Giacomo Chiudina

San Giorgio (Canti del popolo Slavo)

 

Ballata.

La ballata di San Giorgio, che noi pubblichiamo tradotta, è uno de' più conosciuti e prediletti canti del popolo Slavo della Dalmazia, Bosnia ed Ercegovina.

Il pastore saluta con questo canto la nascente primavera; lo ripete con gioja il viandante e il nocchiero slavo, che invocano ne' perigli il loro gran protettore San Giorgio. Tanto è popolare questa cantica, che perfino ne' luoghi, ove si raccoglie la più bassa plebe, la si va con entusiasmo ripetendo.

Antica e più che d' altro Santo estesa è la divozione di San Giorgio per tutta la nazione slava, e singolarmente per la Dalmazia, per la Bosnia ed Ercegovina. Egli protettore principale della Bosnia; a Lui moltissime chiese consacrate, e specialmente sulle sommità de' monti. Egli protettore delle campagne, onorato delle primizie dell' anno, cadendo la sua festa il 23 Aprile. Egli invocato dagli infermi, e rispettato per fino dagli stessi turchi; nel suo nome, e co' suoi vessilli, portanti la sua immagine, corresi alla battaglia.

Nato in Salona, per 1' egregie sue virtù fu fatto Vescovo, e dopo aver illustrato la vita con prodigi ed opere di santità, da Diocleziano Imperatore venne condannato a morte per la sua Costanza alla fede cristiana; morte preceduta da vari miracoli.

La statua d'Appolline, al cui tempio egli era stato tratto per sacrificare, a un segno di croce fatto da lui, cade a terra; un fanciullo estinto è reso a vita; il veleno, datogli a bere in carcere, non gli nuoce; una lancia vibratagli contro da' carnefici, come giunse al suo petto, si ripiegò. Lasciò finalmente il capo sotto la scure. Pochi anni dopo la gloriosa sua morte, stretta essendo Salona di terribile assedio dalle armi dell'Imperatore, a cui si era ribellata per le tirannie di Gallerio, quando le cose erano giunte allo estremo nè pareva vi fosse più salvezza per la città, vedesi a un tratto scendere dal cielo un cavaliere tutto armato e raggiante, dal quale spettacolo i nemici spaventati, sì danno alla fuga, e i cittadini, ripreso animo, fatta una sortita, li inseguono e li mettono a fil di spada.

Grati questi all' ajuto miracoloso del Santo loro concittadino, al cui celeste aiuto si erano rivolti in quelle angustie, vollero perpetuarne la memoria con un simbolo, secondo l' uso di que' tempi, e dipinsero quindi il cavaliere, che trafigge con la lancia il dragone, il quale stava per ingoiare una vergine; rappresentando in siffatta guisa nel primo il Santo, ch' era apparso sotto quelle sembianze; nel secondo il nemico, nel terzo la città loro.

Di quì il soggetto de' canti nazionali, che raccontano il miracolo sotto questa allegoria, la quale non è da far meraviglia se presso il volgo nel decorso di sì lunghi tempi abbia acquistata le sembianze di verità.

Oggidì la credenza comune attribuisce questo fatto a Giorgio di Capadocia. Quantunque molti gravi autori, e il Farlatti tra essi, mostrino crederlo, noi non intendiamo di asserire che questo secondo Giorgio non sia che il nostro Vescovo di Salona. Giova per altro riflettere, che quando si voglia un poco considerare le circostanze della leggenda sulla Vergine e sul Dragone, si scorge tosto che queste hanno tutt'altro che il carattere di verità, e che l' interpretazione, che noi abbiamo data di sopra, è assai verisimile. Ma com' è, dirà alcuno, che si attribuisce il fatto al secondo Giorgio e non al primo? Rispondo, che su molte e molte cose della Storia Ecclesiastica di que' tempi si potrebbero fare domande di questa sorta. A quell' epoca la Dalmazia fioriva sotto ogni riguardo. Non è difficile che i Dalmati, ch' erano sì numerosi e potenti nelle armate, che aveano la navigazione quasi esclusiva del Mediterraneo, vi abbiano portato la divozione di questo Santo, reso sì celebre nella patria loro fino nell' Asia; come le dlivozioni di altri Santi, quali sarebbero S. Niccolò, S. Marco, e via discorrendo, vennero trasportate d' Asia in Europa. Dimanderassi ancora, perchè non si è conservata in Asia la tradizione autentica del fatto accennato? Darò 1' istessa risposta di prima, che di tali casi non è da domandar ragione, dopo sì lungo tempo, e le tenebre de' secoli andati. Che poi in Dalmazia non siensi conservati monumenti più sicuri da comprovare le nostre osservazioni, non deve far meraviglia, quando si rifletta ai lagrimosi accidenti, che si successero da quell'epoca su questo nostro suolo infelice, per cui sparvero e cultura e città e popolazioni e poco meno che il nome di Dalmazia e di Dalmati, sotto il ferro ed il fuoco de' barbari che, succedendosi gli uni agli altri, se ne contendeano perfino i miserandi avanzi. Quel San Giorgio, che è in tanta celebrità in tutta Europa, dalla Chiesa e dalla pubblica credenza è tenuto per Giorgio di Capadocia. Quest'è vero, ma giacchè abbiamo incominciato a dire la nostra opinione, la esporremo più pienamente. La divozione di S. Giorgio Martire non venne in Italia, in Germania, nè fra gli altri paesi dell'Europa che col ritorno dei Crociati dall'Asia, i quali, com' è naturale, doveano sentire entusiasmo per un Santo, che avea esercitato la professione delle armi, e fatte nel nome del Signore sì meravigliose prodezze. Ma se negli altri paesi dell' Europa questa divozione non era giunta che a quell' epoca, in Dalmazia essa esisteva molto tempo prima. Documento irrefragabile è il Diploma di Terpimiro, re di Croazia e Dalmazia, che donava a Pietro Arcivescovo di Spalato i beni e la Chiesa di San Giorgio, situati non lungi da Salona nel 900.

Notisi in aggiunta a tutto ciò, che gli storici ecclesiastici si trovano tutti in imbarazzo riguardo alla storia di Giorgio di Capadocia e confessano che le notizie sono confuse ed incerte oltre modo. Lo ripeto, non intendo con ciò di fare un solo di questi due Santi. Ma nè io, nè persona alcuna di sano giudizio, penserà che la storia del Dragone e della Vergine sia un fatto vero, e sarà sempre più ragionevole di ritenerlo per un simbolo, come dicemmo.

 

SAN GIORGIO

Ballata nazionale.

 

I.

Esulta, o Bosna, fertile pianura,
Che sei già ricca d' immortali geste!
Ecco a te ride candida e vermiglia
La primavera, e il bel giorno rimena
Del tuo San Giorgio, che dal sorger tuo,
Dacchè gi' incensi al Nazareno ardesti,
Giubilante festeggi, o suol d' eroi
Ecco ei ti reca generosi doni,
Selve fiorenti e placide rugiade;
Benigno il sol ti scalderà, le nevi
Pe' tuoi monti sciogliendo, e per le valli
Coprendoti di fior'. Nel tuo Bostano
Spunteranno le rose e i tulipani:
Sugli ameni tuoi colli e sulle verdi
Campagne tue ritorneran gli augelli,
Le tue vivide empiendo aure di canti!
Ma questo giorno di maggior letizia
Ti splenderà! Tu pur, Dalmata terra,
Di robuste feconda alme guerriere,
Esulta al gaudio della tua sorella!
Ebbe Giorgio la culla in Capadocia
Da lignaggio di prodi; ei fa quel grande,
Che fulminà l' orribile dragone
In Libia appo Sirene e dall' estremo
Fato traeva la città dolente.

II.


Un lago a Sirene profondo s' apria,
Che a fiero dragone di covo servia.
Trangugia quel mostro valenti guerrieri,
Assalta e divora sellati destrieri,
Di cento gagliardi paura non ha.

Allor che dai bruni covili sorgea
L' immane dragone spavento facea;
E quando, rivolta la testa a Sirene,
D' orribili fischi quell' aure fea piene,
Gemea di sgomento l' afflitta città.

Ed ogni mattina per pasto gli offria
Un' agna e una vergine, ch' ei vive inghiottia,
Se n' era digiuno, saltava le mura
Cotanta in Sirene mettendo paura,
Che a cento vedevi colpito cader.

E mentre le madri piagnevan dolenti
Dal seno strappate le figlie fiorenti,
Al re di Sirene toccava la sorte
Di dar la diletta sua figlia alla morte,
La figlia, che in trono doveva seder.

III.


Amare lagrime
Il re spargea,
E a quell' amabile
Così dicea:
“ Ah! dunque spegnesi
Per me il sorriso,
O figlia tenera,
Del tuo bel viso!

Speranza e balsamo
De' giorni miei,
Sul fresco cespite
Colta mi sei!

Mentre del fulgido
Serto nuziale
Pensava cignerti
Il crin regale:
Ohimè! che perderti,
Cara, degg' io,
E per te spargere
Di pianto un rio!

Esecratissimo
Angue crudele,
I dì miei placidi
Sparsi hai di fiele ”.

IV.

Poichè il prence versata ebbe la piena
Del suo dolor, sfàrzosamente tutta
Di gemme la vestia, come se a prence
Sposa l' offrisse, e fuor la mena e dice:
“ Vanne, o fanciulla, dolce amor mio,
Alle tue nozze l' alba spuntò
Prega Acaronne, possente Dio
Che sol dal mostrc salvarti può.

Di ricco ammanto vestita sei,
Sfavilli tutta di gemme e d' or:
Ma per salvarti tutto darei,
Il vasto regno, darei, mio cor.

A paraninfi piglia, diletta,
Il fior più vago della città!
Di verginelle corona eletta
Corteo leggiadro ti comporrà ”.

V.

Passa la mesta per le vie, recinta
Di nobili donzelle e di donzelli:
Tutta Sirene si commosse, e pianse
Ogni pupilla per pietà e dolore.
Ondeggiava la sua serica vesta,
Dolcemente dal zefiro agitata,
Nove brillanti n' abbellian le dita,
E ciascuno valea nove cittádi.
Aurea cintura le stringeva i fianchi
Iridata di gemme, e dal bel collo
Pendean lucendo due monili carchi
Di perle orientali — in mezzo al fronte
Sfolgoreggiava un prezioso alemmo,
Che, come ardente sol, gli occhi togliea.
Un giglio nella destra ella teneva,
Simbolo di candor. Bella e leggiadra
Era da sè quella fanciulla — ovunque
La persona volgea, 1' aere di luce
Novella si vestia.

      Così la vaga
Figlia passava del Sirenio Prence
A ciascuno porgendo un mesto addio
E un saluto pel suo padre infelice.
Un cuor di selce per pietade avrebbe
Una segreta lagrima versato.
Ma il fier serpente al suo pasto agognava.

VI.

Ed ecco al lago appressasi
Lo splendido corteo;
Fra i baci e fra le lagrime
Compiuto il piagnisteo,
Tutti fuggir . . . . la povera
Fanciulla vi restò.

Ma chi di luce l' aere
Vestia con un accento,
Del braccio suo fortissimo
Mostrar volle un portento:
A quell' afflitta vergine
Giorgio guerrier mandò.

“ Che il Ciel t' aiuti, o amabile ”,
Il prode le dicea.
Molle di pianto il ciglio,
La bella rispondea:
Che fai guerriero? involati;
Di ciancie ora non è.

Noi sai? dall' ime viscere
Di questo bruno lago
A divorarmi ahi! misera
Ecco già sbuca un drago —
Fuggi , guerriero, o vittima
Dovrai cader con me ”.
Ma il guerriero soggiugnea
Alla mesta che piangea:
“ Lungi, o bella, ogni timor!
Se tu senti un desir pio,
Di conoscere il mio Dio,
Di prodigi operator,
Se rinunzi al culto indegno
E la fronte del mio segno,
O gentil, ti vuoi segnar,
Spento il mostro qui vedrai;
Così bella tu potrai
Al tuo padre ritornar ”.
Ripigliava la dolente:
“ Se d' uccidere il serpente
Tanta forza il Ciel ti diè,

Senti, o prode; i' te lo giuro
Che al mio nume falso abjuro
Ed abbraccio la tua fè “.

VII.

Disse, e tosto s' intorbida il lago,
Quinci n'esce l' orribile drago,
Quindi spiega l' artiglio bramoso,
E alla bella s' avventa furioso.

Ma d'un lampo l'invitto guerriere
Su lui spinse l' ardente destriero
E Gesù nominando e Maria
Con la lancia quel mostro feria.

Poi 1' aurata cintura si scioglie,
Ed il collo del drago n' avvoglie;
Indi in mano alla vergin lo dà
Che lo tragga alla bianca città.

VIII.

Traeva intanto la regal fanciulla
L' orrido serpe, che assordava l' etra
Di fischi orrendi, e dietro a lor venia
Sul suo cavallo quel guerriero invitto.
Indi forte ei gridava: o rege, o rege,
Prendi battesmo! I tuoi bugiardi Numi
Lasciar tu devi, e dell'immenso Dio
Riconoscer la forza! Oh! le infinite
Tue scelleranze piangi, ed il cilizio
Del pentimento indossa, onde l'Eterno
Non ti percuota d' un più rio flagello.
Così fu scritto ne' registri eterni
Perchè un giorno la colpa abbandonassi
E ti volgessi al vero Dio contrito.
Allor che il prence si vedea la figlia,
Al seno la stringea, come un bambino,
E di baci le guancie le copria.
Pianse le colpe, e alla cittade in mezzo
Prese battesmo, e dieci e dieci mila
Guerrieri insieme e la cittade intera
Al Dio dei cieli s'inchinò. Frattanto
Giorgio il ferro brandisce, e di quel serpe
Con un fendente fa volar la testa.
Il Re lo mena nelle bianche Corti
Per ingemmarlo tutto, e a lui favella:
“ Veggo, invitto guerrier, la sovrumana
Forza del braccio tuo, virtù dall'alto
So che lo regge. Sul tuo collo appendi
Questo caro monile, onde s' abbella
Di generosi cavalieri il petto,
Dalle mie mani pigliati l' anello
Che degno è ben della tua forte destra.
Mezzo regno ti dò, lieve mercede
Al sommo tuo valore. Ecco la figlia
Pigliati a sposa, la mia dolce figlia ”. —
“ O prence, io non accetto alcun tuo dono ”,
Giorgio rispose; “ sol ringrazia Iddio
Che t'ha scampato da tremendi guai,
Dall' infernal serpente. Ah! tosto atterra
I tuoi numi bugiardi e templi ed are
Innalza al vero Dio. Ch' i' vo' per tutto
Ad annunciar del Nazaren la fede ”.
Quinci in Persia volava, e molte genti
Traeva a Cristo, ed Alessandra stessa
Regina battezzò. Grandi portenti
Nel nome dell' Eterno egli facea;
Molti sostenne patimenti, e in fine
La fè novella suggellò col sangue.

Canti del popolo Slavo tradotti in versi italiani con illustrazioni sulla letteratura e sui costumi slavi per Giacomo Chiudina , Volume Primo, Firenze, Coi Tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana , 1878, pp. 141-154.

На Растку објављено: 2009-02-10
Датум последње измене: 2009-02-10 23:19:05
 

Пројекат Растко / Пројекат Растко Италија