dositej Obradović alla cultura politica del nazionalismo serbo e alla rinascita dei serbi come popolo fu quello di aver allontanato questi da un atteggiamento mentale di tipo feudale e bizantino di matrice medievale e di averli avvicinati alla cultura e alla civiltà europee occidentali[10]. Se Dositej Obradović fu l’iniziatore del rinnovamento culturale della popolazione serba e il tramite tra questa e la cultura illuministica, Vuk Stefanović Karadžić fu colui che, sulla scia della cultura romantica, può considerarsi il padre della moderna letteratura e della lingua dei serbi. L’opera di Vuk andò oltre un piano puramente linguistico e letterario e si pose anche come eminentemente politica e civile. Sono essenzialmente tre i punti in cui si è articolata l’importanza politica dell’opera del Karadžić: in primo luogo egli fece rivivere il linguaggio popolare serbo, poi gettò le basi culturali della cooperazione serbo-croata e infine, nel suo complesso, la sua opera favorì il riemergere della coscienza nazionale serba[11]. Ci fu pari importanza tra la battaglia culturale e la battaglia politica, e queste due finirono per confondere le loro prospettive. Infatti, come ha osservato Ivo Frangeš, un popolo libero deve esprimersi per mezzo delle proprie tradizioni; per poterlo fare il popolo serbo doveva sostituire la lingua artificiale, élitaria della tradizione slava ecclesiastica, col più bello, più ricco e più “democratico” parlare popolare. La cultura serba poteva rinascere e diventare proprietà del popolo soltanto se vissuta ed espressa nella lingua viva, lingua che nei mirabili canti popolari aveva già dato prove sufficienti del proprio valore[12]. Il fatto che il Karadžić accettasse l’idea europea del tempo che la nazione venisse identificata dalla lingua aveva delle implicazioni ideologiche molto forti, che costituirono uno dei lasciti più rilevanti di Vuk alla formazione di un’articolata ideologia nazionalistica serba.

E’ del 1836 (ma fu pubblicato solo nel 1849) il famoso articolo dal titolo Srbi svi i svuda traducibile all’incirca “serbi (sono) tutti e dappertutto”. In questo articolo egli sostenne che i serbi si trovavano in tutti i territori in cui si parlava il dialetto stokavo, l’unico che poteva fungere da lingua comune per gli slavi del Sud. Quindi la nazione serba si estendeva, secondo lui, anche a Croazia, Slavonia, Dalmazia, Istria, Bosnia, Erzegovina, Vojvodina[13]. Egli sosteneva questa sua tesi, oltre che con argomentazioni linguistiche, screditando l’importanza del fattore religioso nell’individuazione di una nazione: infatti come i tedeschi, ad esempio, parlano una lingua comune ma sono divisi religiosamente fra cattolici, luterani e calvinisti, argomentava Vuk, così tutte le popolazioni parlanti il dialetto stokavo sono serbe nonostante la divisione fra cattolici, ortodossi e musulmani: è la famosa tesi dei serbi dalle tre religioni[14]. Attraverso questi suoi scritti il Karadžić fu uno dei principali artefici della creazione di un moderno programma nazionale serbo, fornendo ai suoi connazionali un senso di unità culturale, linguistica e letteraria[15]. Inoltre egli presentò la Serbia all’Europa attraverso il biglietto da visita della poesia popolare, la quale, insieme alla Chiesa ortodossa, costituiva uno degli strumenti per mezzo dei quali fu preservata, nel corso dei secoli, l’identità nazionale dei serbi. Essa celebrava le antiche glorie dello Stato serbo medievale, nonché le virtù umane e le abilità della popolazione serba. Si trattava di canzoni mandate a memoria dai contadini e dai loro figli, perpetuando nei secoli la grandezza dei serbi e contribuendo alla loro individuazione come nazione.

E’ quindi stata enorme l’opera di Vuk Stefanović Karadžić nella sua vastità e grandiosa è rimasta nei suoi effetti nel corso dei decenni. A lui i serbi devono la funzione letteraria del loro dialetto nativo e il perfezionamento della loro ortografia, nonché l’importantissima valorizzazione della poesia popolare e l’influenza enorme che essa ha avuto nel rafforzamento della coscienza nazionale e nella formazione della letteratura moderna.

Un ulteriore elemento che ha contribuito alla definizione e all’individuazione dei serbi come nazione è stato quello religioso, in particolare la Chiesa ortodossa. Essi si sentivano uniti in uno stesso gruppo per la religione e l’organizzazione ecclesiastica comune oltre che per la cultura e la lingua. L’egemonia religiosa del clero serbo si traduceva anche in egemonia politica, dal momento che la Chiesa era l’unica realtà nazionale istituzionalizzata capace di poter svolgere, seppur limitatamente, quelle funzioni proprie di un governo civile, che in quel periodo in Serbia ancora non esisteva. Dalle vicende storiche del periodo medievale, tramandate, trasfigurate e mitizzate dagli ecclesiastici, la Chiesa trasse la sua legittimazione a condurre un’importante missione nazionale. Ciò significa che la Chiesa ortodossa serba “ha creato, esaltato, diffuso il culto religioso della nazione”[16]. Dunque anche in Serbia, come in altri Paesi, l’ortodossia ha mostrato un’unità fra nazione e religione sconosciuta ad altre confessioni; ciò accadde essenzialmente per tre motivazioni: la prima fu il porsi delle Chiese ortodosse come soggetto politico, la seconda il costituirsi come fattore di identità per molti popoli ai quali hanno dato una cultura, un idioma e coscienza di sé, la terza fu data dal ruolo giocato dalle Chiese ortodosse nel preservare la cultura di un popolo evitandone l’assimilazione da parte di etnie conquistatrici[17].

Terzo elemento che ha contribuito in maniera fondamentale alla determinazione dell’identità nazionale dei serbi fu la rete delle piccole comunità di villaggio all’interno delle quali gli individui si identificavano in un soggetto comune nettamente distinto da tutto ciò che lo circondava, ad eccezione chiaramente delle altre comunità. I serbi, infatti, disponevano di una fitta trama di organizzazioni di carattere politico-familiare, che definivano la loro società come patriarcale e contadina. L’unità di base di questo sistema era la zadruga, ossia una famiglia ampia, aperta, composta da più microunità familiari, stabile nella ricchezza e nel possesso dei propri beni[18]. L’insieme di più zadruge formava una comunità di villaggio, con i suoi capi locali, e più villaggi costituivano la knežina, l’unità di base della Serbia ottomana, la quale disponeva di un’assemblea dei rappresentanti dei villaggi che eleggevano il proprio capo, il knez, un leader contadino solitamente benestante, al quale veniva demandato il compito di mantenere i contatti con le autorità ottomane, di raccogliere le tasse da pagare al sultano e di mantenere l’ordine e la sicurezza nei propri distretti.

Questi tre elementi sono di notevole importanza nella percezione che la popolazione serba e la classe dominante avevano di sé come nazione. Essi tuttavia non esauriscono il problema. Infatti nell’individuazione della nazionalità serba influiscono numerosi altri fattori, ad esempio di matrice storica ed economica. Tuttavia quelli presi in esame costituiscono il sostrato culturale più cospicuo sul quale i serbi hanno acquisito coscienza di sé e sul quale hanno costruito il loro Stato e impostato le lotte politiche degli anni successivi.

3. Gli Ustavobranitelji e il pensiero di Ilija Garašanin.

L’élite di governo del neonato Principato era davvero esigua. Si trattava per lo più dei notabili protagonisti delle insurrezioni o di persone che avevano fatto fortuna sotto il regno di Miloš Obrenović ed erano tutti di origine contadina.

A partire dagli anni Trenta del XIX secolo, la lotta tra il principe e i maggiorenti dissidenti sarebbe diventata il tema centrale della storia politica serba per molti decenni a seguire tutti gli scontenti (notabili gelosi, amministratori maltrattati, mercanti rovinati dai monopoli di Miloš, nonché il clan dei Karađorđević) crearono un vasto fronte di opposizione al knez supremo, ponendosi come obiettivo politico primario la promulgazione di una costituzione ustav, con la quale poter arginare lo strapotere del principe e creare delle nuove figure di governo. Essi si presentavano come i difensori della Costituzione, da cui il nome Ustavobranitelji. Si trattava del primo embrionale partito politico ante litteram in Serbia. La maggior parte dei componenti di questa fazione erano espatriati e facevano opposizione dall’estero. Tra le figure più rilevanti fra i difensori della Costituzione c’erano Toma Vučić-Perišić (chiamato comunemente soltanto Vučić), Avram Petronijević e Ilija Garašanin. Dopo una lunga lotta il 24 dicembre del 1838 la Porta proclamò formalmente la nuova Costituzione in forma di hatt-i-şerif indirizzato a Yusuf pascià, governatore della fortezza di Belgrado, e al principe Miloš. In Belgrado, nella fortezza turca di Kalemegdan, fu solennemente proclamato l’hatt-i-şerif del sultano: era il 13 febbraio del 1839[19]. La Costituzione del 1838 sarebbe restata in vigore per tre decenni, fino al 1869, quando ne fu emanata una nuova[20].

L’effetto principale della Costituzione fu la limitazione del potere del principe Miloš e il suo inarrestabile isolamento politico e il conseguente declino. Infatti con l’istituzione di un Consiglio di governo, il Savet, che avrebbe affiancato il principe nella gestione delle cose pubbliche, il potere era stato diviso fra quest’ultimo e il Consiglio. Dopo l’abdicazione di Miloš nel 1839 e la salita al potere di Aleksandar Karađorđević nel 1842, si apriva il periodo dell’egemonia degli Ustavobranitelji, che sarebbero rimasti al potere fino al 1858. Avram Petronijević divenne primo ministro e tutti i maggiori esponenti degli Ustavobranitelji andarono a ricoprire importanti incarichi di governo. I “Difensori della Costituzione”, come si è detto, possono essere considerati il primo partito politico serbo in quanto essi andarono al di là delle cospirazioni e delle ambizioni personali, che peraltro furono presenti nella loro azione e si fecero portatori di un programma politico ben preciso, ostile all’assolutismo monarchico, ma che soprattutto proponeva la sovranità della legge scritta come base e premessa per lo sviluppo di una Serbia moderna, europea e civile[21].

Gli Ustavobranitelji possono essere ricondotti nell’area del pensiero liberale in quanto il loro programma si articolava intorno a tre questioni maggiori: oltre all’affermazione della sovranità della legge, a cui si è già fatto cenno, essi insistevano molto sulla necessità di liberalizzare il commercio e sviluppare l’economia e infine sull’educazione sistematica del popolo attraverso l’istruzione pubblica. Tuttavia nella storia della Serbia del XIX secolo quando si parla di liberali si fa riferimento alla generazione successiva e a figure come Vladimir Jovanović di cui si parlerà più avanti. Bisogna dunque fare attenzione nell’uso dei termini.

A proposito della questione riguardante l’istruzione pubblica, c’è un punto di notevole interesse riguardante una delle riforme volute dai Costituzionalisti. Si tratta dell’istituzione della cattedra di lingua francese nel 1839-40 presso la Velika škola di Kragujevac (fondata nel 1838). Questa decisione diede un forte impulso all’evoluzione del pensiero politico poiché il contatto con la lingua e la letteratura francesi fu il primo passo verso la conoscenza degli scritti politici di quel Paese e un motivo, per chi si occupava di studi tecnici e scientifici, per recarvisi per un soggiorno di studio e di perfezionamento. L’invio di studenti serbi a studiare all’estero divenne una pratica regolamentata e il governo istituì delle borse di studio per permettere ai giovani di svolgere i propri studi nelle università europee. Dopo le proteste del console russo che si era lamentato del fatto che gli studenti inviati in Europa occidentale tornassero con la testa piena di “pericolose” idee liberali e democratiche, il governo serbo dal 1849 inviò un numero maggiore di studenti in Russia nei seminari di teologia. Ma l’effetto fu quello che i ragazzi tornavano imbevuti delle teorie di Herzen piuttosto che di dottrine teologiche[22].

In ogni modo coloro che avevano studiato in Francia furono il tramite tra la cultura, le istituzioni e le dottrine politiche francesi e la Serbia. Essi introdussero un nuovo approccio alla vita politica della Serbia del tempo, che era stata fino ad allora caratterizzata dai conflitti tra le oligarchie dei notabili, spesso degli anziani semianalfabeti, e dalle rivalità dinastiche, improntate a delle visioni politiche ristrette spesso determinate da gelosie personali[23].

In definitiva, dunque, tutti i problemi ai quali gli Ustavobranitelij e in particolare Ilija Garašanin, in qualità di ministro degli Interni, dovettero far fronte sono sostanzialmente riconducibili a quel fenomeno complesso chiamato processo di modernizzazione. I mali della Serbia verso la metà del XIX secolo stavano diventando dolori. Un’intera società stava sostenendo nell’arco di una o al massimo due generazioni quello sviluppo che gli Stati dell’Europa occidentale avevano vissuto in uno spazio temporale molto più ampio. Il regime degli Ustavobranitelij fu un ponte tra due modi di vita e tra un governo di tipo patriarcale e tradizionale e un governo, per così dire, civile. Inoltre esso fu ponte tra un’omogenea società rurale e una stratificata società di classi, fra un’economia di sussistenza e un’economia capitalistica e di mercato, fra una cultura orale, popolare e contadina e una cultura cittadina nella quale stava procedendo il processo di alfabetizzazione delle persone. In questo periodo, inoltre, prese piede la trasformazione della società serba attraverso il passaggio da una struttura collettiva di condivisione dei beni, rappresentato dal sistema delle zadruge a una dimensione sociale di carattere individualistico. Fondamentale, infine, il passaggio da una cultura politica di tipo “parrocchiale”[24], frammentata in particolarismi di tipo regionale e legata alle realtà delle comunità di villaggio, a una cultura politica maggiormente attenta all’omogeneità politica e culturale della nazione: ci fu il transito, ossia, dal regionalismo al nazionalismo. Il compito storico dei Costituzionalisti e, in particolare, del loro più illustre esponente, Ilija Garašanin, fu quello di trovare e utilizzare gli strumenti adatti a questo epocale cambiamento per la Serbia[25]. Non fu, questo, un compito facile, date le scarse risorse (umane, naturali e via dicendo) e il poco tempo di cui si poteva disporre per mettersi al passo con il resto d’Europa.

Nella generazione dei “Difensori della Costituzione”, Ilija Garašanin fu uno dei più giovani. Se, infatti, Petronijević nacque nel 1791 e Vučić nel 1787, ma riguardo a quest’ultimo la data di nascita non è sicura, Garašanin venne al mondo nel 1812 , quando la rivolta di Karađorđe era in corso e stava anche per volgere al suo epilogo. Egli, nonostante tale scarto generazionale, fu uno dei principali esponenti del suo schieramento, ma soprattutto fu il più importante statista della Serbia del XIX secolo. Proprio in virtù di questa differenza d’età, Ilija Garašanin non fu un rappresentante del passato rivoluzionario del suo Paese, poiché era troppo giovane per avervi partecipato attivamente, ma fu uno dei figli di quel passato e il simbolo della nuova generazione che si stava ponendo alla guida dello Stato[26]. A differenza di molti suoi colleghi, Garašanin non aveva studiato in Europa occidentale. Suo padre Milutin fece venire degli insegnanti per i propri figli dalla regione dello Srem, nella Serbia ungherese, e, quando si accorse delle capacità di apprendimento del giovane Ilija, decise di portarlo al di là del Danubio, in Austria, a Semlin[27], dove lo iscrisse alla scuola greca, e, dopo questa, alla scuola tedesca a Orahović. Non frequentò mai l’università; infatti tornò a Garaši, il villaggio in cui nacque, per aiutare il padre negli affari.

All’età di ventidue anni, Ilija Garašanin iniziò la sua carriera nell’apparato statale: nel 1834 prese servizio come doganiere a Višnjica, sul Danubio e poi a Belgrado, dove, nel 1837, fu nominato capo del neonato esercito nazionale, e, nel settembre dello stesso anno, membro del Savet, nomina, quest’ultima, di puro prestigio, poiché a quella data il principe ancora governava da solo e senza il concorso di questa istituzione voluta dalla Porta nell’hatt-i-şerif del 1830[28]. A soli venticinque anni Ilija Garašanin poteva tuttavia già vantare una buona e prestigiosa carriera al servizio dello Stato, nonché la conoscenza della lingua greca e della lingua tedesca. Egli potrebbe essere considerato uno dei simboli del passaggio dalla generazione della “vecchia Serbia” a quella nuova dei giovani che andavano a studiare all’estero, in Francia, in Russia oppure, come nel suo caso, in Austria, per poi tornare nel loro Paese per ricoprire importanti cariche pubbliche.

Fu verso la fine del 1844 che Ilija Garašanin formulò un programma, in serbo Načertanije, della politica estera e nazionale della Serbia. Esso era destinato ad avere lunga vita e ad informare di sé tutta l’azione politica del Principato che, quale “Piemonte” dei Balcani, si sentirà investito della missione di unificazione di tutti gli Slavi meridionali.

Sostanzialmente il Načertanije fu un documento finalizzato a stabilire le coordinate della politica estera della Serbia: esso fu sempre mantenuto segreto, non fu mai reso pubblico, fu una sorta di memorandum o, se si preferisce, di “manuale” per gli alti funzionari del giovane Stato serbo, alle cui direttive essi si sarebbero dovuti conformare nella loro azione di governo.

Garašanin aveva intuito l’ormai irreversibile declino del potere ottomano, ne prevedeva l’imminente crollo e considerava la Serbia il nucleo destinato a realizzare un più vasto Stato o soltanto serbo o unificatore di tutti i popoli slavi del Sud. La posizione geografica, le risorse e la storia di questo Paese sembravano renderlo particolarmente adatto a una missione e a un progetto di tal genere. Egli, fervente nazionalista, si distaccò nettamente, già nel 1843, dalle posizioni di coloro che si mostravano disponibili a subire la tutela di una Potenza straniera (generalmente Austria o Russia). Con il Načertanije egli propose per la Serbia una politica indipendente sia dall’una che dall’altra Potenza, mostrando tuttavia interesse ad una collaborazione con la Francia e l’Inghilterra.

Questo testo ha un’importanza fondamentale nella storia della Serbia del XIX secolo poiché costituisce il riferimento ideale e ideologico alla base di molte delle scelte della classe dirigente.

Le origini del Načertanije sono da rintracciare non solo nel quadro politico, culturale e ideologico fin qui delineato ma anche nell’azione politica del principe polacco Adam Jerzy Czartoryski che in quegli anni, al cospetto delle maggiori cancellerie europee, sosteneva l’idea dell’illegalità del potere russo ottenuto nel 1831 nel suo Paese, quando questi territori divennero “parte indivisibile” dell’impero russo in contrasto con i trattati di Vienna del 1815 che avevano istituito il Regno del Congresso. Il principe si proponeva di richiamare tutte le Potenze firmatarie dei trattati del 1815 alla loro comune responsabilità per la mancata osservanza delle promesse fatte ai polacchi, sollecitando così implicitamente una loro mediazione presso lo zar Nicola I[29]. Dopo il fallimento dell’insurrezione polacca del 1831 Czartoryski divenne uno dei più fieri oppositori della Russia. Egli sosteneva la causa della libertà dei popoli slavi, e in particolare delle popolazioni slave dei Balcani che si trovavano sotto il dominio ottomano, in chiave antirussa. Egli cercava, in questo modo, di opporre le aspirazioni di queste popolazioni all’estensione della supremazia zarista e di legarle strettamente alla questione polacca. Nel suo sistema di difesa degli interessi della Polonia, la questione d’Oriente e i problemi dei Balcani giocavano un ruolo fondamentale[30].

Fu nel gennaio del 1843 che Adam Czartoryski, su richiesta di alcuni esponenti politici serbi, ma anche per fornire un promemoria ai suoi agenti, stese i Conseils sur la conduite à suivre par la Serbie. In questo documento il principe polacco stabilì solamente le linee guida di quella che sarebbe dovuta essere la politica della Serbia, lasciando la definizione dei dettagli ai suoi agenti e a Garašanin al quale fu presentato. Le idee fondamentali contenute in questo testo sarebbero state di lì a poco incorporate nel Načertanije.

L’intreccio storico e culturale in cui ha messo radice la formulazione di questo testo fa dunque riferimento a due fonti: la prima, di tipo indiretto, è costituita dalla tradizione storica e culturale, e dall’esperienza rivoluzionaria, la seconda, di tipo diretto, è il prodotto delle influenze e delle proposte degli esuli polacchi guidati da Adam Czartoryski.

Nei Conseils sur la conduite à suivre par la Serbie veniva auspicato, essenzialmente, che la Serbia espandesse i propri confini fino al mare Adriatico, che assorbisse tutte le altre popolazioni slave dei Balcani soggette al dominio ottomano e fungesse da nucleo originario di un futuro Stato slavo del Sud[31].

L’interesse della Serbia, afferma Czartoryski, era “evitare l’influenza della Russia e approfittare della sovranità della Turchia”[32].

Fondamentale, per Belgrado, sarà la collaborazione con l’Inghilterra e la Francia[33]; in particolare con quest’ultima delle buone relazioni potrebbero essere instaurate sulla base dell’ampliamento delle relazioni commerciali, oltre che seguendo i consigli e le proposte da essa provenienti e inviando i propri giovani a studiare nelle scuole francesi. Un passo in particolare dei “Conseils” risulta significativo nel delineare lo sfondo su cui si sarebbero dovuti collocare i rapporti di collaborazione tra Serbia e Francia:

il faut que les Serbes soient convaincus que l’intéret politique de la France est de voir s’opérer l’émancipation nationale de tous les Slaves et d’aider au progrès de leur civilisation. L’intéret de la France est de pouvoir mettre à la place de l’Empire ottoman, lorsque son heure aura sonné, un Etat qui peut devenir son allié, or pour la formation de cet Etat elle préférerait à toute autre combinaison celle de la nationalité slave[34].

In altri termini, la politica di Czartoryski coincideva con quella della Francia: cooperare con le popolazioni cristiane dei Balcani in vista dell’unità degli slavi del Sud e preservare, per il momento, l’integrità dell’Impero ottomano.

Questi erano, illustrati a grandi linee, i progetti di Czartoryski per i serbi.

Verso la metà di ottobre 1843 il nuovo agente a Belgrado del principe polacco, František Zach, giunse in Serbia, dove sin dai primi giorni conquistò un’autorità che cresceva sempre più: era in costante contatto con i ministri e con le maggiori autorità presenti a Belgrado, era ammesso a corte e aveva frequenti incontri col principe.

Tra la fine del 1843 e gli inizi del 1844, Zach scrisse un “piano” che cercava di adattare alla realtà del piccolo principato le idee espresse da Czartoryski nei Conseils[35]. Il testo definitivo si articolava in cinque punti fondamentali:

1) unione degli Slavi del Sud in una monarchia costituzionale sotto la dinastia dei Karađorđević; 2) raggiungimento di tale obiettivo con una progressiva evoluzione della Turchia europea in una Stato slavo; 3) visione della Serbia come nucleo politico-diplomatico di questo futuro Stato; 4) unione della Bosnia alla Serbia e cooperazione di quest’ultima con i Croati in vista di un accordo religioso tra ortodossi e cattolici, visto come il migliore strumento per ottenere la meglio sui gruppi musulmani; 5) attuazione di una politica nazionale indipendente, libera dalle influenze della Russia e dell’Austria e, se necessario, alleata della Francia e dell’Inghilterra[36].

Tra la fine di maggio e i primi giorni di giugno del 1844 il “piano” di Zach fu presentato a Garašanin.

Se il “piano” di Zach fu l’adattamento dei “Conseils” di Czartoryski alle concrete condizioni della Serbia, con il Načertanije, invece, Garašanin rielaborò i due testi restringendone il raggio d’azione alle modeste risorse del piccolo principato. Egli soprattutto trasformò l’ispirazione jugoslava del “piano” di Zach in un programma nazionale serbo limitato ai soli territori dell’Impero ottomano.

Tuttavia un confronto testuale mette in luce come il Načertanije presenti numerosi punti in comune sia con i “Conseils” che con il “piano” e come di questi due esso sia la diretta derivazione[37].

Ilija Garašanin, dopo lunghe conversazioni con i suoi consiglieri, con altri esponenti dello schieramento degli Ustavobranitelij e dopo aver a lungo meditato sui Conseils di Czartoryski, sul “piano” di Zach, sulla realtà politica e la tradizione storica del suo Paese, elaborò il testo finale del Načertanije, che in lingua serba significa all’incirca “progetto”. Sebbene alcuni paragrafi siano stati letteralmente copiati dal “piano” di Zach, lo scritto di Garašanin rispecchia sostanzialmente le vedute del suo autore. Lo statista serbo eliminò tutti quegli elementi da lui considerati irrealistici per il suo Paese e le idee espresse da Ilija Garašanin nel Načertanije rispecchiavano le aspirazioni del suo ceto sociale, quello borghese in ascesa.

Innanzitutto bisogna mettere in evidenza un aspetto fondamentale che distingue nettamente il Načertanije dal “piano” di Zach: nel primo l’autore ha escluso tutta la parte relativa alla necessità di intraprendere un’azione coordinata con i croati contro il dominio e l’influenza degli Asburgo nei Balcani. Da politico accorto e realistico quale fu, Garašanin si rese conto che la dimensione jugoslava delle idee di Zach era incompatibile con la presenza austriaca nel Sud-est europeo: nel 1844 un progetto come quello del rappresentante polacco avrebbe significato mettersi contro Vienna e soccombere nel conflitto che ne sarebbe scaturito data l’evidente inferiorità della Serbia e data, soprattutto, la condotta di fedeltà e lealtà prevalente nella maggior parte dei dirigenti croati nei confronti della monarchia asburgica. In altri termini la prospettiva politica che emerge dal Načertanije è evidentemente ispirata al centralismo tradizionale della Serbia. Garašanin pensava a un’espansione del Principato verso la Bosnia, l’Erzegovina, l’Alta Albania e il Montenegro, ossia verso tutti quei territori considerati etnicamente e storicamente appartenenti alla nazione serba.

Significativo è l’esordio del Načertanije: la Serbia deve porsi al livello degli altri Stati europei[38]: affermazione rivelatrice del desiderio delle nuove élites emergenti di mettersi al passo con i tempi e con l’Europa. Dopo una premessa che illustra la necessità di tracciare le linee guida della politica estera e interna della Serbia in un programma d’azione da seguire in uno spazio di tempo determinato, Garašanin mette subito in evidenza l’ineluttabilità della fine dell’Impero ottomano, la quale sarebbe avvenuta in due modi: o tramite una spartizione tra le maggiori potenze oppure attraverso la costituzione di Stati cristiani da parte delle popolazioni ad esso un tempo sottomesse[39].

Dopo queste premesse la struttura del Načertanije si articola nel modo seguente: dapprima si prendono in esame la situazione dell’Impero ottomano e gli interessi dell’Austria e della Russia, delineando altresì gli obiettivi che la Serbia avrebbe dovuto raggiungere, poi si prosegue con l’illustrazione dei mezzi attraverso i quali questi risultati potevano essere raggiunti, infine ampio spazio è dedicato alle relazioni con la popolazione bulgara e a quella che avrebbe dovuto essere la politica del principato nei confronti della Bosnia, dell’Erzegovina, del Montenegro e dell’Alta Albania. Il testo si conclude con alcune riflessioni riguardanti l’Ungheria meridionale e le relazioni con gli esuli cechi.

Lo storico serbo Dušan Bataković ha messo in evidenza che il Načertanije è riconducibile a due obiettivi principali: 1) la formulazione di una politica indipendente attraverso una posizione di equilibrio tra l’influenza delle Grandi potenze (leggi Austria e Russia) e l’aiuto di quelle che non avevano interessi diretti nei Balcani (leggi Francia e Inghilterra); 2) lo sviluppo di una politica di cooperazione jugoslava orientata verso le popolazioni limitrofe ritenute serbe, ossia Bosnia, Erzegovina, Montenegro, Kosovo e Macedonia[40]. Ciò mette in luce la perfetta congruenza tra il Načertanije e il modello linguistico di Vuk Karadžić di cui si è parlato: il criterio linguistico e culturale viene messo in prima linea nella definizione di una nazione in quanto tale.

Con grande spirito di modernità inoltre, Garašanin propone l’attuazione del principio della piena libertà di coscienza allo scopo di superare ogni dissidio di natura religiosa: si afferma nel Načertanije che la Serbia avrebbe dovuto agire in modo tale che gli appartenenti alla fede ortodossa e a quella cattolica riuscissero a comprendersi e cercassero, gradualmente nel corso del tempo, di intendersi anche con i musulmani[41]. La libertà religiosa e il dialogo tra le fedi dovevano essere la premessa alla riunione delle varie regioni al Principato di Serbia: una politica nazionale forte e non frammentata da particolarismi viene considerata da Garašanin imprescindibile dal superamento delle divisioni religiose. Tuttavia anche in questo caso la prospettiva dello statista serbo è eminentemente politica e non, come potrebbe sembrare, ecumenica: nel disegno d’insieme di Garašanin è importante un dialogo tra le fedi in vista della convivenza in un’unica e forte compagine statale, che, ovviamente, era quella serba.

Il Načertanije prosegue, sempre riguardo a queste regioni, affermando la necessità che la Serbia si presentasse come l’unica e naturale protettrice delle popolazioni cattoliche della Turchia. Essa inoltre doveva cercare, attraverso un’operazione di propaganda politica ma soprattutto culturale di allontanare gli slavi di fede cattolica dall’influenza esercitata su di essi dall’Impero d’Austria[42]. Si ritorna, dunque, ancora una volta sulla minaccia rappresentata dal governo di Vienna. Questo punto viene ora affrontato in chiave economica, partendo dalla constatazione che l’intero commercio della Serbia, quindi l’insieme delle attività produttive del Paese, fosse nelle mani dell’Austria[43]. Considerando ciò un male, Garašanin sottolinea l’importanza di guadagnarsi uno sbocco al mare e di creare un porto serbo: l’unico percorso possibile in tal senso è quello che passa per Scutari e Dulcigno: da qui la necessità dell’unione col Montenegro[44].

Il motivo della minaccia austriaca è presente dall’inizio alla fine del Načertanije, sia in termini politici che economici. Da ciò probabilmente emerge la capacità di giungere a compromessi tipica di un politico avveduto come Ilija Garašanin. Egli, infatti, a differenza di Czartoryski e di Zach, che vedevano nella Russia il principale nemico delle popolazioni slave in lotta per la loro libertà, insiste molto sulla minaccia proveniente da Vienna. Anche se nel Načertanije sono presenti numerosi motivi antirussi, essi vengono spesso attenuati: fu questo un compromesso col sentimento in favore della Russia prevalente fra la maggior parte della borghesia, del clero e soprattutto degli stessi Ustavobranitelij. Inoltre Garašanin conosceva bene la realtà commerciale del suo Paese in quanto aveva lavorato come doganiere proprio nello scalo merci sul Danubio di Semlin, che era la “porta” tra Austria e Serbia. Sapeva dunque quanto l’economia del suo Paese fosse dipendente da quella austriaca ed era anche ben conscio delle implicazioni politiche di questa situazione. In altri termini egli nel Načertanije cercò di non sbilanciarsi troppo su una posizione apertamente filoccidentale, anche se viene chiaramente proposto di appoggiarsi alla Francia e all’Inghilterra, ma cercò di mediare tra le diverse opinioni dei serbi, cercando di smussare le punte più apertamente antirusse che gli giungevano dai Conseils di Czartoryski e dal “piano” di Zach.

In conclusione è importante sottolineare quello che è stato definito il paradosso di base presente sin dall’inizio nel Načertanije, e che ha continuato a segnare lo spirito jugoslavo della politica serba fino a dopo la Prima guerra mondiale[45]. Si tratta in sostanza della scollatura tra un nazionalismo di stampo grandeserbo e l’anelito all’unione di popolazioni differenti, dalle molteplici tradizioni storiche e dai diversi orientamenti religiosi e culturali. Apparentemente Garašanin voleva entrambe le cose, poiché se da una parte proponeva una fratellanza jugoslava e una reciproca accettazione, dall’altra tuttavia esaltava il ruolo unificatore della Serbia e la restaurazione dell’antico Impero medievale.

Tuttavia non bisogna perdere di vista la duplice valenza del Načertanije: infatti esso non fu solo un programma di principio, che in quanto tale è stato la fonte ispiratrice della politica estera della Serbia fino al 1914, ma fu anche una concreta guida all’azione, una sorta di manuale pratico sui modi attraverso i quali raggiungere gli obiettivi stabiliti.

4. La trasformazione politica della Serbia: tra liberalismo e socialismo.

Il Načertanije fu la base ideologica delle contraddittorie e movimentate vicende politiche del principato di Serbia nel corso della seconda metà dell’Ottocento. Nei decenni successivi il panorama politico del principato iniziò ad articolarsi maggiormente e, da un’unica élite di governo, espressione delle classi più agiate, si passò a una situazione caratterizzata dalla presenza di più orientamenti politici.

Il problema di fondo del sistema politico serbo in quel periodo fu l’accentuazione e l’aggravamento del conflitto, peraltro già insito nelle disposizioni della costituzione turca del 1838, tra il Consiglio (Savet) e il principe. Esso riguardava, essenzialmente, il controllo dell’amministrazione[46]. Da un punto di vista costituzionale infatti, le linee di demarcazione tra il potere esecutivo del principe e le competenze che spettavano al Savet non erano state chiaramente tracciate. Inoltre tra questi due elementi ce n’era un terzo, il gabinetto dei ministri, il quale veniva nominato dal sovrano ma era responsabile del proprio operato sia davanti a quest’ultimo che davanti al Consiglio. L’Ustav del 1838 aveva creato in sostanza due poteri paritari senza però occuparsi della definizione precisa delle rispettive competenze[47]: ciò per un Paese arretrato e ancora privo di un’elaborata cultura politica e di consuetudini costituzionali consolidate, quale era la Serbia, costituiva un pericoloso elemento di instabilità.

Il conflitto tra il principe e il Savet implicava il fatto che la nazione avesse due padroni, nessuno dei quali permetteva all’altro di governare; come un tempo (negli anni Trenta durante il regno di Miloš Obrenović) era stato profondamente sentito il bisogno di dividere un’autorità troppo concentrata, alla fine degli anni Cinquanta la necessità fu di segno opposto: concentrare un’autorità instabile spaccata in due parti[48].

L’opposizione alla figura del knez si era nel frattempo articolata in diversi raggruppamenti: in particolare gli orientamenti erano tre. Essi erano accomunati solo dalla comune volontà di deporre il principe, poiché, se si osserva un momento la loro composizione, ci si rende subito conto di quanto eterogenei essi fossero.

In primo luogo c’era il gruppo facente capo a Ilija Garašanin e alla vecchia classe dirigente del principato.

Il secondo schieramento, ancora più eterogeneo del precedente, raggruppava i sostenitori degli Obrenović e i primi esponenti liberali della vita politica serba.

E’ stato più volte osservato come, fino agli anni Sessanta circa, non esistessero delle differenziazioni politiche, culturali e ideologiche nette tra coloro che si occupavano degli affari pubblici. Le appartenenze politiche erano basate sugli interessi personali dei singoli, sui clan familiari e via dicendo. In questi anni, man mano che si andavano diffondendo l’istruzione, la cultura, la stampa, iniziarono ad emergere degli embrionali partiti politici: l’oligarchia che orbitava intorno al Consiglio e al governo, sostanzialmente gli Ustavobranitelij, costituiva lo schieramento dei conservatori, mentre formavano il raggruppamento liberale coloro che chiedevano riforme radicali in senso democratico del sistema politico, essenzialmente la nuova generazione di giovani serbi che avevano studiato nelle capitali dell’Europa occidentale, soprattutto Parigi, da cui il nome di parižlje[49]. Vengono definiti come liberali nel XIX secolo in Serbia coloro che ritenevano che l’autorità del principe dovesse essere limitata da istituzioni democratiche, tra cui la più importante doveva essere un’assemblea legislativa. Essi consideravano sovrano il popolo e non il principe, i diritti civili dovevano essere garantiti dalla legge e i ministri dovevano essere responsabili dinanzi all’assemblea e quest’ultima nei confronti dei cittadini[50]. E’ evidente alla luce di ciò quanto contraddittoria sia stata l’alleanza con i sostenitori degli Obrenović.

Il terzo elemento di opposizione al principe era costituito da Filip Stanković, l’agente personale di Miloš Obrenović, un ricco mercante di bestiame di Smederevo che cercava attraverso qualsiasi mezzo di riunire il maggior numero possibile di persone che sostenessero esclusivamente il ritorno dell’anziano Miloš sul trono di Serbia[51].

La lotta politica si concentrò essenzialmente intorno ad un unico tema: quello della convocazione dell’Assemblea nazionale, la Narodna Skupština, vista come l’unico modo per ristabilire l’ordine interno del Paese. Il 30 settembre 1858, giorno della festa di Sant’Andrea, da cui il nome Svetoandrejska Skupština con il quale essa è passata alla storia, i 439 rappresentanti[52] si riunirono a Belgrado per l’apertura dei lavori.

I primi giorni, su richiesta dei liberali, furono impiegati per le discussioni relative alla realizzazione di un provvedimento che istituisse in via definitiva la Skupština e che ne regolamentasse le competenze[53]. La proposta dello schieramento liberale è ben sintetizzata da uno scritto di uno dei suoi esponenti, Vladimir Jovanović[54], il quale affermava che l’assemblea doveva essere convocata annualmente, che l’elezioni dei rappresentanti popolari dovesse essere totalmente libera, che il bilancio statale doveva essere sottoposto all’approvazione della Skupština e che la responsabilità dei ministri dinanzi ad essa e la libertà di stampa dovevano essere sanciti dalla legge. Il testo finale, approvato l’8 dicembre, fu un compromesso tra i vari orientamenti nonché la prima seria sconfitta del movimento liberale serbo[55]. Il principe, e non la Skupština, rimase sovrano. Quest’ultima non poteva approvare le leggi ma solo proporle, doveva essere convocata ogni tre anni e non ogni anno come avrebbero voluto i liberali: sostanzialmente essa restava un organo consultivo ma nulla di più[56].

Nonostante tale fallimento dei liberali, dalla Svetoandrejska Skupština essi emersero come il primo gruppo politico coerente nella storia politica della Serbia, il quale fondava la propria azione su un programma e su delle idee piuttosto che sugli interessi personali, le personalità o l’appartenenza familiare[57].

In definitiva, la conseguenza diretta dell’assemblea di Sant’Andrea fu la deposizione del principe Aleksandar Karađorđević e il ritorno al trono dell’anziano Miloš Obrenović, che governò poco meno di due anni e, ormai ottuagenario, nel settembre del 1860 si spense. L’ultimo regno di Miloš Obrenović chiuse un’epoca: con la sua morte ebbe fine la vecchia società patriarcale della Serbia dei secoli precedenti, della quale egli fu l’ultimo rappresentante[58].

Alla morte del padre, Mihailo Obrenović salì per la seconda volta sul trono del Principato di Serbia (egli aveva regnato per un breve periodo dal 1840 al 1842).

Gli obiettivi fondamentali che Mihailo si propose di raggiungere furono essenzialmente tre: l’organizzazione di un efficiente sistema di governo interno, la definizione ultima dei rapporti e delle relazioni con la Sublime Porta e lo sviluppo di una ben precisa linea di politica estera[59].

Mihailo regnò fino al 1868 anno in cui venne assassinato lasciando il trono al cugino Milan che condusse la Serbia fino al Congresso di Berlino del 1878 quando venne proclamata indipendente.

Durante gli ultimi anni del suo governo si era manifestata una seria crisi del potere politico e dell’autorità dello Stato: la popolazione era stanca del potere autocratico del sovrano che aveva la sua più odiata espressione nei continui controlli effettuati indiscriminatamente dalla forza pubblica sugli individui, mentre la maggior parte degli intellettuali serbi iniziarono a chiedere con maggiore decisione delle riforme in senso liberale dello Stato.

Furono specialmente gli esponenti dello schieramento liberale che si resero protagonisti di questa energica opposizione al potere di Mihailo e in particolare Vladimir Jovanović e Svetozar Miletić, il primo giornalista e intellettuale, che durante il suo esilio a Ginevra aveva pubblicato un settimanale dal titolo “Srpska Sloboda” (“La libertà serba”), il secondo ugualmente giornalista (dal 1866 iniziò le pubblicazioni della “Zastava”, “Lo stendardo”), ma anche studioso di diritto e soprattutto dal 1861 sindaco di Novi Sad. Da loro due partì l’idea di creare una grande associazione culturale serba che riunisse in sé tutte le altre associazioni studentesche e culturali di quel periodo. Alla fine di agosto 1866 quattrocento serbi provenienti da un po’ dovunque si riunirono nell’aula magna del ginnasio serbo di Novi Sad e aprirono quattro giorni di entusiastiche discussioni su come essi avrebbero potuto lavorare per l’interesse della loro nazione. Il risultato fu la creazione dell’Ujedinjena omladina srpska, ossia l’associazione della gioventù serba unita, nota anche come Omladina[60].

Le principali attività di questa associazione furono di tipo culturale ma quasi immediatamente essa divenne il centro principale dello schieramento liberale e degli oppositori del regime al governo nel Principato di Serbia. Non fu un caso del resto che essa nacque e operò nella più liberale e culturalmente evoluta Ungheria. L’Omladina, inizialmente, fu ben vista dal principe Mihajlo, ma quando egli si rese conto che essa era più di una semplice associazione studentesca e che molti dei suoi membri erano schedati dalla polizia ungherese, in quanto probabili cospiratori contro il suo potere, ruppe i legami con essa e non ne facilitò le riunioni e le attività iniziando ad attuare provvedimenti repressivi nei confronti di essa[61]. Ciò avvenne nel 1867, quando, dopo aver concesso all’Omladina di tenere il proprio secondo congresso a Belgrado, Mihailo apprese con preoccupazione che in città circolavano voci secondo le quali quel congresso era un sotterfugio per mascherare un piano indirizzato alla restaurazione di Aleksandar Karađorđević. Ma lo scontro con l’Omladina fu anche il risultato del cambiamento delle idee politiche del principe che, avendo in quel periodo abbandonato i propositi di guerra immediata contro la Turchia, non poteva permettere che una grande associazione serba col suo nazionalismo continuasse a proporre una guerra di liberazione contro l’Impero ottomano[62].

In conclusione si può affermare che la figura del principe in Serbia durante questi anni divenne molto impopolare: il problema dei diritti civili era molto sentito e la situazione economica non era delle migliori. Durante il suo regno Mihailo e il suo governo trascurarono l’economia e non favorirono di certo il progresso del Paese. La causa principale risiedeva nell’enorme attenzione che essi prestarono all’esercito, alla burocrazia e alla politica estera, il cui finanziamento consumò gran parte delle risorse della Serbia e causò un incremento della pressione fiscale sulla popolazione con risultati negativi in termini di consenso facilmente immaginabili[63].

Il regno di Mihailo Obrenović III si chiuse nel sangue nel 1868 con il suo assassinio. Una nuova era si apriva per il principato di Serbia. Gli eventi degli anni successivi avrebbero condotto alla costituzione dell’indipendente regno di Serbia e la nuova costituzione elaborata già nell’anno successivo fu un’ulteriore cesura tra il passato e il futuro del Paese. Con questo nuovo testo fu compiuto un ulteriore passo avanti verso la modernizzazione e la liberalizzazione delle istituzioni politiche del Paese[64].

Nel panorama politico della Serbia durante il decennio prima dell’indipendenza, due erano i partiti che si contendevano il predominio: il liberale e il radicale. In realtà il primo andava ad occupare la scena lasciata vacante dalla generazione degli Ustavobranitelji ponendosi come espressione di un orientamento conservatore e protettore degli interessi delle classi più ricche della Serbia. Il secondo invece si caratterizzò, in questa prima fase della sua vita, per un orientamento più democratico, maggiormente sensibile alle esigenze della maggioranza della popolazione serba, che viveva in condizioni di estrema miseria materiale e culturale.

Fra questi due schieramenti iniziava ad affacciarsi sulla scena politica serba il pensiero socialista attraverso la vita e l’opera di Svetozar Marković. Tralasciando il partito radicale che appartiene maggiormente alla storia della Serbia indipendente e dunque al di fuori dell’arco temporale preso in considerazione in questo studio, non resta che tracciare un rapido quadro di quest’ultimo pensatore, il primo socialista serbo[65].

Marković (1846-1875) cercò di introdurre in uno dei Paesi più poveri e arretrati dell’Europa dell’Ottocento il pensiero socialista col quale era entrato in contatto durante il suo soggiorno in Russia come borsista dello Stato serbo che istituiva, come si è già accennato precedentemente, queste borse di studio in collaborazione col governo russo nell’ambito della politica culturale panslavista[66]. Tuttavia in Russia egli entrò in contatto con le teorie dei populisti e in particolare con quelle di Černyševskij[67]. Da quel momento cercò di applicare queste teorie alla realtà della Serbia. Ma se nell’analisi della situazione sociale e politica del suo Paese egli fu estremamente realista, nelle soluzioni proposte Marković si caratterizzò per un grande utopismo[68]. Nella politica serba a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, l’incidenza di questo giovane pensatore fu molto limitata. Egli fu perseguitato e nella realtà immediata di quegli anni la sua opera, di notevole valore e interesse, nei fatti non ebbe delle conseguenze dirette. Nelle sue due opere maggiori, La Serbia in Oriente e Il socialismo ovvero la questione sociale, si ritrovano tutti i temi principali che caratterizzano il suo pensiero[69]. Egli si schierava a sostegno del popolo lavoratore e contro l’apparato burocratico dello Stato rappresentato dai liberali da lui giudicati opportunisti e asserviti al potere del principe. La burocrazia per Marković rappresentava inoltre la classe degli sfruttatori. Individuava inoltre il nesso esistente tra il processo di sfruttamento della classe contadina e lo sviluppo dello Stato. Il suo pensiero in definitiva si caratterizzava per due aspetti fondamentali: il materialismo antropologico e l’illuminismo. Egli infatti riteneva che il popolo avesse bisogno di mangiare piuttosto che di pregare e soprattutto era fermamente convinto che l’ignoranza era la causa principale della miseria economica e politica della Serbia[70].

In definitiva negli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo, il piccolo principato balcanico vide la nascita di un embrionale sistema partitico e la diffusione di varie idee politiche, nella maggior parte dei casi frutto dell’unione della realtà nazionale e dell’influenza della cultura politica e costituzionale della Russia e dei Paesi dell’Europa occidentale, in particolare della Francia.

L’arco di tempo preso in esame in questo studio rappresenta senza dubbio un laboratorio politico e sociale dal quale nacque la Serbia moderna, quella delle guerre balcaniche, dell’attentato di Sarajevo, del Regno dei serbi, croati e sloveni e poi del Regno di Jugoslavia.


[1] Sulla situazione del beogradski pašaluk tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo si veda prota Mateja Nenadović, Memoari, Beograd, Jugoslovenska knjiga, 1951. Si tratta delle memorie di uno dei protagonisti delle insurrezioni contro i turchi, l’arciprete Matija Nenadović che vennero pubblicate per la prima volta tra il 1856 e il 1867. Si veda anche Marco Dogo, Le memorie dell’arciprete Matija Nenadović e la guerra civile ottomana, in “Romània orientale”, 12, 1999, pp. 133-152.

[2] Per le vicende della Serbia nel XIX secolo si veda Michael Boro Petrovich, A history of modern Serbia, 1804–1918, vol. I, New York–London, Harcourt Brace Jovanovich, 1976.

[3] Charles Jelavich, South slav nationalism: textbooks and yugoslav union before 1914, Columbus, Ohio State University Press, 1990, p. 7.

[4] “Un serbo che in quell’epoca possedeva qualche centinaia di suini era considerato ricco, uno che ne possedeva mille ricchissimo”: Barthélemy-Sylvestre Cunibert, Essai historique sur les révolutions et l’indépendance de la Serbie depuis 1804 jusqu’à 1850, Leipzig, F. A. Brockhaus , 1855, p. 64. 

[5] Federico Chabod, L’idea di nazione, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 56.

[6] Gale Stokes, The absence of nationalism in Serbian politics before 1840, in “Canadian review of studies in nationalism”, IV, n.1, 1976, pp. 77-90.

[7] Si veda Roger Viers Paxton, Nationalism and revolution: a re-examination of the origins of the first serbian insurrection 1804-1807, in “East European Quarterly”, VI, n.3, 1972, pp. 337-362.

[8] Sulle condizioni economiche e sociali delle popolazioni balcaniche nel XVIII e XIX secolo si vedano An economic and social history of the Ottoman Empire, edited by Halil Hinalcik with Donald Quataert, Cambridge, Cambridge University Press, pp.639-645 e John R. Lampe-Marvin R. Jackson, Balkan economic history:1550-1950, Bloomington, Indiana University Press, 1982.

[9] Bruno Meriggi, Le letterature della Jugoslavia, Firenze, Sansoni, 1970, p. 75.

[10] Arturo Cronia, Storia della letteratura serbo-croata, Milano, Nuova Accademia editrice, 1956, pp. 182-183.

[11] Duncan Wilson, The life and times of Vuk Stefanović Karadžić, 1787-1864, Oxford, Oford University Press, 1970, pp.349-350.

[12] Ivo Frangeš, Vuk e Ljudevit Gaj, in Vuk Stefanović Karadžić, la Serbia e l’Europa, a cura di Marco Dogo e Jože Pirjevec, Trieste, Editoriale stampa triestina, 1990, pp. 137-138.

[13] Tim Judah, The Serbs: history, myth and the destruction of Yugoslavia, London-New Haven, Yale university Press, 2000, p.62

[14] Aleksandar Pavković, The serb national idea: a revival, 1986-92, in “The Slavonic and East European Review”, 72, n.3, 1994, pp.440-445.

[15] Charles Jelavich, op.cit., p. 8.

[16] Jean Mousset, La Serbie et son église (1830-1904), Paris, Librairie Droz, 1938, p. 21.

[17] Roberto Morozzo della Rocca, Le Chiese ortodosse, Roma, Edizioni Studium, 1997, pp. 10-11. Si vedano anche Ladislas Hadrovics, Le peuple serbe et son église sous la domination turque, Paris-Budapest, Les Presses Universitaires de France, 1947 e Amfilochije Rádović, I serbi e la loro Chiesa nel corso dei secoli, in Storia religiosa dei popoli balcanici, a cura di Luciano Vaccaro, Milano, La Casa di Matriona, 1983, pp.155-179.

[18] Georges Castellan, La vie quotidienne en Serbie au seuil de l’indepéndance, Paris, Hachette, 1967, p. 282; per un originale interpretazione del concetto di zadruga e del suo rapporto con l’idea di nazione si veda Diana Mishkova, The nation as zadruga: Remapping nation-building in nineteenth-century Southeast Europe, in Disrupting and reshaping. Early stages of nation-buiding in the Balkans, edited by Marco Dogo and Guido Franzinetti, Ravenna, Longo editore, 2002, pp. 103-115.

[19] Michael Boro Petrovich, op.cit., p. 156.

[20] Si veda Alex Dragnich, The development of parliamentary government in Serbia, New York, East European Quarterly, Boulder, distributed by Columbia University Press, 1978 e Stevan K. Pavlowitch, The constitutional development of Serbia in the Nineteenth century, in “East European Quarterly”, V, n.4, 1971, pp. 456-467.

[21] Si veda Dragoslav Stanjaković, Vlada Ustavobraniteljia 1842-1853, Beograd, s. n., 1932 e Slobodan Jovanović, Ustavobranitelji i njihova vlada (1842-1858), Beograd, G. Kon, 1912.

[22] Dušan T. Bataković, Les premiers libéraux de Serbie: le cercle des “Parisiens”, in “Balkan studies”, vol. 41, n. 1, 2000, pp. 92-93.

[23] Ivi, p. 94.

[24] Tale definizione è del politologo Gabriel Almond; intendendo per cultura politica la particolare distribuzione, tra i membri di una comunità, dei modelli di orientamento nei confronti del processo politico, si può definire la cultura politica parrocchiale come quella tipica di sistemi politici tradizionali, in cui gli orientamenti politici prevalenti sono legati al ristretto orizzonte della realtà individuale dei singoli e delle loro famiglie o, tutt’al più, del loro villaggio, paese o distretto; in proposito Domenico Fisichella, Elezioni e democrazia, Bologna, il Mulino, 1982, pp. 59-61.

[25] Su tutte queste tematiche Michael Boro Petrovich, op.cit., pp. 270-271.

[26] Si veda David Mackenzie, Ilija Garašanin: Balkan Bismarck, New York, East European Monographs, Boulder, distributed by Columbia University Press, 1985.

[27] Ora questa località si chiama Zemun ed è un sobborgo della moderna Belgrado.

[28] David Mackenzie, op. cit., pp. 11-13.

[29] Angelo Tamborra, La rivoluzione polacca del 1830-31 e l’Europa, in “Rassegna storica del Risorgimento”, a. LXXXVIII, fasc. II, 2001, p. 164.

[30] Marceli Handelsman, La question d’orient et la politique yougoslave du prince Czartoryski après 1840, in “Seances et travaux de l’academie des sciences morales et politiques”, 1929, p. 398 ; si veda anche Antoni Cetnarowicz, Tajna dyplomacja Adama Jerzego Czartoryskiego na Bałkanach. Hotel Lambert a kryzys serbski, 1840-1844, Krakow, 1993.

[31] Paul N. Hehn, Prince Adam Czartoryski and the South Slavs, in “Polish Review”, 2, 1963, p. 81.

[32] Adam J. Czartoryski, Conseils sur la conduite à suivre par la Serbie, testo riprodotto in Marceli Handelsman, La question d’orient et la politique yougoslave du prince Czartoryski après 1840, cit., p. 411.

[33] Ivi, pp. 414-415.

[34] Ivi, p. 414.

[35] David Mackenzie, op. cit., p. 53.

[36] Ivi, p. 51.

[37] I tre testi sono riprodotti e messi a confronto in Dragoslav Stranjaković, Kako je postalo Garašaninovo “Načertanije”, in “Spomenik”, XCI, 1939, pp. 3-53.

[38] Il testo del Načertanije qui utilizzato è la traduzione in lingua inglese di Paul Hehn, contenuta in Paul N. Hehn, The origins of modern pan-serbism -The 1844 Načertanije of Ilija Garašanin: an analysis and translation, in “East European Quarterly”, IX, 2, 1975, p. 158.

[39] Ibidem.

[40] Dušan T. Bataković, Ilija Garašanin’s Načertanije: a reasessment, in “Balcanica”, XXV, 1, 1994, pp. 157-183 (consultabile anche sul sito internet personale dell’autore all’indirizzo www.bglink.com/bgpersonal/batakovic/nacertanije.html - ultimo accesso effettuato il 29 maggio 2004).

[41] Paul N. Hehn, The origins of modern pan-serbism -The 1844 Načertanije of Ilija Garašanin: an analysis and translation, cit., p. 165.

[42] Ivi, pp.166-167; questo in sostanza era l’obiettivo immediato che bisognava raggiungere, secondo Garašanin, nei confronti delle popolazioni slave del Sud dell’Impero asburgico. L’unificazione con questi popoli era certamente un nobile obiettivo ma per le generazioni future date le circostanze (sostanzialmente la lealtà di queste popolazioni nei confronti della monarchia).

[43] Lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, principali attività economiche della Serbia, dipendeva dal volume degli scambi commerciali dei prodotti derivati da queste due attività; dal momento che l’intero commercio del Principato era orientato o verso l’Austria o verso l’Ungheria, è facile immaginare come l’intera economia dipendesse da questi due Paesi.

[44] Paul N. Hehn, The origins of modern pan-serbism -The 1844 načertanije of Ilija Garašanin: an analysis and translation, cit., p. 167.

[45] Michael Boro Petrovich, op.cit., pp. 232-233.

[46] Alex Dragnich, op.cit., p. 29.

[47] Michael Boro Petrovich, op.cit., p. 253.

[48] Alex Dragnich, op.cit., p. 32.

[49] Dušan T. Bataković, Les premiers libéraux de Serbie: le cercle des “Parisiens”, cit., pp. 83-111.

[50] Gale Stokes, Legitimacy through liberalism: Vladimir Jovanović and the trasformation of serbian politics, Seattle-London, University of Washington Press, 1975, p. XI e p. 17; si veda anche J. Trkulja-D.Popović, Liberalna misao u srbiji. Prilozi istoriji liberalizma od kraja 18. do sredine 20. veka, Beograd, CUPS, 2001.

[51] Michael Boro Petrovich, op.cit., p. 264.

[52] Alex Dragnich, op.cit., p. 33.

[53] Gale Stokes, Legitimacy through liberalism, cit., p. 20.

[54] Ibidem (passo citato).

[55] Ivi, pp. 3-32.

[56] Ivi, p. 22.

[57] Ivi, p. 23.

[58] Harold W. V. Temperley, History of Serbia, London, G. Bell, 1917, p.240.

[59] Grgur Jakšić – Vojislav J. Vučković, Spoljna politika Srbije za vlade kneza Mihaila: prvi balkanski savez, Beograd, Istorijski institut, 1963; Slobodan Jovanović, Druga vlada Miloša i Mihaila, Beograd, Izdavačka knjižarnica Gece Kona, 1933.

[60] Gale Stokes, Legitimacy through liberalism, cit., pp. 75-85.

[61] Michael Boro Petrovich, op.cit., pp. 332-333.

[62] Gale Stokes, Legitimacy through liberalism, cit., p. 114-119.

[63] Michael Boro Petrovich, op.cit., p. 344.

[64] Stevan K. Pavlowitch, The constitutional development of Serbia in the nineteenth century, in “East European Quarterly”, V, n. 4, 1971, p. 464.

[65] Sui radicali si veda Gale Stokes, Politics as Development. The Emergence of Political Parties in Nineteenth-Century Serbia, Durham and London, Duke University Press, 1990.

[66] Si veda Jovan Skerlić, Svetozar Marković. Njegov život, rad i ideje, Beograd, Prosveta, 1966.

[67] Si veda Franco Venturi, Il populismo russo. Vol. I. Herzen, Bakunin, Černyševskij, Torino, Einaudi, 1952.

[68] Svetozar Marković, Il socialismo nei Balcani, scritti scelti a cura di Marco Dogo, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1975, pp. 7-8.

[69] Svetozar Marković, Sabrani spisi, Beograd, Cultura, 1965.

[70] Svetozar Marković, Il socialismo nei Balcani, scritti scelti a cura di Marco Dogo, cit., p. 12.


Antonio D'Alessandri, Le idee politiche nella storia del Principato di Serbia prima dell'indipendenza: alcune riflessioni, “L'Europa d'oltremare. Contributi italiani al IX Congresso Internazionale dell'Association Internationale d'Études du Sud-Est Européen Tirana 30 agosto-3 settembre 2004” a cura di Alberto Basciani e Angela Tarantino, numero monografico di "Romània Orientale", XVII, 2004, pp. 49-74.

На Растку објављено: 2008-07-22
Датум последње измене: 2008-07-21 22:18:56
 

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