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TIA Janus

Željko Đurić:

D’Annunzio (poeta) lettore di Tommaseo

Contestando a Gabriele d’Annuzio l’originalita` poetica Enrico Thovez ha fatto l’esempio di un componimento patriottico dannunziano dedicato ai caduti nella battaglia di Dogali la cui origine ha scoperto in una poesia di Niccolo` Tommaseo[1]; di fatti la somiglianza c’e` e su tutti i livelli del testo. Nella stessa pagina Thovez si lamenta che Benedetto Croce scrivendo sulle origini della poesia dannunziana abbia minimizzato la sua scoperta. "Curiosa appropriazione", scrive Croce, "fatta dal D’Annunzio di una poesiola del Tommaseo, che egli addatto`, non si sa perche`, con alcuni ritocchi, ai morti di Dogali"[2]. "Non si sa perche`" ha detto Croce che difendeva l’autenticita` poetica di D’Annunzio. Dall’episodio riportato vogliamo dedurre alcuni fatti: si tratta, senza dubbio, di un componimento dannunziano d’occasione, che forse entro breve tempo doveva scrivere e consegnare per le stampe; a noi qui interessa piu` il fatto che D’Annunzio sapesse infallibilmente dove cercare "l’ispirazione". In altre parole, l’episodio con la poesia per i morti di Dogali consideriamo un caso limite dei rapporti letterari di D’Annunzio nei confronti di Tommaseo che, invece, apre il problema di molto maggior rilievo, quello di D'Annunzio lettore della poesia tommaseiana.

Le letture dannunziane dei testi di altri autori, come e` noto, sono un elemento strutturale della sua poetica, sono le letture di un poeta che "quasi sempre per incominciare a comporre, aveva bisogno di una intonazione musicale datagli da un altro poeta", di un poeta a cui, inoltre

il ricordo di un gruppo di rime, la congiunzione di due epiteti, una qualunque concordanza di parole belle e sonanti, una qualunque frase numerosa bastava ad aprirgli la vena, a dargli per cosi` dire il la`, una nota che gli servisse di fondamento, all’armonia della propria strofa.

Le frasi citate sono tratte dal romanzo Il piacere, e se ne era servito Luciano Anceschi per illustrare "un motivo centrale alla poetica dannunziana"[3] insistendo proprio alla sostanza verbale/musicale del fenomeno. E lo stesso D’Annunzio in una sua lettera lodava, con grande rispetto, proprio "l’orecchio acutissimo e lo spirito veramente mirabile per la sua veggente audacia precorritrice"[4] di Niccolo`Tommaseo. In quelle zone prevalentemente, come cerecheremo di mostrare, si svolgeva una lunga e fine comunicazione di DAnnunzio con la poesia di Tommaseo.

Ne tiene conto Giacomo Debenedetti quando presenta un altro caso di prestito dannunziano da Tommaseo. Scopre infatti, una strana concordanza dei versi finali del componimento di D’Annunzio Lai e quello di Tommaseo che porta il lungo titolo A un albero che si rfilette nella spera della mia stanza:

O cuor senza pace,
ed occhi miei lassi,
moriamo. (Lai)

O cuor vedovato, o
o occhi miei lassi,
moriamo. (A un albero....)[5]

Per Tommaseo che al tempo della composizione della poesia viveva in solitudine con la salute rovinata, quei versi, dice Debenedetti, avevano la forza della verita`. A D’Annunzio, invece, piacquerro per la loro malinconia inaspettata e indefinita che vi trovo` e che, secondo Debenedetti, avrebbero rappresentato il tono predominante del suo Poema paradisiaco. Possibili motivi di quel "piccolo plagio di D’Annunzio" Debenedetti li vede cosi`:

Puo` darsi che, ricorrendo per un prestito proprio al Tommaseo, il D’Annunzio pensasse di farla franca, di passare inosservato, tanto poco gli italiani nell’ultimo decennio delsecolo si ricoradvano di quelle poesie. O, piu` sottilmente, che contasse, per un componimento prezioso, di valersi di una citazione rara, tolta cioe` da un autore raro.[6]

Il racconto di Debenedetti sulla concordanza dei versi sopra citati comincia con un lapsus molto significativo: "Ed e` nel Paradisiaco la strofe sospirosa, canzonettante, languidissima che termina "o cuor senza pace, ed occhi miei lassi – moriamo"; questi versi, invece, appartengono a La Chimera. Seguendo il prezioso lapsus di Debenedetti torniamo al Poema paradisiaco, principale traguardo della nostra ricerca, in cui, a nostro avviso, esistono spazi, significati, suoni, ritmi e sfumature testimoni "dell’attenzione intensa" che D’Annuzio prestava alla poesia di Tommaseo.

Ci soffermeremo, nella raccolta, alla poesia Vas mysterii[7] che consiste in 17 strofe saffiche (due endecasillabi e un quinario rimati con lo schema ABAb); Tommaseo ne ha una simile, Armonia delle cose[8], di 18 strofe saffiche con lo stesso ordine di rime. L’ultima parole in entrambe le poesie e` "mistero": "o tu che l’urna/ sei del mistero" in D’Anunzio e "tutto e` mistero" in Tommaseo. "Ma finisce tronca" scriveva Capponi a Tommaseo dopo averla letta, ""Tutto e` mistero" non mi basta, e in quello mistero voi pur vedete qualche cosa"[9]. Anche in questo caso D’ Annunzio sara` stato atratto dalla chiusura innaspettata, lasciata in sospeso? Due componimenti hanno in comune anche altri elementi: le coppie di rime profondo/ mondo, (seconda strofe in D’Annunzio, sesta in Tommaseo), porte/ morte (quarta e sedicesima), induce/ luce in D’Annunzio (quinta) e adduce/ luce in Tommaseo (quarta), oscura/ paura in D’Annunzio (ottava) e oscure/ pure in Tommaseo (settima), poi di nuovo la parola mistero rimata in D’Annunzio con nero e impero, e in Tommaseo con vero e intero.

Occorre poi sottolineare che la parola mistero non e` una parola qualsiasi quando si tratta del Poema paradisiaco. Nella continua e travagliata ricerca dannunziana di espressioni poetiche nuove e al corrente con le tendenze europee, il Poema rappresenta un progressivo allontanarsi dalle esperienze parnassiane dell’Isotteo e della Chimera e il rispettivo avvicinarsi ai modi poetici del simbolismo. Vi e` stata identificata una forte tendenza di autocitazione e di autointerpretazione; del Poema paradisiaco a D’Annunzio premeva piu` che mai di fare una raccolta stilisticamente omogenea e compatta; da cio` deriva la sua struttura densa e intessuta intorno ad alcuni temi, suoni e ritmi portanti. Prevale nella raccolta un tono fluido, una musicalita` languida e malinconica che investe della sua sostanza tutti i motivi e tutte le immagini inventate dal poeta; la sensazione di indefinito, di stare tra la vita e la morte, tra il corpo e l’anima, tra la terra e il cielo, tra l’acqua e l’aria viene costruita alla perfezione e il nome di quell’ indefinito e` appunto il mistero.

E` chiaro poi che il mistero dannunziano non e` uguale a quello di Tommaseo. Nel primo, lo e` soprattutto una categoria individuale e interiore; nel secondo il mistero e` prevalentemente il segno del divino e del cosmico. In ambedue i casi vi domina un’ inquietudine palpitante e arcana, direbbe Tommaseo. Quello che poteva attirare D’Annunzio ai misteri tommaseiani era il suo bisogno, dominante nel Poema paradisiaco, di superare le dimensioni del reale, di oscurarne i contorni, di aprire, dalla’altra parte, nuovi spazi di diemensioni indeterminate e di sostanza indefinita. Per produrre effetti poetici soddisfacenti in questo senso occorreva trovare parole nuove e musicalita` nuova.

La parola mistero e` molto piu` frequente nel Poema paradisiaco che nelle raccolte precedenti; l’incontriamo poi prevalentemente sulla posizione di rima (per esempio nelle lirche Hortus conclusus, La passeggiata, Il giogo, Sopra un "Adagio". Vas Mysterii, La naiade, Consolazione, Un verso ecc); rimata di solito con pensiero, o vero, nero, impero.

In Tommaseo quella parola e` riscontrabile soprattutto in quel gruppo di poesie che potremmo definire cosmico-religiose, rimata quasi allo stesso modo come in D’Annunzio (nelle poesie Gl’ignoti, Il corpo di Cristo, Meditazione, I Santi, Immortalita`, I corpi, Vite latenti, Il Mistero, Armonia delle cose ecc).

Nel componimento che Tommaseo dedico` a Gino Capponi ne leggiamo un esempio:

e di sua lunga visione intero/
indovina il mistero
...e ne’ giri profondi
di mille mondi radiosa e grande
quell’armonia si spande.[10]

Le parole sottolineate producono proprio quell’effetto di cui aveva bisogno D’Annunzio; anche a Tommaseo servirono per suggerire col significato e con il suono l’allargarsi dei confini di spazio, per evocare anche musicalmente la grandezza divina. Un procedimento analogo troviamo nelle liriche Presente e avvenire ("E il cerchio degli anni con giro piu` grande/ in alto e in basso del pari si spande" )[11], A mio padre ("com’alito di fior, lieve si spande./ Il ciel quant’egli e` grande")[12], La terra e i cieli ("e` mondo in te piu` grande/ che i cieli immensi, ov’agile/ l’armonia di tua poca ala si spande")[13], Montaperti ("Per la sera tranquilla/ spandesi, come d’Angelo, armonia")[14] ecc. Va detto anche la coppia di rime mondo/ profondo (con varianti al plurale, o con le forme diffonde, onde, fronde ecc.) si trova in tutti quei componimenti e che e` generalmente molto frequente sia in Tommaseo che nel dannunziano Poema paradisiaco.

Leggiamo adesso alcuni versi della raccolta dannunziana; nella lirica In votis: "...un riso/ trarro` d’improvviso,/ che per i confini/ del cielo in divini/ cerchi saliente/ si spandera"[15]; poi in Hortus conclusus e in La statua: "Qual mistero dal gesto d’una grande/ statua solitaria in un giardino/ silenzioso al vespero si spande!"[16]. Quello che si spande in Tommaseo e` l’armonia; in D’Annunzio e` il mistero. Tutti e due hanno una lirica intitolata La parola. In quella di Tommaseo leggiamo: "vien la parola come picciol seme/ che al profondo terren fido s’appiglia"[17]; per D’Annuzio la parole e` "seme indistruttibile ne’ cuori". Citiamo altri versi di D’Annunzio:

Parola, o cosa mistica e profonda

ben io so la tua specie e il tuo mistero
e la forza terribile che dentro
porti e la pia soavita` che spandi

ma fossi tu per me fiume tra i grandi
fiumi piu` grande, e limpido nel centro
de la Vita recassi il mio pensiero![18]

Forse in base agli esempi riportati sarebbe possibile concludere che tra tante intonazioni e tante tonalita` scelte da D’Annunzio per il Poema paradisiaco si trovasse anche quel particolare sistema di suoni e accordi tommaseiani che in D’Annunzio potevano far evocare la musica dell’infinito e del misterioso.

Di quel sistema ipotetico potrebbero anche far parte alcune suggestioni visivo-musicali utilizzabili per D’Annunzio.

Cosi` nel componimento di Tommaseo intitolato Pe’ morti leggiamo queste due strofe:

Qual neve che spiega
sul colle i suoi veli,
se lieve d’un fiato
potesse svanir.

e il colle odorato
sorridere a’cieli
e tutti gli steli
a un’ora fiorir
.[19]

L’immagine dei fiori che spuntano all’improvviso apre una nuova dimensione di concordanze con i versi del Poema dannunziano: non solo con la relativa immagine della lirica Consolazione ("che proveresti tu se ti fiorisse/ la terra sotto i piedi, all’improvviso?"[20]) ma anche il gruppo rimato veli, steli, cieli, crea un nuovo cerchio semantico-musicale presente nel Poema paradisiaco, che potrebbe avere origine in alcuni versi di Tommaseo (L’ideale, Armonia del mondo, Le memorie dell’uomo ecc). Il gruppo indicato incontriamo in alcune poesie di D’Annunzio, quali La passeggiata e Le foreste, spesso anche nelle forme verbali e aggettivali di velare (svelare) e velato; in combinazione con quell’ultimo un rilievo particolare D’Annunzio conferisce alla parola aprile: "aprile un po’ velato", "abbia i suoi cieli velati Aprile"[21], "il fantasma di un april defunto"[22] " Par la luce d’april quasi una neve che sia tiepida"[23]. Mentre l’aprile di D’Annunzio come vediamo e` piuttosto "autunnale", quello di Tommaseo, il piu` presente di tutti i mesi dell’anno nelle sue poesie, e` simbolo della vita che rinasce: "casto aprile"[24], Ricco aprile"[25], "luce che crea l’aprile"[26], "chiuso orticel gentile,/ cui l’invecchiar dell’anno/ rinnovera` l’aprile"[27]. Chi sa se quel "chiuso orticel" non abbia che fare con il famoso motivo del decadentismo, quello del giardnino chiuso? lo incontriamo ancora in Tommaseo: "e mi spirano odor distinti e misti/ da rinchiuso giardin rose e viole"[28], "Sentirai nel rinchiuso orto del core/ piovere un’inneffabile dolcezza"[29].

Riflettendo sui rapporiti tra musica e poesia Tommaseo, nel suo libro La educazione morale, religiosa, civile , letteraria dell’italiano, scrive:

L’una arte, osservando dell’altra i procedimenti, potrebbe farne suo pro. – E il degradare dell’armonia che si viene affievolendo, e lenta si dilegua in lontananza, puo’ essere al poeta esempio del come un’immagine si possa a poco a poco con la parola allontanare si’ che il pensiero e il desiderio la seguano.[30] (Ž. Đ.)

In Tommaseo, definito da Debenedetti "un maestro di musica", si trovano i versi ideati in quel modo: "E la parola languida in quel vano/ morir, com’eco di rumor lontano"[31], oppure "Quasi indistinto gemito/ languida al cor mi giunge/ la tua soave immagine"[32], o "muti con lasso pie’ passarmi accanto/ i be’ sogni vedrei degli anni andati"[33]; oppure i versi scritti nel momento di paura della cecita`: "Ah di natura l’immortal bellezza/ come lontano suon, languido giunge/ per l’appannato vel degli occhi infermi"[34].

Tale specie di musicalita` verbale domina il dannunziano Poema paradisiaco: "una dolcezza infinita/ che vela un poco, sembra, le sventure/ nostre e le fa, sembra, quasi lontane"[35], "il bel giardino in tempi assai lontani/ occultamente pare lontanare"[36], "giungea piano/ a me il suono,/ .../ e pareami venisse da lontano/ .../ Ed un oblio profondo/ de la vita mi trasse in un lontano/ mondo"[37].

Riassumendo quanto finora abbiamo detto, ci sembra che alcune tonalita`ed alcuni modi musicali di Tommaseo siano stati utili a D’Annunzio per risolvere certi problemi espressivi del Poema paradisiaco. Dall’altra parte, il fatto che quella particolare musicalita` e richezza di dimensioni metafisiche dei versi tommaseiani si sia accordata facilmente non solo con le intenzioni poetiche di D’Annunzio ma con tutto quel materiale simbolista da lui usato nella composizione della raccolta, viene a confermare una grande sensibilita` modernista, ante litteram, della poesia di Niccolo` Tommaseo.[38]

Un’altra dimensione portante del Poema paradisiaco consiste nella meticolosa e sistematica costruzione del mito della rinascita dell’anima: da orgogliosa, egocentrica, vanagloriosa a umile, comune, buona, vicina all’uomo. L’espressione concentrata di quel mito possiamo vedere nella poesia O giovinezza:

O giovinezza, ahi me, la tua corona
su la mia fronte gia’ e’ quasi sfiorita.
...................................................

Ma l’anima nel cor si fa piu’ buona
come il frutto maturo. Umile e ardita,
sa piegarsi e resistere
; ferita,
non geme; assai comprende, assai perdona.
.....................................................

Vedo in occhi fraterni ardere vive
lacrime, odo fraterni petti ansare.[39]

Anche Tommaseo, come e ` noto, ha havuto i suoi rimorsi e le sue metamorfosi; le tracce se ne trovano in alcune poesie, per esempio in quella intitolata appunto Rinnovamento:

Entra profonda umilta’ nel vero,
piu’ che l’orgoglio; e dell’amor sui vanni,
piu’ che dell’ira assai, corre il pensiero.
Pensiam gli altrui, vie piu’ che i nostri, affanni,
e a portar la corona del dolore
con leggiadro valor c’insegnin gli anni[40]

O in quell’altra, gia` citata in altra occasione, A mio padre:

E la parola franca
che dal trafitto cor consolatrice
sgorga inesausta ai miseri fratelli,
quasi schietta rugiada in bianchi velli,
sui pensieri miei scende irrigatrice,[41]

Vi troviamo la metamorfisi dell’anima, la compassione di altri uomini, la saggezza nel patire, gli anni che passano portando la maturita`; ma anche la parola "sgorgare" importantissima nell’economia dell’espressione lirica del Poema; e poi i "bianchi velli" come nella poesia introduttiva del Poema paradisiaco (Alla nutrice) dove incontriamo "il bianco fiore dei velli"[42].

Una dimensione particolare del mito della bonta` e del miglioramento deriva nel Paradisiaco dai versi che descrivono il tema doloroso e contradditorio del ritorno a casa, alla madre, alla sorella, alla quotidianita` monotona ma salutare. Niccolo` Tommaseo, che nella sua adolescenza si era separato dalla madre, lascandola nella nativa Dalmazia, visse con angoscia quella situazione. Ce ne sono tracce nelle sue poesie A mia madre, La notte del dolore, I sogni (dove, tra l’altro scrive: "Come al letto di madre inferma e povera,/ dopo lunga stagion, da terre estranie/ torna di notte incanutito il figlio..."[43]). Nell’ambito di questo tema noi ci azzarderemo a paragonare certe immagini e soprattutto l’atmosfera di alcune poesie del Poema paradisiaco con la famosa serie di sogni del ritorno a Sebenico registrata da Tommaseo nel Diario intimo; cercando di superare l’irremovibile fatto che D’Annunzio non poteva leggere il diario tommaseiano che venne pubblicato solo nel 1938. Per poter dunque avvicinare e paragonare i due materiali scritti ci serviremo della categoria dell’affinita` istintiva coniata da Giacomo Debenedetti nel momento quando fu colpito dalla similitudine sorprendente tra lo stile prosastico del Diario intimo e la prosa del Notturno dannunziano. In quell’occasione formulo` quell’ipotesi molto ispirativa che aiutava a capire meglio il complicato rapporto D’Annunzio-Tommaseo:

Nei rapporti stilistici tra il D’Annunzio e il Tommaseo succede qualcosa di veramente straodrinario; da farci pensare che l’intensa attenzione con cui il D’Annunzio guardo` al Tommaseo, per imparare dei segreti, maturo` in lui una specie di affinita` istintiva; si` da fargli trovare da solo certe soluzioni e moduli analoghi a quelli che aveva trovato il Tommaseo nei suoi momenti piu’ svincolati e audaci.[44]

La nota serie di sogni Tommaseo l’ha registrata con una tecnica particolare, diremmo antiletteraria, la tecnica di scrittura mirata a salvare i sogni dall’oblio, dal ritorno nel buio dell’inconscio. Tommaseo lo fece con frasi brevi, semplici e incisive, senza ulteriore elaborazione e riflessione, riuscendo cosi` a fissare i risultati preziosi del lavoro di sogno, con tutte quelle oscurita`, coincidenze, ambiguita`, espressioni opache tipiche del fenomeno.

La situazione centrale e` quella del ritorno a Sebenico, alla casa nativa, per incontrare la madre che di solito si trova a letto, viva o morta, o che pare morta ma e` viva e viceversa; chi sogna prova il piu` delle volte sentimenti di paura, di angoscia, di estraneita`, di solitudine.

Se madre e` viva o morta, questo e` il dramma fondamentale:

Io mi accosto, le dico "mamma". ella era assonnata, rimpiccinita, come un bambino infante, ma il viso era di lei. La si scuote, mi riconosce, m’arride; ed io allora "oh mamma mia!"[45]

Mi par di vederla in un letto bianchissimo.[46]

Domando di mia madre: morta.[47]

Non oso domandar di mia madre. Guardo: era a letto. La temo morta. Il cognato apre le finestre ed ella si sveglia. Non mi riconosce in sul primo;[48]

La veggo distesa in un letto, ornata, immobile; ma par viva... L’abbraccio, poi esco. ...domando di mia madre; non rispondono: "Dunque e’ morta! Ma se l’ho veduta or ora! "Era il cadavere suo", mi rispondono.[49]

In alcune poesie di D’Annunzio del Poema paradisiaco troviamo l’atmosfera e le immagini analoghe; eccone un esempio:

Era morta. era fredda.
..................................
Il lenzuolo pareva assai men biancho del cadavere.
..................................
Ella era fredda. Io le dicea: – Ma dormi?
con un sorriso stupido ed atroce
io ripetea, da presso: – Dormi? Dormi?
...........................................................
Dormi? Dormi? – Ella non rispose mai.[50]

Nella poesia L’incurabile si legge: "Bianco e` il letto che fu gia` nuziale,/ ove giace l’infermo sopra un fianco."; "un braccio fuori del lenzuolo posa:/ ed e` immobile"; e poi "a pie’ del letto vedovo"[51], come in Tommaseo nella poesia dedicata alla madre (La notte del dolore): " e vedovo sentire il letto"[52].

E` interessante anche la figura dello stesso Tommaseo quale la vediamo nei sogni di ritorno a casa: accompagnata da una coscienza confusa dell’irrealta` della situazione e del luogo nonche` da un forte sentimento di estraneita`:

Salgo in silenzio[53]

Sogno di tornare a Sebenico; camino lungo e solitario; salgo[54]

Sogno di essere ritornato a casa mia; la mia stanza al primo piano e’ chiusa; chiamo, non rispondono[55]

Un altra volta sogno di tornare a Sebenico; pochi mi riconoscono; pochissimi mi salutano. Entro in casa mia, come di furto ... Per non essere visto, scendo, adagino;[56]

Sogno di entrare a casa mia: mi affaccio alla bottega ch’era cantina, me fanciullo: nessuno.[57]

L’analoga atmosfera irreale, del sogno, pregna del sentimento di estraneita`, caraterizzata dall’assenza di suoni e dalla presenza delle cose sconosciute e indeciffrabili ecc. e` riscontrabile in una poesia del Poema paradisiaco (Un sogno):

Io non odo i miei passi nel viale
muto per ove il Sogno mi conduce.
...................................................
Il paese d’in torno e’ sconosciuto,
quasi informe, abitato da un mistero
antichissimo ...
.....................................................
Io non odo i miei passi. Io sono come
un’ ombra .....[58]

Uno dei mestieri poetici importanti di D’Annunzio era anche quello di saper coprire e scoprire nei propri testi le tracce delle presenze altrui. Speriamo di aver contribuito, con la nostra fragile ricostruzione, ad una migliore conoscenza anche di quell’aspetto dell’arte dannunziana.

La nostra descrizione delle possibili intereferenze testuali che D’annunzio autore del Poema paradisiaco poteva aver subito dalla poesia di Tommaseo chiudiamo con la semplice annotazione che la poesia Un verso D’Annuzio fece leggendo il testo che Niccolo` Tommaseo nel suo Dizionario estetico aveva dedicato al poeta dimenticato Francesco di Vannozzo, un contemporaneo di Petrarca. Nel commento della poesia fatto da Annamaria Andeoli si legge: "Ma il D’Annunzio ha sottomano la pagine che il Tommaseo-Bellini (sic!) dedica al poeta trecentesco nel Dizionario estetico"[59]. In quella poesia, infatti, D’Annunzio utilizzo` non solo quel verso di Vannozzo ("E` colei che non dorme e` mia sorella"), ma anche le parti del testo tommaseiano[60], il tutto nella prima strofe:

unico il verso d’un poeta antico
quasi obliato; che fu dolce amico
al Petrarca nel tempo ch’ei patia
l’ontosa guerra da l’Amor nemico;
quasi obliato, cui Marsilio vanta
sovran maestro d’ogni melodia.
"A vo’, gentil Francesco di Vanozzo,
sovran maestro d’ogni melodia".[61]

 

* * *

I versi di Tommaseo echeggiavano luminosamente anche nella produzione poetica dannunziana posteriore al Poema paradisiaco. Le tracce sparse se ne trovano anche nei libri delle Laudi. Nel primo libro, per esempio, leggiamo un’immagine superomistica:

Ah, poter di corre
dal ciel piu` lontano
un pugno d’astri
pareami fosse
nella mia mano
fatta onnipossente
dal cor che in me fervea.[62]

Un gesto divino, fatto dalla mano potente che abbraccia e muove mondi e soli incontriamo nella poesia di Tommaseo Soprbbondanza della Redenzione (riferito naturalmente a Cristo):

Tu che gli astri del ciel, brevi faville,
col piegar della mano apri e nascondi;
..............................
Quasi pugnello di vagliato grano,
tu stringi a mille in man gli ardenti soli;[63]

Anche nell’Elettra, piu` precisamente nel ciclo le Citta` del silenzio, abbiamo riscontrato qualche accordo dei versi patriottici di Tommaseo in cui D’Annunzio pote` imparare quei modi enfatici e personificati utilizzati poi per cantare delle citta` italiane; vi si trovano intrecciati i procedimenti poetici diversi: il poeta o si rivolge ad una citta`, o dialoga con essa, per evocare grandi personaggi o eventi storici. Ecco prima alcuni esempi dei versi di Tommaseo:

Quando a notte entrero`, Pisa, il tuo campo
ove dormon le forti ossa degli avi

Nella pace, o Milan, di tua pianura
a te, Venezia, lieta ospite mia,
o donna de’ miei padri

...vedro` il pallore
umile e altero delle corse donne
Udro` ...
il vocero che cupo a passo lento
segue l’ombre de’ morti e chiama sangue.[64]

E colsi la volante poesia
di bocca alle tue donne: e l’armonia
di lor canzoni ne verra` con me,
grato dono all’Italia.[65]

Ecco ora qualche verso delle dannunziane Citta` del silenzio:

T’amo, citta’ di crucci, aspra Pistoia,[66]

Non alla solitudine scrovegna,
o Padova, in quel bianco april felice
venni..[67]

O Prato, o Prato, ombra dei di’ peduti
chiusa citta`, forte nella memoria,[68]

Spello, qual canto palpita nei petti
delle tue donne alzate in su la Porta
di Venere?[69]

Arrivando al Alcyone, ci e` sembrato di riconoscere anche li` alcuni echi lirici tommaseiani. Per esempio, nella poesia La terra Tommaseo si rivolge al nostro pianeta in chiave cosmico-divina:

Libro sei tu di mistiche parole,
ch’ogno nota ha d’amor sensi profondi.
Narrami il tuo destino, e quel che vuole
l’incendio avvivator che in grembo ascondi.
Dimmi le voci che tu parli al sole,
quel che passando, a te dicono i mondi;[70]

Elementi di concordanza non solo sul piano di suono ma anche di significato vediamo in quei versi di D’Annunzio dove parla dei poteri divini di uno dei suoi "personaggi" poetici (Il fanciullo):

Ogni voce in tuo suono si ritrova
e in ogni voce sei
sparso, quando apri e chiudi i fori alterni.
Par quasi che tu sol le cose muova
mentre solo ti bei
nell’obbedire ai movimenti eterni
Tutto ignori, e discerni
tutte le verita che l’ombra asconde.
se interroghi la terra, il ciel risponde;
se favelli con l’acque, odono i fiori.[71]

Suoni e significati di tale "panismo" universale troviamo anche nei versi di Tommaseo dedicati al tema dell’ideale femminile (L’ideale):

Alle sue docili orecchie amorose
suona una voce di tutte le cose;
un’aura spira, sottil ma sicura,
che le fa tutta sentir la natura.
Docile ell’e` come stelo di fiore
..................................
Sublime guarda, comprende profondo:
pero’ s’inchina ai misteri del mondo.[72]

Il ritmo, la melodia e la struttura della famosa "strofe lunga" dannunziana quale leggiamo, per esempio nella Pioggia nel pineto ("Piove sulle tamerici/ salmastre ed arse/ piove sui pini/ scagliosi ed irti ecc) l’abbiamo intuito in questi versi di Tommaseo (Il mattino):

Canti e sospiri il nuovo sol ridesta,
che splende al par sui mesti e sui felici;
e sui neri capei di giovanetta
innamorata, e sulle aperte tombe;
sul gel dell’Ande, e di Guinea sull’acque
in fin da mane ardenti, e sulle schiume
ampie di legno da vapor sospinto,
e sulle strisce di versato sangue.[73]

La singolare melodiosita` diventa forse piu` percettibile se questi versi trascriviamo dannunzianamente, in una strofe lunga, di versi irregolari:

Canti e sospiri il nuovo sol ridesta,
che splende al par sui mesti
e sui felici;
e sui neri capei
di giovanetta
innamorata,
e sulle aperte tombe;
sul gel dell’Ande,
e di Guinea sull’acque
in fin da mane ardenti,
e sulle schiume
ampie di legno
da vapor sospinto,
e sulle strisce
di versato sangue.

Un altra famosa poesia di D’Annunzio dell’Alcyone, L’onda col suo mimetismo varieggiato poteva come lontana origine avere alcuni versi tommaseiani della poesia Al mare. Leggiamo prima Tommaseo:

Voce di Dio sull’acque. Il tuono echeggia
di nube in nube, il ciel lampeggia e l’onda.
Volvesi il fiotto audace, e rumoreggia,
come a vento autunal selva profonda:
e, quando masso che rotola e si schieggia.
rompe superbo, e alla scogliosa sponda
manda un confuso suon d’ira e di pianto;[74]

Ricordiamci ora dell’Onda dannunziana:

L’onda si spezza,
precipita nel cavo
del solco sonora;
spumeggia, biancheggia.
s’infiora, odora,
travolge la cuora,
trae l’alga e l’ulva;
s’allunga,
rotola, galoppa;[75]

* * *

Nell’ultimo libro delle Laudi (Asterope), almeno in due occasioni D’
Annunzio si ispiro` ai testi poetici di Tommaseo; si tratta dei componimenti dannunziani politico-patriottici scritti nel 1915 che riguardano direttamente il mondo slavo, cosi` caro a Tommaseo.

Una delle due poesie porta il titolo Per la Regina ed e` dedicata alla regina Elena della famiglia montenegrina dei Petrovic. Il materiale per commporla D’Annuzio in misura non trascurabile prese dalla famosa antologia dei canti illirici. Il modo di utilizzarlo e` tipicamente dannunziano, cioe` frammentario, secondo linee compositive soggettive, per lo piu` non rispettando l’integrita`semantica e la contestualita` dei brani prescelti.

Nella prima strofe, oltre alla figura della Vila, personaggio frequente dei canti illirici tradotti da Tommaseo, leggiamo lo scorcio di un’immagine del canto intitolato da Tommaseo La madre di Marco Craglievic.

Partiamo dai versi dannunziani:

E questa che la Vila con un canto
incorono’ del crine di viola
folto come la treccia che di schianto
lascio’ la pia gevrosima alla trave
chiamando il fratel Moncilo fra il pianto,
questa guarda, Signore.[76]

Ed ecco il brano del canto serbo tradotto da Tommaseo:

La sorella al fratello fra il pianto risponde:
Ah fratello mio, Moncilo capitano,
Come calarti una pezza di tela,
Quand’ ha a me la cognata Vidosava,
La mia cognata, l’infida tua,
Legati i capelli alle travi? –
Ma la sorella e` di cuore pio:
Duole a lei del fratello carnale suo:
Ella strilla come invelenita serpe,
Si scrolla col capo e con tutto il suo nerbo:
Dalla testa i capelli schianto`,
Lascio` i capelli alla trave:[77]

Poi in D'Annunzio leggiamo questi versi:

Volarono laggiu` sul Monte Nero
dodici aquile bianche con gran strido,
Ed una a lei volo`sul suo pensiero,
e la copri` con velo insanguinato.
................................................
S’alzano dal confin serbico in frotte
i corvi lordi.[78]

In un altro canto, chiamato da Tommaseo Nuova battaglia di Montenegro leggiamo questi versi:

E come dalla tenebria strepitassero
Per le mura dodici aquile;
E come a lei una volo`,
La coperse con velo insanguinato.
..........................................
Vede la donna (lei vedranno dolori!)
Venir veloce volando
Falchi dal serbo confine,
..........................................
Volarono dodici aquile
Del sanguinoso possente Monte Nero.[79]

Per quanto riguarda l’altro componimento di cui vogliamo dire qualche parola, la nota Ode alla nazione serba, e` doveroso rilevare che ne aveva scritto im modo esauriente Mate Zoric indicando l’antologia di Tommaseo come fonte primaria dei dati "slavi" di D’Annunzio; D’Annunzio, dice Zoric, vi aveva trovato il repertorio dei nomi di persona, di toponimi, di figure retoriche" tipiche della poesia popolare, nonche` i dati riguardanti i fatti e i personaggi della storia serba. ecc.[80]

A noi rimane di illustrare alcune interferenze testuali del materiale tommaseiano nell’Ode alla nazione serba; s’intende che anche in quel caso D’Annunzio procedeva seguendo il proprio istinto poetico, cioe` riducendo, rafforzando o decontestualizzando i brani presi in prestito.

Oltre le singole immagini come in D’Annunzio "il salso sangue" e il "grande pezzato cavallo di Marco"[81] (rispetto a quello che dice Tommaseo: "Prese la spada di Moncilo/ e la tuffo` nel salso sangue"[82] e "il caval suo pezzato"[83]). troviamo anche citazioni piuttosto lunghe; D’Annunzio, per esempio, e` stato attirato dalla figura del "Bulgaro nero", il nipote travestito dell’imperatore Dusciano che nel canto Le nozze dell’imperatore Dusciasno e` il protagonista assolutamente positivo. I versi che gli servivano D’Annunzio non prese dallla versione principale ma dalla variante che Tommaseo` riporto' in seguito; ecco la traduzione di Tommaseo:

Ve’ p...... di Bulgaro nero,
Ch’oggi dietro ci tenne
Per il tozzo e l bicchier di vino,
E per un lacchezzo di carne vermiglia![84]

D’Anunzio la riprende quasi alla lettera:

...Diceano i padri
un tempo, sedendo a convito:
"ve’ porco di bulgaro nero
che tutt’oggi dietro ci tenne
pel tozzo e l bichiere di vino
e per un lacchezzo d’ agnello"[85]

Il "Bulgaro nero" compare diverse volte nell’ode dannunziana, preso pero` come un vero bulgaro, o piu` esattamente, come il simbolo negativo della politica bulgara dell’epoca.

Lo attirarono poi alcuni versi del canto Vucassino e Marco Craglievic in cui Marco doveva arbitrare sull’erede al trono serbo: ecco i versi:

Saprassi a chi sia l’impero
............................................
E non sanno a chi sia l’impero
...........................................
Egli dira’: a me e’ l’impero
...........................................
Or ite a Prilipa citta,
Alle case di Craglievic Marko
...............................................
Voi chiamate a Cossovo Marco
Marco per l’appunto dira`.[86]

D’ Annunzio li riprende in questo modo:

Diceano intanto gli araldi
in Prilipa a Marco: O signore,
contendono i re, dell’impero.
A chi sia l’impero e’ non sanno.
Ti chiaman di Cossovo al piano
che tu dica a chi sia l’impero."
Un grida: :Al Latino e’ l’impero,
Per forza a lui viene l’impero
Roma a lui commise l’impero[87]

Un’altra immagine famosa della poesia popolare serba affascino` D"Annunzio; l’incontriamo nel canto I cadaveri di Cossovo:

Ella va del Cossovo sul piano,
E sende sul campo la giovane donna
Sul campo dell’inclito conte;
E rivolta nel sangue i guerrieri.
...................................................
Sorella cara, fanciulla di Cossovo
Quale hai tu grande affanno,
che rivolti pel sangue i guerrieri?
Chi cerchi tu per il campo, giovanetta?
O fratello o cugino?[88]

Nell’ Ode alla nazione serba ne troviamo una riduzione:

Bulica il sangue dei prodi
le donne rivoltano i morti
pel bulicame, ne’ sanno
figlio ravisare o germano?[89]

Finisce qui il nostro tentativo di proporre una ricostruzione necessariamente ipotetica e frammentaria dei modi in cui Gabriele D’Annunzio leggeva la poesia di Niccolo` Tommaseo; come attraverso i differenti strati fatti di valori e sfumature melodiche, di ritmi, di idee e di immagini poetiche filtrava la sostanza poetica tommaseiana permeandone quella propria. Se non altro, dagli esempi che abbiamo riportato, sia quelli ardui relativi al Poema paradisiaco che quelli facilmente riconoscibili della poesia popolare serba tradotta da Tommaseo, trapela un profondo rispetto e una fiducia incondizionata che D’Annuznio sentiva nei confronti dell’opera di Niccolo` Tommaseo.[90]

***

  1. Enrico Thovez, Il pastore, il gregge e la zampogna, De Silva, Torino 1948, 186-187.
  2. Ibidem, 187.
  3. Gabriele D'Annunzio, Versi d'amore e di gloria I, Mondadori, Milano 1982; nell'introduzione di Luciano Anceschi, XII.
  4. Mario Puppo, Poetica e poesia di Niccolo` Tommaseo, Bonacci, Roma 1981, 47.
  5. Giacomo Debenedetti, Tommaseo, Garzanti, Milano 1973, 22.
  6. Ibidem, 23.
  7. G. D'Annunzio, Op. cit. 647-650.
  8. Niccolo` Tommaseo, Opere, Ricciardi, Milano Napoli 1958, 270-274.
  9. N. Tommaseo e G. Caponi, Carteggio inedito I ,Zanichelli, Bologna, 1911, 332.
  10. N. Tommaseo, Opere, 110.
  11. Ibidem, 52.
  12. Ibidem, 59.
  13. Ibidem, 275.
  14. Ibidem, 202.
  15. G. D'Annunzio, Op. cit., 606.
  16. Ibidem, 610 e 655.
  17. N. Tommaseo, Opere, 125.
  18. G. D'Annunzio, Op. cit., 700.
  19. N. Tommaseo, Opere, 231.
  20. G. D'Annunzio, Op. cit., 668.
  21. Ibidem, La passeggiata, 613 e 616.
  22. Ibidem, Consolazione, 669.
  23. Ibidem, Aprile, 635.
  24. N. Tommaseo, Opere, Armonia delle cose, 272
  25. Ibidem, Per giovanetta che va sposa al Brasile, 152.
  26. Ibidem, D'un quasi cieco e presso a esser vedovo, 155.
  27. Ibidem, A una marchesa partoriente, 159.
  28. Ibidem, Meditazione, 220.
  29. N. Tommaseo, Memorie poetiche III, 152.
  30. N. Tommaseo, La educazione morale, religiosa, civile, letteraria dell'italiano, Barbera, Firenze 1910, 65.
  31. N. Tommaseo, Opere, A mio padre, 61.
  32. Ibidem, Solitudine, 53.
  33. Ibidem, A mio padre, 62.
  34. Ibidem, A Lucia De' Thomasis, 76.
  35. G. D'Annunzio, Op. cit. La passeggiata, 613.
  36. Ibidem, Hortvs larvarvm, 631.
  37. Ibidem, Romanza della donna velata, 659.
  38. A conclusione di questa parte della nostra analisi aggiungiamo alcuni versi di Tommaseo e di D'Annunzio che descrivono un altro motivo caratteristico e complementare a quanto abbiamo detto: il motivo dell'espansione spaziale: " Pullula ne l'opaco bosco e lene/ tremula e si dilata in suoi leggeri/ cerchi d'acqua' (D'Annunzio, La naiade, 653); "Com'acqua in cerchi nel cader d'un ciottolo,/ .../ Chi sa, di cerchio dilatata in cerchio" (Tommaseo, Le vite raggianti, 260).
  39. G. D'Annunzio, Op. cit., 697.
  40. N. Tommaseo, Opere, 103.
  41. Ibidem, 63.
  42. D'Annunzio, Op. cit., 559.
  43. N. Tommaseo, Opere, 115.
  44. G. Debenedetti, Op. cit. 25.
  45. Niccolo` Tommaseo, Diario intimo, Einaudi, Torino, 1938, 190.
  46. Ibidem, 190.
  47. Ibidem, 194.
  48. Ibidem, 192.
  49. Ibidem, 193.
  50. G. D'Annunzio, Op. Cit., Un sogno, 676.
  51. Ibidem, 689.
  52. N. Tommaseo, Opere, 66.
  53. N. Tommaseo, Diario intimo, 175.
  54. Ibidem, 190.
  55. Ibidem, 193.
  56. Ibidem, 194.
  57. Ibidem, 194.
  58. G. D'Annunzio, Op. cit., 675.
  59. G. D'Annunzio, Op. cit. 1182.
  60. N. Tommaseo, Dizionario d'estetica I, Perelli, Milano 1860, 427.
  61. G. D'Annunzio, Op. cit., 691.
  62. G. D'Annunzio, Versi d'amore e di gloria II,Mondadori, Milano, 1968; Maia, 33.
  63. N. Tommaseo, Opere, 213.
  64. Ibidem, A Stefano Conti d'Aiaccio, 23.
  65. Ibidem, A giuseppe Multedo corso, 27.
  66. G. D'Annunzio, Versi... II, 503.
  67. Ibidem, 501.
  68. Ibidem, 505.
  69. Ibidem, 524.
  70. N. Tommaseo, Opere, 247.
  71. G. D'Annunzio, versi...II, Alcyone, 561.
  72. N. Tommaseo, Opere, 105.
  73. Ibidem, 241.
  74. Ibidem, 249.
  75. G. D'Annunzio, Versi...II, Alcyone, 706.
  76. Ibidem, Asterope, Preghiere dell'Avento, Per la Regina, 1063.
  77. Niccolo` Tommaseo, Canti popolari toscani corsi illirici greci, Tasso, Venezia 1842, 48-49
  78. G. D'Annunzio, per la Regina, 1064.
  79. N. Tommaseo, Canti popolari, Altra battaglia di Montenegro, 294.
  80. Mate Zoric, Danuncijeva "Ode alla nazione serba"´i njezini prevodioci, "Glas" CCCCXXV, Srpska Akademija nauka i umetnosti, Beograd 1980, 81-154.
  81. G. D'Annunzio, versi...II, Ode alla nazione serba, 1029 e 1031.
  82. N. Tommaseo, Canti popolari, La madre di Marco Craglievic, 43.
  83. Ibidem, 176.
  84. Ibidem, 775.
  85. G. D'Annunzio, versi...II, Ode alla nazione serba, 1035.
  86. N. Tommaseo, Canti popolari, 106
  87. G. D'Annunzio, versi...II, Ode alla nazione serba, 1044.
  88. N. Tommaseo, Canti popolari, 132.
  89. G. D'Annunzio, versi...II, Ode alla nazione serba, 1033.
  90. Aggiungiamo qui, a titolo informativo, l'elenco dei libri di Tommaseo che possedeva G. D'Annunzio inviatoci cortesemente dai colleghi della Biblioteca del Vittoriale:

Dizionario dei sinonimi della Lingua italiana, 5° edizione milanese Milano, Vallardi, 1867 Collocazione: Scale, LV

Dizionario della Lingua italiana nuovamente compilato…(Bellini) Torino, Soc. L’Unione Tip. Editrice, 1861-1879 Collocazione: Zambracca

Dizionario della Lingua italiana nuovamente compilato…(Bellini) Roma-Torino-Napoli, Unione Tipografico-Editrice, [s.d.]Collocazione: Zambracca

Dizionario d’estetica, 2 voll.Milano, Perelli, 1860 Collocazione: Giglio, CXXI

Bellezza e civiltà o delle arti del bello sensibile, Firenze, Le Monnier, 1857 Collocazione: Giglio, XCIV

Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci, 4 voll.Venezia, G. Tasso, 1841-1842 Collocazione: Giglio, CXVII

Canti popolari illirici / a cura di Domenico Bulferetti, Milano, Libr. Edit. Milanese, 1913Collocazione: Giglio, CXXI

Due Baci, Roma, Edizioni Cosmopoli, 1930 Collocazione: Giglio, XCVII

La educazione morale, religiosa, civile, letteraria dell’Italiano, Firenze, Barbera, 1895 Collocazione: Giglio, XCIX

Le memorie poetiche con la storia della sua vita fino all’anno XXXV, Firenze, Sansoni, 1916 Collocazione: Giglio, CVII

Nuovi studi su Dante, Torino, Collegio Artigianelli, 1865 Collocazione: Corridoio Gamma, XII

Scintille : traduzione dal serbo-croato / con introduzione storico-critica di Luigi Voinovich; prefazione di Giorgio d’AcandiaCatania, F. Battiato, 1916Collocazione: Giglio, CXII

Sull’educazione; Pensieri / a cura di Ed. Taglialatela Lanciano, G. Carabba, 1918 Collocazione: Pianterreno, XLV

Caterina da Siena (Santa) Le lettere / ridotte a miglior lezione, e in ordine nuovo disposte con proemio e note di Niccolò Tommaseo, 4 voll. Firenze, Barbera, 1860 Collocazione: Corridoio Gamma, XXX

Caterina da Siena (Santa) Le lettere / ridotte a miglior lezione, e in ordine nuovo disposte con proemio e note di Niccolò Tommaseo, 1918 Collocazione: Scale, LXXXIII bis, 13

Caterina da Siena (Santa) Le lettere / ridotte a miglior lezione, e in ordine nuovo disposte con proemio e note di Niccolò Tommaseo; a cura di Piero Misciatelli, 4 voll.Siena, Libr. Edit. Giuntini & Bentivoglio, 1913 Collocazione: Camera Aélis, Libreria, I, 1-4